La variante “omicron” tiene sotto schiaffo l’Europa intera. Ed anche l’Italia è esposta ad un preoccupante incremento dei contagi, per quanto, finora, stia mettendo a frutto il buon esito delle scelte compiute dall’inizio della pandemia, il comportamento responsabile e composto con cui gli italiani hanno accolto le misure anti-covid, la serietà e la cura con cui è stata condotta la campagna vaccinale. Insomma, ci siamo fatti onore ed abbiamo aperto, grazie a scelte politiche appropriate, percorsi che altri Paesi stanno imitando. Non c’è, peraltro, nessun motivo che ci possa indurre ad abbassare la guardia.

Non è affatto escluso che possa manifestarsi una nuova impennata dei contagi che determini un’altra pericolosa “ondata”. E sarebbe la quinta, ammesso che abbia senso distinguere nettamente per fasi successive e subentranti un fenomeno che, tra alti e bassi, mostra piuttosto una persistenza preoccupante.

Due constatazioni s’impongono. Anzitutto, è dimostrato come i vaccini siano determinanti ed indispensabili. Ma è altrettanto chiaro come non bastino da soli o meglio non possano e non debbano andare disgiunti dall’osservanza – e qui non si tratta di un provvedimento di salute pubblica, bensì del comportamento responsabile di cui ciascun cittadino è’ chiamato a farsi carico in prima persona – di prescrizioni che necessariamente introducono regole o limiti che interferiscono con il regime di vita che liberamente ciascuno adottava prima che la pandemia esplodesse. Ciò che se ne evince dovrebbe essere assunto come uno dei “fondamentali” di una cultura politica aggiornata, che sia adatta al tempo in cui ci stiamo inoltrando.

Quanto più la realtà in cui viviamo si presenta ricca e plurale, declinata su una gamma crescente di versanti che si connettono tra loro, si sovrappongono e si condizionano reciprocamente, a tal punto da rendere indecifrabile predirne le possibili evoluzioni, tanto più non basta – sempre che intendiamo “governare”, anziché subire, un simile contesto – affidarci a provvedimenti di carattere collettivo, facendo conto che quasi meccanicamente approdino al risultato atteso. Non c’è nessun automatismo che ci possa sollevare dalla fatica della nostra personale responsabilità.
Nessun artificio cui delegarla. Il che esiterebbe, tra l’altro, in una brutale alienazione di noi stessi.

Neppure il vaccino, di per sé, basta a sconfiggere la pandemia. Come se ciò potesse avvenire in virtù di una potenzialità tecnica e scientifica autosufficiente, che agisca in modo automatico. Lo snodo decisivo, la chiave di volta della soluzione passa dalla consapevolezza e dalla coscienza di ciascun cittadino, che trova nel vaccino un punto di sostegno dirimente, eppure è pur sempre chiamato a saper maturare o meno una scelta o piuttosto un’altra, nel tempio inaccessibile della propria interiorità.

Possiamo immettere nei nostri sistemi sociali tutto il carico o il sovraccarico di “intelligenza artificiale” che vogliamo, ma quanto più la realtà è complessa, tanto più ogni soluzione conta per quel tanto – o poco – di “etica” dei comportamenti cui risponde. Questo significa che anche gli indirizzi politici valgono nella misura in cui sanno promuovere quel concorso personale, di ordine morale, che innerva il consenso e la condivisione attiva delle determinazioni assunte.

Dobbiamo convincerci che non si governa la “complessità” se la “centralità della persona”, anziché restare un nobile auspicio, non diventa la matrice da cui prendono forma, in ogni campo, le nostre politiche. Il cuore del contesto in cui viviamo non è dato solo o prevalentemente dalla dialettica tra categorie sociali o dalla capacità politica di comporre gli interessi particolari in una prospettiva comune. Il luogo della composizione del conflitto, la spazio privilegiato della mediazione tra le mille contraddizioni che attraversano la nostra vicenda quotidiana sta, anzitutto, nella coscienza e nella maturità civile dei cittadini, ciascuno nella propria irriducibile, individuale singolarità.

Dobbiamo sviluppare una nuova cultura della politica ispirata a simili criteri di ordine generale, se non vogliamo rassegnarci ad essere in balia di eventi che si fanno da sé, nascendo a cascata gli uni dagli altri, tutt’al più rispondenti ad una coerenza interna dettata dalla razionalità vera o presunta, ma, ad ogni modo, incontrovertibile della “tecnica”.
Insomma, il virus ci trasmette un insegnamento fondamentale, un “all’erta” che vale in ogni campo: credevamo di essere avviati verso i paradisi artificiali del cosiddetto “post- umano”, verso il tempo potenziato degli “automi” e la pandemia ci segnala come, al contrario, dobbiamo seriamente incamminarci verso il tempo della “persona”.

Sarebbe stato drammatico sbagliare la diagnosi e la postura a tale proposito, eppure eravamo ad un passo. Abbiamo pagato e stiamo tuttora pagando un tributo gravissimo, eppure la pandemia ci sta forse mostrando come siamo approdati ad un bivio dirimente, dove non è lecito sbagliare direzione di marcia: la “persona” – e non l’ “automa” – rappresenta l’attore necessario, l’arco di volta della nuova vicenda storica che ci sta via via coinvolgendo, perfino al di là del nostro avviso.

Tutto questo concorre a farci riflettere anche sul fenomeno “no-wax”, che, nelle sue pieghe, nasconde aspetti che meritano, a loro volta, di essere chiarificati.

Domenico Galbiati

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