Se la pandemia ha mostrato le carenze del sistema sanitario di emergenza urgenza del Paese, e più in generale dell’approccio alle catastrofi, chissà cosa c’è ancora di carente in tutto il sistema del Soccorso Pubblico italiano. Se il sistema di emergenza urgenza sanitario è in crisi profonda, è dovuto alle scelte azzeranti il sistema delle cure primarie, inconsapevolmente o volutamente pro business dell’uno o dell’altro settore; questa è la realtà.

I vari manifesti delle società scientifiche non hanno ancora trovato un’unità con gli altri enti del Soccorso Pubblico, pertanto di questo passo, una quadra non si avrà mai.

Leggendo il DDL d’iniziativa della Senatrice Maria Cristina Cantù e colleghi senatori, sul riordino dell’emergenza sanitaria preospedaliera e integrazione con il sistema ospedaliero di emergenza (CLICCA QUI) , da bravi esperti italiani in creazione di strutture e sovrastrutture gestionali e dirigenziali, si pensa da subito a istituire il Centro Nazionale Emergenza Sanitaria presso il Ministero della Salute, (con il finanziamento di 10 mln. di euro annui?!), per monitorare la creazione del nuovo sistema di emergenza sanitaria, affidando poi ad Agenas il monitoraggio del servizio.

Non si comprende la citazione del Regolamento UE 305/2013 del 26/211/2012 inerente le chiamate “E-call” per introdurre la virtuosa integrazione del c.d. Set 118 (Servizio di Emergenza Territoriale 118); se già alle prime battute è necessario un “drafting” dei vari copia-incolla, le aspettative non sono le migliori attese.

L’intenzione di integrare il Set118, attraverso le centrali operative dei sistemi regionali con il sistema di emergenza ospedaliero, non trova applicabilità oggi e in futuro. Non si comprende per quale ragione occorra procedere in questa direzione, visti gli scenari e le competenze profondamente differenti e mutate tra il contesto ospedaliero e territoriale. La dicitura preospedaliero/a è fuorviante, perché a titolo di esempio, dovrebbero essere chiare le differenze tra un’emergenza affrontata all’interno delle mura ospedaliere ove ci si avvale di plurimi specialisti presenti e un’uguale situazione gestita da soli all’interno di uno spazio confinato. Inoltre gli scenari esterni, ove si è circondati da astanti o in sinergia con il personale professionale degli altri enti del Soccorso Pubblico, richiedono competenze specifiche non acquisibili dismettendo semplicemente i camici ospedalieri e indossando una divisa da soccorso. Inoltre il mantenimento della performance  professionale si effettua in sinergia con gli altri enti istituzionali del soccorso pubblico. E’ altresì fuorviante l’immagine del sistema di emergenza territoriale come attività di riposo rispetto al pronto soccorso: i dati Agenas degli ultimi sei anni evidenziano un calo degli accessi in pronto soccorso e un aumento delle missioni del Soccorso Sanitario.

Un altro segno dei tempi che cambiano, indice delle specifiche competenze richieste al personale operante nel sistema territoriale, è l’istituzione del Master Universitario di Emergenza e Urgenza per infermieri, attivato a Torino dal 2017, che conferisce a tale personale una qualifica accademica di specializzazione.

Vi è una ulteriore ragione per cui l’integrazione territoriale e ospedaliera nel campo del soccorso sanitario non trova idoneità e funzionalità: i pilastri del soccorso pubblico sono rappresentati dalle Forze di Polizia, dal Soccorso Tecnico Urgente dei Vigili del Fuoco e dal Soccorso Sanitario. I primi due ricadono sotto la competenza del Ministero dell’Interno, quindi dotati di uniformità intrinseca per livree, procedure e competenze. Il Soccorso Sanitario è gestito a livello locale in modo difforme, disomogeneo e foriero di diseguaglianze inaccettabili. La competenza dello Stato anche per il terzo ente contribuirebbe a garantire quegli standard di uniformità invocati da più parti, impossibili da garantire laddove si ritornasse in modo diffuso alla commistione tra ospedali e territorio.

