PROPOSTE PER TORINO E PER LA SUA AREA METROPOLITANA

Premessa
Nell’imminenza delle prossime elezioni amministrative, gli aderenti torinesi a INSIEME – il partito
nuovo per cambiare l’Italia e l’Europa fondato su lavoro e famiglia, solidarietà e pace (info su
www.insieme-per.it) – presentano la loro valutazione sullo stato della società e dell’economia nella
nostra città e nella sua area metropolitana: vengono trattate la recente evoluzione, poi le prospettive
e le linee d’intervento politico affinché l’evoluzione possa avvenire seguendo una traiettoria virtuosa
sia nell’aspetto economico sia in quello sociale.
In questa analisi, un’attenzione particolare viene data al ruolo che può essere svolto dalle
amministrazioni pubbliche, in particolare dalla Città di Torino, che deve esercitare diversi ruoli:
l’amministrazione del Comune; il fulcro della conurbazione con i Comuni della cintura; la guida
della Città Metropolitana comprendente le vallate alpine, le aree collinari e la pianura fino ai confini
con il cuneese; il capoluogo della Regione Piemonte. Ognuno di questi ruoli è importante, ma qui ci
concentreremo soprattutto su quello proprio del Comune.
Torino deve scegliere di creare lavoro e inclusione sociale attraverso un sistema produttivo che
valorizzi la sua tradizione imprenditoriale, e contestualmente dia credito alle nuove opportunità che
la ricerca scientifica offre in tutti i settori.
Torino è in grado di costruire un ambiente in cui il disegno urbano e le risorse della natura
favoriscono una elevata qualità di vita. Con un’amministrazione che ha cura delle aree verdi,
dell’organizzazione della mobilità urbana e interurbana e dell’efficienza dei servizi pubblici.
Torino accetta le sfide degli anni che verranno con una amministrazione capace di favorire
l’uguaglianza tra quartieri, in modo che non si creino luoghi di emarginazione e degrado.
Da questo documento derivano una serie di punti qualificanti per il concreto programma di mandato
di un’Amministrazione comunale che voglia attuare politiche capaci di creare opportunità di crescita
e una migliore qualità della vita per i suoi cittadini.
1
Indice
1. Torino metropolitana …………………………………………………………………………………… 2
2. Lo scenario ………………………………………………………………………………………………… 3
3. Come ripartire? I punti fermi ……………………………………………………………………… 5
4. Industria, viabilità, trasporti ……………………………………………………………………….. 6
5. Azioni policentriche …………………………………………………………………………………….. 9
6. Azioni politecniche …………………………………………………………………………………….. 10
7. Azioni poliedriche ………………………………………………………………………………………. 11
8. Azioni per la coesione sociale ……………………………………………………………………… 12
9. Azioni per la sostenibilità dell’ambiente naturale ………………………………………… 16
Linee d’intervento in sintesi …………………………………………………………………………… 18
1. Torino metropolitana
La Torino “reale”, almeno dagli ultimi 30-40 anni, non è più solo la città contenuta all’interno dei
suoi confini amministrativi ma quella individuata dalla conurbazione metropolitana. Questa non è
certo una novità ma sinora non se ne è tenuto conto appieno.
Nella conurbazione, poco più di metà della popolazione risiede all’interno della Città di Torino
mentre la quota restante è distribuita prevalentemente nei 24 Comuni circostanti. La proporzione si
capovolge e si sbilancia a favore dei Comuni della Cintura considerando le superfici disponibili per
scelte strategiche in materia di insediamenti produttivi e terziari.
Ci sono robusti ostacoli di natura politico-amministrativa che hanno frenato e frenano adeguati interventi per lo sviluppo dell’area metropolitana. Le facoltà decisionali ultime restano prevalentemente in capo ai singoli Comuni, molto attenti a tutelare le proprie prerogative. L’Ente teoricamente
di coordinamento, la Città Metropolitana, è politicamente fragile in seguito alla fallimentare legge
che ha abolito le Province, con scarsa rappresentatività e con un vertice, rappresentato dal sindaco
di Torino, strutturalmente inidoneo a svolgere quel compito e visto con sospetto dai colleghi esterni.
Chi si candida al governo di Torino deve avere ben presente questi assetti e ciò vale anche per le
forze politiche che, presentando propri candidati nei diversi livelli di governo, dovrebbero contribuire a formare un quadro unitario e superare i localismi.

