In previsione dei prossimi appuntamenti elettorali regionali è importante riflettere sulla possibilità di trasformare l’Italia per il Cittadino per ogni ambito di servizio, anche alla luce della sollecitazione avviata dalla Società Geografica Italiana che ha pubblicato nel 2013 il volume “Il Riordino Territoriale dello Stato – riflessioni e proposte della geografia italiana” a cura di Michele Castelnovi (CLICCA QUI).
Giungere all’obiettivo di ridisegnare un’Italia suddivisa in 36 nuove regioni che sostituiscono le attuali province e gli attuali confini regionali per diventare i centri cardine della gestione amministrativa, progettuale e dello sviluppo, più prossimali e fruibili per i Cittadini e per chi lavora nei settori interessati. L’obiettivo è quello di presentare un’organizzazione dell’Italia articolata in una molteplicità di centralità strategiche secondo l’individuazione di una pluralità di nuovi fattori di localizzazione che sostengano un ritaglio amministrativo e di sviluppo adeguato al territorio. In sintesi, rileggendo il volume, estraggo alcuni paragrafi interessanti, inserendo alcune piccole riflessioni:
– le funzioni urbane: i sistemi metropolitani caratterizzati da valori più elevati di densità di insediamenti (residenziale, imprenditoriale, terziaria, di servizio, di articolazioni dello Stato) rappresentano delle realtà fondamentali;
– la dimensione fisica e funzionale: la presa in carico e la verifica dell’efficienza dei contesti delle aree urbanizzate adiacenti ma nel contempo aggregabili funzionalmente al “cuore” in quanto sistemi di riequilibrio residenziale, produttivo, turistico, del tempo libero, dei servizi alla persona. In questo quadro rientrano le cosiddette aree libere che si trasformerebbero da territori indifferenziati ad aree funzionali specifiche del sistema di riferimento;
– le reti di connessione: la verifica dell’accessibilità fra queste entità territoriali e le zone circostanti dal punto di vista delle infrastrutture;
– la presa in carico del capitale relazionale, sociale e la valorizzazione patrimoniale: cioè una combinazione di vantaggi specifici sintetizzabili in quattro attributi che potrebbero interagire e rafforzarsi reciprocamente quali il patrimonio storico-artistico, le componenti ricettive, la dimensione culturale, il patrimonio ambientale;
– l’individuazione di quei casi in cui il sistema prevede la presenza di due o più centri che rappresentano congiuntamente una “centralità diffusa”;
– la popolazione deve partecipare all’approvazione della proposta che dev’essere oggetto di consultazione;
– le nuove regioni saranno il più possibile autosufficienti potendo beneficiare al proprio interno dell’esercizio del maggior numero possibile di funzioni.
Come giustamente si legge nel testo della Società Geografica Italiana, il giungere al traguardo del riordino non è da svolgere in fretta e senza metodo: perché non è creando divisioni o unioni calate dall’alto, con pessimi riscontri sul territorio, che si risparmia sui costi: il ricollocamento del personale e relative corresponsioni stipendiali e correlati, rimarranno fino al pensionamento degli stessi. Quindi, il risparmio dovuto a al riordino non sarà immediato, ma sul lungo termine anche se, per alcuni aspetti logistici, tecnologici, e di approvvigionamento si potrebbe da subito
notare una diminuzione dei costi e una maggiore resa operativa.
Pertanto, occorre riproporre due quesiti: la Provincia è una divisione territoriale inutile e quindi va del tutto abolita, per ricreare dal basso un’entità amministrativa intermedia fra Comune e Regione fondata su altri principi? Oppure si ritiene utile, e allora va mantenuta senza accrescerne a dismisura e artificiosamente il territorio?
Gli stessi quesiti si possono ribaltare anche sulla questione delle Regioni: hanno ancora un senso le Regioni oggi e
in futuro, considerato il loro trascorso? Instradare tagli amministrativi avulsi da una conoscenza reale del territorio con tutto il contenuto, ricavandoli sulla base di improbabili soglie di popolazione e superficie, come se il territorio si potesse scomporre e ricomporre a piacere in cui l’unità geografica, e lo spazio vissuto non svolgono alcun ruolo, non è un metodo razionale. Questo metodo lo si constata da almeno 15 anni quando si decide di mettere mano a riforme sui servizi alla persona stravolgendo assetti molto delicati e strategici.
