Il Corriere della Sera di ieri (CLICCA QUI) ha pubblicato un intervento di Giuseppe Conte che pone più di un elemento di riflessione. Intanto, perché conferma quello che in molti eravamo autorizzati a pensare nel momento in cui il suo secondo governo, quello con il Pd, cadde immediatamente dopo aver portato a casa l’indubitabile successo ottenuto con gli ingenti finanziamenti concessi all’Italia con il Pnrr. Conte racconta della profezia di “un politico di lungo corso” secondo il quale quel successo avrebbe segnato “l’inizio  della fine” per il suo governo perché, oracolarmente gli disse: ” gli avversari politici e i vari comitati d’affari non ti lasceranno mai gestire quei fondi”.

A Londra capita di ascoltare una famosa battuta relativa ad uno dei tanti paragoni, spesso un pò impietosi per noi, tra gli inglesi e gli italiani: “da noi siamo pieni di misteri, ma non c’è alcun segreto, in Italia non ci sono segreti, ma è piena di misteri”. E questo sta a chiamare in causa uno dei punti più spinosi della storia italiana dopo l’Unità del 1860. E cioè quello delle classi dirigenti, nazionali e locali. E dell’incombente presenza extraparlamentare di una miriade d’interessi che a tutto pensano fuorché alle necessità generali. E non esitano a partecipare, se non ad organizzare, caduta di governi per un loro tornaconto particolare. Cose che troviamo in alcuni, non in tutti, libri di storia nostrana e che, purtroppo, ci saranno su quelli che parleranno dei giorni nostri.

Famosa è la frase di Massimo D’Azeglio che fatta l’Italia nasceva la necessità di fare gli italiani. Ci pensò a modo suo la classe dirigente liberale con le prime grandi speculazioni del dopo 1870, in particolare quella dei beni della Chiesa di Roma, e non solo; poi con Giolitti che venne definito il Ministro della mala vita da Gaetano Salvemini e si guadagnò l’imperitura e duratura ostilità di don Luigi Sturzo. A livello locale ci pensarono i tanti “Gattopardi” dei quali bisognerebbe pure una volta provare ad andare oltre quella patina dolciastra e nostalgica trasmessa dal grande libro di Tomasi da Lampedusa e da quell’affresco, altrettanto grandioso, che ci ha lasciato cinematograficamente Luchino Visconti.

Sembra strano parlare del Pnrr, e di quello che speriamo non segni il solito deludente fallimento italiano (CLICCA QUI), e di storia patria. Eppure il legame è forte. E se ieri abbiamo riferito, sulla base di racconti che vengono da dentro il Palazzo, su cosa stia succedendo attorno ad una delle più grandi ciambelle di salvataggio gettate dall’Europa all’Italia, il cerchio si chiude con un commento che alla zebretta di ieri ha fatto l’amico Giuseppe Ignesti che così  ha scritto: “Che il PNRR non ci andasse bene lo sapevamo prima ancora che nascesse. Sapevamo cioè che la struttura amministrativa del nostro Paese non fosse in grado di gestirlo in pienezza e per ogni dove. Le riforme strutturali necessarie per attrezzarci a gestirlo avrebbero comportato tempi molto, ma molto larghi. Non si tratta solo di norme giuridiche, di risorse materiali, ma di mutamenti culturali, di problemi di natura più profonda. Creare una borghesia idonea, una classe media non è problema di breve periodo. Questo è il nodo principale del Paese”.

Incaponirsi a parlare dei ritardi sul Pnrr, insomma, non basta. E’ necessario, invece, che tutta la classe politica si renda conto che, probabilmente, per l’Italia sta suonando l’ultima campanella e che, quindi, può essere opportuno “sparigliare” le carte uscite dalle elezioni e far diventare, come dice Giuseppe Conte, questa urgenza l’occasione per “non stare a guardare” e, invece, fare in modo che tutti portino un contributo nell’interesse comune.

E’ evidente come il primo passo tocchi a Giorgia Meloni. Ella potrebbe avere l’occasione per uscire da quel vicolo cieco in cui è finita con la sua opposizione aprioristica al Governo Draghi, sul cui solco è poi costretta sostanzialmente a continuare, e, successivamente, con la formazione di un Esecutivo di parte e non in grado di elevarsi al livello dei gravi problemi che ha questa nostra Nazione, una Nazione che abbiamo tutti a cuore.

 

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