2. Lo scenario
A partire dall’inizio degli Anni Novanta, Torino e l’Area Metropolitana di Torino (AMT)
incominciano a condividere, con diverse altre realtà del mondo – principalmente quelle a forte
vocazione manifatturiera monotematica –, un percorso discendente nell’andamento produttivo e
occupazionale; senza saper adeguatamente intraprendere – come fatto in alcuni altri territori –
nuove direzioni di sviluppo verso altri settori manifatturieri o settori di servizi.
Le difficoltà della trasformazione produttiva di Torino e dell’AMT ruotano, in modo rilevante,
attorno alla vicenda del logoramento vissuto dal Gruppo FIAT negli ultimi trent’anni, periodo in
cui la questione del matrimonio con altre grandi imprese automobilistiche straniere, per il
raggiungimento della dimensione ottimale, ha dato luogo a uno stato di perenne incertezza: prima la
tedesca Daimler (dopo la quale, l’opzione tedesca non fu più ripresa per via di un approccio delle
case automobilistiche tedesche volto, non a una collaborazione paritaria, ma alla estromissione o
alla subordinazione del partner italiano), poi le statunitensi General Motors e Chrysler, quindi le
francesi Renault (con le giapponesi Nissan e Mitsubishi) e da pochi mesi PSA (Peugeot, con
Citroën e DS, la tedesca Opel e la britannica Vauxhall). Tale incertezza ha pesato non poco sulla
propensione del Gruppo FIAT a creare nuovi modelli di automobili, che avrebbero potuto anche
costituire pietre d’inciampo per la realizzazione del processo di partenariato con un soggetto non
ancora individuato.
A ogni modo, la drastica riduzione dei posti di lavoro offerti dalla FIAT a Torino (pressappoco,
da 155 mila a meno di un decimo negli ultimi venti anni), con capacità di attivare notevoli effetti
moltiplicativi, ha costituito il focus della recente e presente questione occupazionale ed economica
di Torino e dell’AMT.
Si tratta di verificare se FCA (ora fusasi con PSA per dar vita a Stellantis) ha ancora interesse a
trattare con Torino o no. Esiste ancora un collegamento con l’erede della FIAT, ma collettivamente
si teme un possibile ulteriore ridimensionamento del ruolo della ex FIAT stessa e della nascita di
linee di sviluppo alternative, anche perché le imprese del settore automotive non devono pensare
che avranno, con Stellantis, una posizione di preminenza solo perché c’è qui una storica presenza
FIAT. L’avranno solo se, come è successo in parte negli ultimi tre decenni, i già fornitori FIAT
sapranno cogliere occasioni di sbocco differenziato della loro produzione all’estero (Germania,
Francia e Stati Uniti, in primis).
Due elementi però determinano una scarsa capacità di rapida riconversione:
1) la presenza in loco di una limitata attitudine imprenditoriale autonoma, derivante da decenni
in cui la maggior parte delle imprese che nascevano erano create da dipendenti FIAT messisi in
proprio per produrre, in modo pedissequo, beni intermedi (i toc, i pezzi, cioè le parti componenti
come vengono chiamate in piemontese) definiti completamente dal committente, unico acquirente
di tutta la loro produzione. Questo ha portato a un ambiente in cui la presenza di una cultura
imprenditoriale innovatrice è stata quasi del tutto tarpata;
2) la vicinanza del bacino metropolitano milanese, che ha limitato la possibilità di sviluppo di
servizi commerciali e finanziari e che ha sottratto a Torino importanti iniziative fieristiche e imprese
nel settore dell’abbigliamento e della moda.
Occorre comunque tener conto del cospicuo lascito virtuoso della grande impresa e del suo
indotto: la cultura dell’organizzazione aziendale, del saper organizzare la produzione e il modo di
lavorare, seppure in gran parte con un focus limitato al solo ambito della produzione dell’auto e
della sua filiera. Milano era stata anch’essa una città industriale ma, a differenza di Torino, con
diversi centri direzionali: anche lì la grande industria se n’è in buona parte andata, ma è rimasta la
diffusa direzionalità, convertita su nuovi settori produttivi.
All’inizio del nuovo millennio parvero prospettarsi nuove vocazioni per Torino e l’AMT, come
l’innovazione e l’attrazione di impresa, molto legate ai finanziamenti europei, o come il turismo
culturale, artistico e sportivo, ma un po’ incerte per la mancanza di una chiara percezione, specie a
livello di potere politico locale, del nuovo modello di città su cui puntare. È rimasto poi un
atteggiamento di ossequio nei confronti della “Grande Decaduta” e di rassegnazione per la
decadenza industriale della città e della sua area metropolitana. Questa forma mentis dev’essere
rovesciata, cercando di creare nuove linee di sviluppo che si affianchino, in modo non conflittuale,
a quelle che si manterranno con Stellantis. In questo scenario, le amministrazioni comunali
potranno giocare un rilevante ruolo proattivo.
