“Molti nemici, molto onore”, si diceva una volta. Abbiamo visto com’è andata a finire. I nemici non ci sono mancati. E’ l’onore ad essere venuto meno. Eppure si tratta di uno schema che ha fatto scuola e resiste. E’ scarno, semplice, elementare ed efficace. In un certo senso, portato ad oggi, è la sublimazione del populismo.
Il “nemico” spiega tutto e compatta il fronte dall’altra parte. Funge da cane pastore che tiene allineato il gregge. Non serve andare per il sottile, sono superflue analisi ed ipotesi, spiegazioni o ragionamenti. Tutto è di palmare ed immediata evidenza. Senonché, se qualcuno pensa che si possa governare un paese moderno ed avanzato, com’è pur sempre il nostro, spingendolo a dividersi in due fazioni contrapposte, c’è seriamente da preoccuparsi.
Il vasto consenso elettorale che ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi dovrebbe garantire al Governo autorevolezza e quella postura composta che , invece, gli manca. Al contrario – a parte le topiche, i dietro-front e le inversioni di rotta – assistiamo al manifestarsi, nella sostanza e nella forma, di atteggiamenti a dir poco autoritari. E la distanza che corre tra autorevolezza ed autoritarismo è la stessa che passa tra forza e debolezza, tra disponibilità serena al confronto ed arroganza.
Stiamo a vedere, in fondo ancora fiduciosi, ma, di questo passo, c’è il rischio che la destra, inebriata di potere, vada addirittura oltre quella contrapposizione che soffriamo da decenni ad opera di un sistema politico maggioritario e bipolare. Infatti, al di là della delegittimazione dell’avversario, assistiamo – addirittura nelle aule parlamentari – alla sua gratuita denigrazione. Il che significa passare dal piano della politica al piano del giudizio morale e questo senza che si evinca da quale fonte – sicuramente non dal consenso elettorale – la destra immagini di trarre legittimazione a compiere tale passo. Sicuramente non dalla storia, non dalla sua storia, non da quella storia di cui conserva la memoria e l’ispirazione nello stesso simbolo del partito. Denigrare – di fatto e perfino concedendo la buona fede – significa scivolare nella violenza. E quest’ ultima è un tutt’uno che si tiene da cima a fondo.
Non vogliamo esagerare, ma è pur necessario tener presente – l’esperienza lo dimostra – come spesso la violenza faccia capolino tra le parole e magari la si attribuisce ad un tratto umorale piuttosto acceso, al brutto carattere.
Per contro, via via si fa strada e può giungere fino a manifestazioni estreme. Passando, per osmosi, da un livello all’altro, quasi insensibilmente. Basta, del resto, la prossimità della scadenza elettorale in Lombardia e Lazio per giustificare il clima che si sta creando nel Paese?
Tra una settimana ci lamenteremo ancora di dover registrare, come primo partito, quello degli astenuti? Peraltro, non dovrebbero esserci nella maggioranza che regge il governo anche forze che si definiscono liberali e moderate, cui spetterebbe un ruolo di prudente consiglio, piuttosto che un supino allineamento alle grida del maggior partito?