Pe quanto riguarda l’accenno alla messa a regime del servizio Nue112, la diffusione dell’Advance Mobile Location – AML, ha reso facile localizzare il chiamante, ma spesso il richiedente del soccorso è da tutt’altra parte e l’unico aspetto dirimente è il colloquio telefonico. Altro aspetto controverso sulla localizzazione attiene al Disciplinare Tecnico Operativo del Viminale che obbliga il personale dei PSAP2 (le singole centrali degli enti del soccorso), a verificare o procedere a una ulteriore localizzazione, pur senza disporre della tecnologia in possesso del PSAP1 (il Call Center Laico112).

Vi è da aggiungere che la diffusione del modello organizzativo impiegato in Italia per la realizzazione del Nue112 è pericolosa per almeno cinque problemi che sono stati  riscontrati nel tempo e dichiarati da vari enti e rappresentanze professionali (Nursind, Anaao-Assomed, Siulp, Sap, Opi, Usb VV.f, Federconsumatori, ecc.):

  1. Un incontestabile allungamento dei tempi legato alla doppia intervista telefonica, in alcune regioni accentuata anche dal posizionamento di personale tecnico non sanitario anche nelle centrali operative del soccorso sanitario.
  2. La perdita del contatto diretto con il professionista dedicato; un aspetto fondamentale legato alla dinamica della comunicazione di crisi, dimostra che chi chiama fornisce spontaneamente la maggior parte delle informazioni necessarie all’espletamento del soccorso. Ciò accade con il primo interlocutore e quasi mai con il secondo. Questo fattore è particolarmente importante anche per le attività investigative e stupisce che gli enti del soccorso pubblico italiano si adeguino a tale modalità.
  3. L’aumento della incomunicabilità tra enti.
  4. I costi economici in aumento, grazie all’istituzione di nuove e inutili sovrastrutture fisiche e tecnologiche.
  5. La chiamata può essere passata a un solo ente: se la richiesta ha una pertinenza multidisciplinare il Psap2 che la riceve dovrà attivare gli altri enti interessati; da qui i rallentamenti citati al punto 1 e i problemi di interoperabilità.

L’inserimento citato di figure non sanitarie nelle centrali operative del soccorso sanitario, che comporta un ulteriore allungamento del processo dell’intervento di soccorso, si scontra con la norma in vigore che affida il triage telefonico all’infermiere. Il concetto è ribadito nella raccomandazione ministeriale numero 15 “Morte o grave danno conseguente a una non corretta attribuzione del codice di triage nella centrale operativa 118 e/o all’interno del pronto soccorso”. La scelta di utilizzare figure tecniche non sanitarie, sconfina con l’abuso di professione.

Per ciò che riguarda la messa a regime nel numero armonizzato 116117 (numero per le non urgenze sanitarie), si cade ancora nella creazione di un Call Center Laico, ove un operatore appunto laico, stabilisce ciò che è emergenza e ciò che non lo è! Invece se tale funzione fosse incorporata in un più ampio progetto di centrali operative interforze rispondenti al 112, si avrebbe un elevato raccordo con il dispositivo delle cure primarie e socio-assistenziali, un notevole supporto di consulenza ai cittadini e perché no, un collegamento con i servizi sociali comunali, che conoscendo la realtà sociale del territorio, è possibile prevenire o anticipare le situazioni di disagio, spesso sfocianti in situazioni di emergenza.

La ridefinizione dei rapporti con il terzo settore andrebbe indirizzata verso uno spostamento delle competenze. Non più attori nel campo del soccorso sanitario e pubblico in generale, ma verso il supporto agli enti locali e alle strutture socio-sanitarie per ciò che riguarda le attività socio-sanitarie-assistenziali. Il coordinamento e la gestione operativa di tale attività potrebbe essere affidata alla struttura 116117. Occorre anche incrementare il contrasto al lavoro sommerso e vigilanza sulla sicurezza all’interno delle Organizzazioni di Volontariato.

Sulla valorizzazione e responsabilità del personale infermieristico, l’intento di superare le dicotomie con il resto del personale, si contraddice nel testo con la subalternità a protocolli e a figure mediche, quando la responsabilità autonoma degli infermieri è già normata da 25 anni. La giurisprudenza ha già chiarito che i responsabili clinici non rispondono ne dell’operato ne della formazione degli infermieri.

Il Sistema di Emergenza Urgenza Sanitaria e in generale del Soccorso Pubblico deve partire dalla stabilizzazione e strutturazione definitiva del SSN, e non al contrario come enunciato nelle conclusioni nel DDL.

