«…che la politica possa risolvere tutti i problemi dell’uomo, che essa sia capace di instaurare uno stato di concordia e di felicità perfette sulla terra. È contro questa illusione che il Cristianesimo ci ha messo soprattutto in guardia ricordandoci, con la nozione di caduta, l’imperfezione esistenziale dell’uomo». In pratica, si chiede Sergio Cotta: la politica presenta dei limiti che ne perimetrano l’azione oppure sintetizza tutte le forme sociali e le subordina alle sue ragioni? A questo centrale interrogativo Cotta risponde con le riflessioni raccolte negli Scritti di filosofia e religione, a cura di Stefano Birtolo, Angelo Pio Buffo e Angela Landolfi, con la presentazione di Lorenzo Scillitani.

Il libro di Cotta denuncia il tratto più evidente di una concezione del sociale che identifica la sfera della politica gerarchicamente sovraordinata rispetto alle altre sfere. Una primazia che, per dirla con le parole del filosofo, si risolve nel “primato della politica”, in quanto unica possibile risposta coerente ai problemi di ordine teoretico e pratico posti da una certa concezione dell’uomo e dell’esistenza.

Un’idea monistica dell’ordinamento sociale che si oppone ad una visione plurarchica, la quale rimanda a un contesto di differenziazione della società, in cui accanto alla sfera del politico vi sono tante altre sfere di eguale dignità: quella economica, religiosa, artistica, ugualmente produttrici di un particolare tipo di bene comune. La prospettiva poliarchia-plurarchia risulta l’esito del principio dualistico che innerva la concezione cristiana della vita, contro la prospettiva monistica, sia nella versione hard del totalitarismo sia in quello soft del paternalismo statalista che comunque risolve il pluralismo degli elementi sociali in un unico principio, senza ammettere alcun residuo: chiesa, stato, partito, razza, nazione e così via. Il primato o l’egemonia della politica, afferma Cotta, interpreta la società come il “gran tutto”, nei cui abissi annegano autonomia, creatività e responsabilità dell’individuo e lo Stato è Stato etico, prende il posto di Dio, «e perciò necessariamente totalitario nella sua essenza».

In una prospettiva plurarchica, accanto alla sfera politica, a cui spetta il compito di garantire i diritti civili e politici, la regolamentazione del commercio internazionale e della concorrenza interna, abbiamo la sfera economica quella etico-culturale che fornisce i valori e le basi etiche che da sole, politica ed economia, non possiedono né tanto meno sono in grado di produrre. Spetta alle istituzioni che si riconoscono nella sfera etico-culturale il compito di diffondere le virtù della generosità, della compassione, dell’integrità e dell’interesse per il bene comune. Alla base di quanto detto c’è la convinzione liberale e cristiana che nessun soggetto sia tanto saggio o buono da poter ricevere un potere indiviso e unitario, di conseguenza, la divisione delle maggiori sfere della vita in tre sistemi: politica, economia e cultura, si propone di proteggere tutti contro gli abusi e le degenerazioni del potere unitario.

Come osserva Dario Antiseri, attraverso il messaggio cristiano è entrata nella storia degli uomini l’idea che il “potere politico non è il padrone della coscienza degli individui”, che non è il potere che giudica la coscienza degli uomini, bensì “la coscienza di ogni uomo e di ogni donna a giudicare il potere politico”: «il cristiano non può attribuire assolutezza e perfezione a nessuna cosa umana. È, dunque, per decreto religioso che lo Stato [e con esso la politica] non è tutto, non è l’Assoluto».

Flavio Felice

Pubblicato su Avvenire l’11 gennaio 2020

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