Ancora più rilevante è il ruolo che le stesse amministrazioni possono svolgere nel campo sociale. Il
primo obiettivo è contrastare il disagio giovanile, presente ovunque ma in modo particolare nelle
circoscrizioni settentrionali e meridionali (le periferie). La diffusa inoccupazione giovanile indicata
con il termine di NEETS (Not in Employment, Education, Training and Searching), rappresenta la
condizione favorevole al passaggio da disagio giovanile a piena emarginazione sociale.
3. Come ripartire? I punti fermi
Sta nella natura delle cose che un cambiamento così epocale per la Città – che molti analisti
accostano alla fine del ruolo di Torino quale capitale d’Italia – richieda il suo tempo e non avvenga
linearmente, ma per tentativi. Cambiamenti del genere non vengono sicuramente facilitati in periodi
di forte crisi economica mondiale, quali sono gli anni successivi al 2008.
Appunto per questo è necessario presentare un progetto di Torino e dell’AMT, da qui a 10 anni, che
renda consapevoli della possibilità di un nuovo modello di sviluppo e della sua urgenza, mettendo
in evidenza come costruire un’area metropolitana che abbia forte capacità di attrazione a
livello globale.
Snodi fondamentali di questo progetto dovrebbero essere i seguenti.
a) Obiettivi di lungo periodo:
1) costruire una città multipolare, con protagonisti i quartieri, anziché le circoscrizioni, che hanno
assunto una veste troppo burocratizzata;
2) costruire la città dei flussi: mobilità delle persone, delle merci, dei dati;
3) costruire la città del buon vivere e da visitare, rivedendo anche il modo in cui si abita la città,
creando anche le premesse affinché i torinesi riacquistino lo spirito della città;
4) curare la circolarità nei processi di gestione delle risorse;
5) curare la sostenibilità ambientale e finanziaria della trasformazione urbana;
6) curare la sostenibilità sociale della trasformazione produttiva.
b) Strategie:
1) ricreare il Sistema Torino, con una governance che sappia proporre e gestire opportunità di
sviluppo condivise da amministrazioni pubbliche, imprese e centri di ricerca;
2) generare progetti coinvolgendo direttamente le imprese per la preparazione e la realizzazione
degli stessi;
3) avere una forte attenzione ai livelli di occupazione, sia mantenendo quelli in essere sia curando
la creazione di nuovi;
4) puntare in modo prioritario sulla internazionalizzazione della città e dell’AMT , valorizzando e
facendone punti di riferimento primario il Politecnico e l’Università nonché centri di formazione
internazionali, come l’International Training Centre dell’ILO e l’European Training
Foundation dell’Unione Europea;
5) definire un nuovo rapporto strategico fra Torino e Milano, che vada oltre la sola iniziativa
congiunta di successo che si è avuta con MITO – Settembre Musica: Torino e Milano non
competitivi, ma complementari.
c) Infrastrutture:
1) infrastrutture abitative, con la rigenerazione del patrimonio edilizio del territorio;
2) infrastrutture per l’istruzione e la formazione professionale;
3) infrastrutture per la mobilità;
4) infrastrutture culturali;
5) infrastrutture energetiche, seguendo anche vie nuove, come l’idrogeno.
d) Sistemi per governare:
1) la transizione economica e sociale: mobilità del lavoro, modalità di gestione, big data;
2) la transizione ecologica.
e) Strumenti di politica:
1) piani regolatori, come strumenti di politica del Comune: c’è la necessità di un aggiornamento di
quello elaborato a inizio Anni Novanta;
2) politica industriale, interloquendo attivamente con la Regione Piemonte, la quale dovrebbe fare
uso di questo strumento assai più di quanto fatto in passato;
3) politica di concertazione – già citata sopra a proposito del cooperare di amministrazioni
pubbliche e imprese – da estendere anche al campo delle politiche sociali, coinvolgendo i soggetti
del Terzo Settore, insieme con amministrazioni pubbliche e imprese, in attività di coprogettazione per la realizzazione di politiche sociali. Vi è infatti una grande necessità che tutti
questi soggetti – e altri ancora, come le parti sociali, le fondazioni bancarie, la Diocesi di Torino e le
sue unità pastorali di zona, le altre espressioni pubbliche delle fedi religiose – compartecipino alla
creazione e allo sviluppo di un welfare di comunità, del quale le fondazioni di comunità
costituiscono un esempio di operatività virtuosa, specie quando diventa una comunità educante,
nella quale gli anziani concorrono alla formazione dei giovani.