Nella esplosione dei vari articoli emerge un pò di confusione tra intenti e applicabilità. Termini quali centrali operative integrate cozzano con gli intenti di gestire le chiamate di emergenza su più livelli e con un’operatività che comprende una territorialità che parte dal locale e arriva al nazionale; nel testo si auspica un sistema nazionale ma ancorato alla competenza regionale, l’integrazione ospedale territorio si contraddice con l’integrazione emergenza urgenza e territorio. Non si esplicita la gestione unitaria delle risorse con il Dipartimento della Protezione Civile per eventi particolari di soccorso. Si incentiva l’ulteriore creazione di servizi di elisoccorso, quando ci si potrebbe avvalere dell’integrazione con altri enti (es. con il C.N.VV.F.). In termini di direzioni organizzative non si enuncia a chi fa capo la dirigenza. Non è chiaro, nemmeno a livello generale, chi fa che cosa all’interno delle strutture deputate alla ricezione delle chiamate di emergenza (medici, infermieri, “tecnici”). Si interpone un livello di lettura della telemedicina di emergenza quando, semplificando, è sufficiente il collegamento con lo specialista che prenderà in carico il paziente direttamente.

I flussi delle chiamate di emergenza rispetto al citato Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche, è stato aggiornato con con il D.lgs. 70/12 all’art. 56: “le chiamate al 112, devono ricevere risposte e trattamento con la stessa rapidità ed efficacia riservate alle chiamate ai numeri di emergenza nazionali, se questi continuano a essere utilizzati. Il modello organizzativo che si vuole mantenere confermato nel DDL, non agevola il principio  comunitario e legislativo appena esposto. All’art. 55 del medesimo Dlgs. si esplicita che possono essere stipulati protocolli d’intesa per l’utilizzo di strutture già esistenti (ovvero centrali operative degli enti di soccorso pubblico). Con il DDL in oggetto, si persevera in modo non funzionale (sovrastrutture in eccesso).

Encomiabile la citazione di voler offrire al cittadino un soccorso tempestivo e qualificato, ma per tal fine, bisognerebbe riconfigurare completamente il Soccorso Pubblico italiano e le centrali operative in una organizzazione interforze.

Le centrali operative in diversi parti del mondo non sono più quelle di trent’anni fa. Vanno sgravate da compiti che la tecnologia potrebbe garantire in modo sicuro. E a proposito di tecnologia, se il richiamo alla tecnologia citato nel DDL è una dichiarazione d’intenti e un obiettivo da perseguire, non c’è nulla da eccepire; laddove invece voglia illustrare una fotografia di quanto esistente, è doveroso sottolineare che la tecnologia nelle mani di un bambino delle elementari è di gran lunga superiore a quella presente nelle centrali operative. Non si cita la presenza h24 di personale ICT, e in ambito di telemedicina anche il codice di deontologia medica dovrà essere rivisto, che vieta espressamente qualsiasi prescrizione terapeutica in assenza di diagnosi conseguente a visita.

Proseguendo nella lettura, la programmazione dei mezzi e delle risorse umane in base alle caratteristiche territoriali (mi chiedo spesso se i proponenti i DDL di qualsiasi compagine partitica conoscano la geografia naturale, antropica, sociale, economica, urbanistica territoriale dei tempi odierni, senza voler esigere le proiezioni future, visti i continui rimescolamenti dei servizi alla persona), non si comprende da chi debba essere svolta.

E’ anche il tempo di rimuovere la commistione tra enti privati e soccorso pubblico di emergenza. Un’unica organizzazione nazionale è più che sufficiente.

Sulla base di quali parametri scientifici un Call Center Laico 112 può costituire un livello essenziale di assistenza? Si va a creare una sovrastruttura denominata Agenzia Nazionale 112 con relativa spesa ingiustificabile di svariati mln. di euro, essendo il Nue112 solo un centralino di smistamento. Posto che le uniche centrali 112 che rispettino i requisiti di legge prevedono un’organizzazione interforze con tutti gli enti del soccorso pubblico in uno stesso luogo, come accade in diverse realtà europee e non solo, non si comprende per quale ragione una struttura del Ministero dell’Interno debba essere affidata alla sanità senza possibilità di variazioni organizzative.

