Come risposta a quello che è stato definito “un cambiamento tettonico nella storia europea”, i leader dell’UE annunciano da Versailles il riarmo collettivo dell’Europa e l’intenzione di farla divenire sempre più autonoma nel settore alimentare, energetico e militare. La determinazione è quella di assumere in prima persona la responsabilità della propria sicurezza e di liberarsi dalle dipendenze dagli altri.
Vi sono indubbi elementi positivi in ciò, ma che devono essere approfonditi e soppesati, soprattutto per quel che riguarda talune conseguenze pratiche e per quello che, eventualmente, dovrebbe essere aggiunto pensando ad altri aspetti che interessano 500 milioni di esseri umani.
“Vertice di Versailles un successo. La discussione ha toccato le insufficienze di materie prime, tra cui l’agro-alimentare”. Questa la rassicurante dichiarazione del Presidente Draghi, almeno per le buone intenzioni che vengono dalla riunione dei leader europei.” La risposta è che se ciò si aggraverà occorrerà importare da altri Paesi, come Usa, Canada o Argentina. Ciò determina una necessità di riconsiderare tutto l’apparato regolatorio”. Draghi ha poi aggiunto: “Dobbiamo prepararci, ma non sarà assolutamente un’economia di guerra. Ho visto degli allarmi esagerati. Prepararsi non vuol dire che ciò debba avvenire sennò saremmo già in una fase di razionamento”. Bene ha fatto il Presidente del consiglio a spiegare alla gente che è inutile correre adesso, come già accaduto nelle prime settimane del febbraio di due anni fa, a svuotare gli scaffali dei supermercati in attesa della guerra atomica.
Meglio comunque ragionare attorno a quel “regolatorio”. Ovviamente, sperando che si riferisca ad un qualcosa più ampio che non riguardi solo le regole commerciali internazionali. Per quanto consapevoli che anche da esse potrebbero venire un freno all’inflazione galoppante e un superamento di tutti gli ostacoli che siamo abituati veder frapposti alle buone intenzioni in materia di approvvigionamenti e scambi.
Ma c’è un “regolatorio” più ampio che c’interessa e che riguarda la mentalità degli ultimi decenni; mentalità cui la politica ha soggiaciuto. E cioè che tutto vada lasciato al libero mercato. Cosa che ha dimostrato valere molto a senso unico, con la conseguenza che si è sempre allargato il bacino di chi paga e si è ristretto il numero di chi incassa. Perché, in effetti, gran parte di quello che chiamiamo mercato è in realtà un complesso insieme di relazioni economiche, produttive e commerciali, che senza alcuna regolamentazione finisce per aumentare disuguaglianze e povertà. E perché, dopo due anni di Coronavirus, che ha aggravato le condizioni dei più deboli e impoverito il ceto medio, sembra giunto il momento di ragionare sul riequilibrio sociale senza abbandonarsi alle stucchevoli discussioni tra statalismo e liberismo o ad una considerazione astratta sulla funzione del mercato.
Siamo in una situazione che non è volutamente dichiarata di guerra, anche se la guerra l’abbiamo, di fatto, a pochissime ore di volo e potenzialmente a ridosso di casa, in quel Mediterraneo su cui le navi militare russe non sono certo venute per caso. Ma se in guerra non ci siamo ancora coinvolti direttamente, in ogni caso, risentiamo di tutte le conseguenze di una situazione di belligeranza.
Tutto il giorno vediamo in televisione cosa accade e, poi, alla pompa di benzina e nei supermercati ne avvertiamo i risultati. In pochi giorni, la benzina, già schizzata al rialzo a causa della pandemia e della sua incidenza sul caos internazionale dei trasporti, è passata mediamente da 1,40 euro al litro a 1,90, poi a 2,12. Ieri già veleggiavamo tra i 2,30 e i 2,50, riferendoci al servizio fai da te. Ci sarebbe da chiedere la giustificazione di tutto ciò, visto che parliamo di carburante stoccato da ben prima che partisse l’invasione russa. Né si capisce, poi, perché, si traccheggi sulle accise e le tasse giacché al Fisco va circa il 55% del costo della benzina e il 51% di quello del gasolio. In poche parole, chi guadagna di più del ben più modesto innalzamento dei costi del barile alla produzione è, alla fine, lo Stato. Che incassa sempre più, a mano a mano che i prezzi aumentano.
Gli esperti dicono che tagliare i balzelli è cosa irrealizzabile (CLICCA QUI), ma non spiegano bene il perché e mischiano questo diniego, appunto non spiegato, alla questione del diventare sempre meno dipendenti dalle forniture russe, che è cosa diversa. Resta il fatto che il gasolio in Italia costa l’11,2% in più rispetto la media europea e l’8,9% in più la benzina.
Nei supermercati c’è un’altra situazione davvero vergognosa e insostenibile. Qual è quella di prodotti da loro acquistati da mesi e che bellamente sono aumentati di circa un terzo senza alcuna responsabilità attribuibile alla guerra d’Ucraina e nonostante l’aumento dei consumi registrati oramai da tempo, pur nel periodo dominato dalla Covid. In più, si aggiungono le previsioni sulla mancanza di approvvigionamenti che significheranno sicuramente ulteriori impennate dei costi.
Siamo noi quelli che ne paghiamo le conseguenze. E senza che ne traggano beneficio taluni settori produttivi, ad esempio quelli dell’agro alimentare, che non sembrano affatto godere degli aumenti dei costi al dettaglio. Anzi, il meccanismo della finanziarizzazione della distribuzione rende sempre più deboli i produttori di prodotti agricoli mentre i trasportatori – anch’essi non beneficiano dell’impennata dei prezzi – sono messi nella necessità di scioperare perché i costi dei carburanti rende loro impossibile continuare.
Se continuiamo così e non si interviene per riequilibrare ciò che è prodotto da una condizione di guerra, per quanto da noi vissuta marginalmente, può fare ottenere a Putin l’esplosione di una vera e propria bomba sociale senza bisogno che sganci a casa nostra le bombe vere, utilizzate contro gli sventurati ucraini.
E’ questo, perciò, un “fronte interno” cui guardare con grande attenzione e sollecitamente per non ripeterci con le lentezze di due anni fa, e una certa confusione, con cui s’introdussero i famosi ristori diretti a ridurre gli effetti della pandemia.
La gente non sembra oggi sufficientemente disposta a vedere triplicare il costo del riscaldamento e dell’energia. Neppure assistere agli attuali balzi dei costi dei carburanti e dei prodotti essenziali venduti nei supermercati. Se si risponde sul piano della Difesa, e per alcuni versi è opportuno che ciò sia fatto dopo anni di mancanza di responsabilità nel settore, non ci si può illudere che questo basti, senza finalmente intervenire sulle condizioni sociali perché le regole del mercato non valgano – come è successo sinora troppo spesso- a senso unico e ad una sola dimensione.
Giancarlo Infante