L’intervento pubblico nell’economia, complice il contesto emergenziale che stiamo vivendo, rappresenta ormai il fulcro della politica economica europea. Riteniamo che l’allentamento di quei vincoli che sono stati a lungo descritti come un’indebita compressione della sovranità popolare non deve leggersi come una marcia indietro rispetto al vigente assetto costituzionale europeo. Al contrario, esso rappresenta il suo naturale sviluppo. L’esplicito riferimento al modello di Economia Sociale di Mercato, contenuto del TUE, rinvia infatti al concetto di intervento pubblico conforme all’ordine del mercato che è tale quando non interferisce con il meccanismo dei prezzi, creando perturbazioni (dando luogo a fenomeni di free riding o alimentando la fiscal illusion) ed è teso a (ri)stabilire le condizioni per il corretto funzionamento dell’ordine concorrenziale.

Sulla base di tale premessa è allora lecito auspicare che la discrezionalità di cui i governi godranno rispetto alle scelte di impiego delle risorse del Recovery Fund non si traduca in arbitrio della classe politica e nell’uso strumentale delle stesse per finalità di acquisizione del consenso. Tali scelte dovranno invece fare i conti con la realtà di un ordinamento complesso che, proprio nel rispetto del principio cardine del liberalismo: impedire la discrezionalità del “Principe” e rispettare la sovranità popolare, pone significativi limiti alla discrezionalità politica, delimitandola entro i confini dei diritti fondamentali e della razionalità economica.

Le scelte pubbliche generano sempre conseguenze sul piano allocativo. In questa prospettiva, porre limiti giuridico-istituzionali alla politica, riducendone i margini di arbitrio dell’autorità potestativa, significa implementare processi democratici di tipo inclusivo, offrire maggiori opportunità proprio a coloro che vivono ai margini delle dinamiche socio-economiche, (re)includedoli nei relativi processi. Spetta alle regole che governano i processi decisionali creare le condizioni affinché le scelte allocative della sfera pubblica possano risultare nello stesso tempo efficienti ed eque, facendo in modo che dall’interazione tra i diversi attori sociali possa scaturire un incremento del benessere complessivo.

Non sempre le regole vigenti nel nostro Paese si sono dimostrate all’altezza di questo compito, orientando i comportamenti dei singoli attori della sfera pubblica verso l’adozione di “strategie” cooperative in grado di generare vantaggi per tutti. Di fronte alle sfide che attendono il Paese è giusto interrogarci su quali interventi possano rientrare o meno nel Recovery Plan, ma lo è altrettanto importante chiedersi se il nostro ordine giuridico-politico sia in grado operare scelte allocative coerenti con l’assetto costituzionale europeo e, dunque, con l’ordine giuridico-economico della concorrenza e della stabilità finanziaria.

Il dibattito sulla governance del Recovery Fund, polarizzato tra chi propende per soluzioni tecnocratiche e chi per il classico dirigismo paternalistico, testimonia invero l’assenza di una piena consapevolezza sulle conseguenze che contesti istituzionali estrattivi, negando le ragioni della società aperta, generano in termini di decrescita e di sottosviluppo. In questo modo si rischia di non cogliere l’ennesima occasione per ristrutturare – nel segno della sostenibilità ambientale e dell’innovazione tecnologica – il nostro sistema economico, creando le condizioni affinché, superata la stagione dell’emergenza, possa ridursi il suo grado di dipendenza dal settore pubblico.

La posta in gioco sono i diritti e le libertà fondamentali, la sovranità e la dignità stessa dei cittadini. Passata la tempesta, rischiamo di ritrovarci con un sistema economico ancora più assistito, con un maggiore stock di debito, minore capacità di ricorrere agli stabilizzatori automatici, e con una società bloccata, incapace di essere parte attiva ed effettiva di quei processi inclusivi su cui si regge la democrazia liberale, condizione essa stessa di efficienza dei processi decisionali pubblici. Il classico serpente che si morde a coda.

Flavio Felice  Fabio G. Angelini

 

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