Se le Province costano molto, non dipende tanto dal fatto che sono numerose, ma come sono organizzate da un certo sistema politico, partendo dagli aspetti più rilevanti che connotano gli intrigati collegamenti della macchina amministrativa, relativi ai Comuni, alle Province, alle Aree metropolitane e alle numerose articolazioni di enti territoriali quali Comunità montane, ASL (ex USL), ATO, Distretti del Commercio e del Lavoro, Comprensori socio assistenziali, per non parlare delle articolazioni territoriali dello Stato: Prefetture, Questure, Comandi delle Forze di Polizia, ecc.
In Italia le aree metropolitane sono state designate dal legislatore senza tener conto di alcun criterio scientifico e la loro delimitazione è stata affidata alle singole Regioni, che hanno applicato considerazioni politico-elettorali o hanno optato per semplificazioni sommarie e inaccettabili. Ciò che si dovrà evitare, come esposto letteralmente nel testo, è “procedere alla massiccia abolizione delle province e ad accorpamenti che ne snaturino la rispondenza al territorio, avulsi da un progetto e con la sola, improbabile motivazione della revisione della spesa.
Il ridisegno dei confini amministrativi di uno Stato è compito delicato che richiede riflessioni, il supporto di esperti del territorio e un filo diretto e non mediato con la popolazione interessata. Il mosaico politico-territoriale deve
rispondere non solo a certi parametri statistici, ma essere anche e soprattutto compatto e omogeneo dal punto di vista geografico e storico-culturale, dev’essere un territorio in cui la popolazione possa riconoscersi e avvertirlo come spazio vissuto. Se invece è il risultato di una sommaria esercitazione cartografica di chi, digiuno di geografia e non solo, è chiamato a rispondere in fretta alle urla della piazza e a tacitarle con un esempio più formale che sostanziale – ma facilmente spendibile – dei tagli ai costi della politica, diventa un nonsenso nel quale è difficile identificarsi, e il rimedio si rivela peggiore del male”.
A questa conclusione si può arrivare stendendo un elenco di istituzioni che si sono dovute creare negli ultimi anni, onde sopperire a necessità e ambiti in cui si è manifestata l’inefficienza e la dannosità della dimensione comunale – riferibile anche all’approccio campanilistico ai problemi, intrinseco alla nozione di «amministratore comunale».
L’elenco seguente sicuramente manca di alcune delle associazioni intercomunali costituite per esigenze pragmatiche, relative alla marea di funzioni che il Comune, nella sua circoscritta dimensione, non può svolgere individualmente – pena la rinuncia a economie di scala e a livelli minimi di funzionalità che rendano ragionevole e sostenibile la progettazione e la spesa: Comprensori, Circondari, Unioni di Comuni, Consorzi di bonifica, Polizie Locali Intercomunali, Comunità montane, Aree di sviluppo industriale (ASI), Parchi naturali, Ambiti territoriali ottimali (ATO – per la gestione acque, energia, rifiuti), Sistemi economici locali (SEL), Distretti scolastici, Comprensori
della Salute (associazioni fra Comuni e ASL per l’ottimizzazione socio-sanitaria).
Questo elenco incompleto, (si pensi a tutte le articolazioni dello Stato sul territorio), costituisce la riprova oggettiva della inadeguatezza della dimensione Comunale alle esigenze di governo della città diffusa. Da considerare anche l’ambito del privato che eroga un servizio pubblico, avente medesime funzioni di paralleli servizi pubblici, che si trovano a duplicare le stesse funzioni nel medesimo ambito territoriale.
Le Regioni prossime al voto potrebbero iniziare a ragionare e progettare all’interno dei propri confini geografici, un riordino territoriale in modo da agevolare la trasformazione su scala nazionale? Ne deriverebbe sì, a lungo termine un risparmio di gestione e una semplificazione del quadro dell’erogazione di servizi, ma con una lungimiranza di stabilità per i prossimi decenni.
Marco Torriani