Per ritornare al tema della diversità tra servizio ospedaliero di emergenza e servizio territoriale, in merito al personale, la specializzazione accademica dovrà essere requisito fondamentale. L’equipollenza però non dovrà essere una sanatoria, ma un percorso allineante. Si passa poi alla istituzione di figure professionali quali tecnici di centrale operativa, autista soccorritore e soccorritore, mediante corsi di formazione regionale snocciolati in manciate di ore, di cui non si capisce da chi saranno erogati. Invece non si scrive di scuola! E se non si scrive scuola, come si può creare cultura? Massimo Maniscalco nell’articolo https://www.politicainsieme.com/la-ricerca-del-senso-di-massimo-maniscalco/ espone molto bene l’argomento Cultura.

Serve un salto di qualità legato alla professionalizzazione del soccorso pubblico e quindi anche del soccorso sanitario. Percorsi accademici di specializzazione per medici, infermieri e scuole professionali o istituti tecnico-professionali per i soccorritori professionali, al cui interno della formazione deve essere inclusa la trasversalità formativa con gli altri enti del soccorso pubblico.

Sarebbe auspicabile ogni 5 anni la frequentazione di un anno sabbatico formativo di perfezionamento trasversale e multidisciplinare a livello accademico e di scuola professionale per le rispettive figure professionali; permetterà il vero mantenimento delle performance professionali. In tal modo si stimolerà la popolazione giovane a intraprendere queste professioni e le altre del soccorso pubblico, rendendole attrattive, sicure, garanti e con un maggior ruolo sociale.

Manca, ancora una volta, almeno l’accenno ai requisiti psico fisici, al mantenimento della salute professionale e al monitoraggio delle condizioni di salute, da affidare all’Inail mediante i suoi centri territoriali. Come nella differenziazione in apertura di questa analisi, la tutela della salute del lavoratore nel soccorso sanitario e pubblico in generale, è ben diversa da quella del lavoratore nell’ambito ospedaliero.

Per quanto riguarda l’ambito dell’emergenza intra-ospedaliera il DDL entra nell’argomentazione forse con una modalità non consona per quanto riguarda l’attività ospedaliera e i collegamenti con la c.d. Centrale Remota Operazioni di Soccorso Sanitario, collegata al Dipartimento della Protezione Civile, e all’argomentazione del sovraffollamento. Forse prima di ragionare sulla straordinarietà degli eventi occorre rivedere la tipologia, le condizioni strutturali, le disponibilità specialistiche di tutti i presidi ospedalieri italiani, l’adeguato numero di personale, andando a verificare il reale fabbisogno e la distribuzione di unità di personale con limitazioni o in carico a servizi organizzativi e dirigenziali. Perché se alla base non ci sono strutture edificate al passo con i tempi e le evoluzioni, distribuite equamente sul territorio nazionale, comprensive delle relative specialità, che non lascino sguarniti territori nelle 24 ore e per 365 giorni/anno, compromettendo tempi e qualità di presa in carico, anche il sistema ospedaliero di emergenza poco riuscirà a garantire l’efficacia auspicata. E non avrebbe senso che il sistema di emergenza territoriale vada a colmare anche questa lacuna.

Concludendo, siamo di fronte all’ennesimo DDL necessitante di plurimi emendamenti. Quando rivedremo leggi complete, chiare, comprensibili e soprattutto definitive già nella bozza di stesura? Su questo tema si contano almeno 15 DDL nel corso degli ultimi 15 anni, senza mai essere giunti a una definizione. Da un lato i governi regionali hanno bypassato il buon senso legislativo di lavorare insieme, studiare le evoluzioni e tendenze europee (anche andando a vederle realmente: a che servono le delegazioni regionali in Europa?), dall’altro i Ministeri se ne guardano bene di mettersi a rivedere il sistema, per i soliti motivi di appartenenza e possedimento, quindi si pasticcia, con l’aggravante di non andare almeno a rileggere la biblioteca legislativa antecedente. Nel mese di ottobre 2021 il sindacato Nursind ha depositato al Senato una proposta normativa (CLICCA QUI) che è meritevole di attenzione, redatta anche con logica, lungimiranza e senza necessità che seguano eccessivi decreti attuativi. Un lavoro che è ben oltre i manifesti e “position paper”, entra direttamente al cuore del tema e, in definitiva, offre al legislatore il piatto pronto.

Marco Torriani

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