Il Comune può svolgere un ruolo importante nella promozione della nascita e nello sviluppo di
queste fondazioni.
4. Industria, viabilità, trasporti
Ha ragione chi sostiene che l’attuale crisi manifatturiera-meccanica non deve far considerare
superato il settore industriale. Esso dev’essere mantenuto, ma deve evolvere nella direzione delle
tecnologie moderne. Ad esempio, deve evolvere inglobando la meccatronica, che sposa la
meccanica all’elettronica e all’informatica, creando automatizzazione dei processi produttivi,
semplificando e sostituendo il lavoro umano di tipo ripetitivo e non creativo: controllo automatico e
automatizzazione industriale, robotica, avionica, biomeccanica et similia. Serve inoltre ad arricchire
il prodotto di funzioni prima non previste, non richieste, non possibili.
Si tenga presente che, negli ultimi 120 anni, l’automotive ha creato e mantenuto una posizione
centrale nell’industria manifatturiera mondiale e, per il momento, non si vedono altri settori che
possano sostituirla, non solo di per sé, ma per la sua enorme capacità di creare effetti rilevanti
sull’intero sistema economico.
Si è lasciato credere per troppo tempo che l’auto fosse un settore cosiddetto maturo. Invece, questo
settore mostra di essere al centro di innovazioni tecnologiche di enorme portata. Non si dica che
oggi l’industria è altra cosa. Se si considera l’ambito dell’intelligenza artificiale – che non ha senso
catalogare come settore merceologico tra servizi o industria – si scopre che uno dei riferimenti
fondamentali per questo genere di nuove tecnologie è proprio il settore della mobilità privata e
quindi dell’automotive. Se si considera la questione ecologica, poi, si trova che la tipologia degli
autoveicoli “verdi” giocherà un ruolo essenziale e così via. E quando si parla di automotive, non ci
si deve fermare a considerare il prodotto; il processo, l’organizzazione del lavoro, la tecnologia del
settore, le ricadute sulla cultura del territorio sono altrettanto – se non di più – importanti.
A Torino occorre ancora far leva su questo settore per una politica industriale, che comunque deve
essere gestita a livello regionale e nazionale. Gestita seguendo motivazioni diverse dal solo profitto:
ogni proposta va giudicata innanzitutto in base al criterio della capacità di creare posti di lavoro
per produrre cose buone (beni e servizi) a livello individuale e sociale. Quindi non qualsivoglia
lavoro, ma “lavoro libero, dignitoso, creativo, solidale e partecipativo”, espressione cara a Papa
Francesco. Nella consapevolezza che non c’è organizzazione economica – imprese private e imprese
e aziende pubbliche – che possa prescindere dalla partecipazione, particolare o globale, di
lavoratrici e lavoratori alla gestione della stessa.
A fianco della politica industriale, e intrecciata con essa, si pone la politica della viabilità e dei
trasporti (del sistema integrato dei trasporti), che vede nelle amministrazioni comunali soggetti con
precipue e rilevanti competenze e responsabilità. Che andrebbero esercitate di concerto con i
Comuni dell’Area metropolitana, anche per evitare il paradosso delle limitazioni al traffico contro
l’inquinamento disposte tra i comuni a macchia di leopardo. Ma non solo: si consideri come le
nuove infrastrutture per il trasporto collettivo si estendano sull’area vasta, interessando anche più
comuni; oppure l’intreccio di competenze tra Regione, ex Provincia e comuni relative al
finanziamento e alla gestione del TPL (Trasporto Pubblico Locale), condizione che generò la
nascita dell’Agenzia per il Trasporto Metropolitano, le cui competenze sono poi state malamente
accentrate a livello regionale.
Negli ultimi tempi, la gestione della viabilità urbana è stata infatti improntata a un approccio, a dir
poco, schizofrenico, con scelte che hanno avuto applicazioni della durata di una-due settimane,
forse anche ispirate da buone motivazioni valoriali di fondo, ma pessimamente realizzate (come
visto, ad esempio, per le vie ciclabili). È mancata del tutto una chiara visione di fondo e quindi la
capacità di creare un programma d’azione degno di essere realizzato.
Quanto ai trasporti della Città di Torino e dell’AMT, è imprescindibile riformare GTT:
innanzitutto, una profonda riorganizzazione dell’impiego del personale (che, in casi del genere, è
sempre l’elemento di fondo) e un programma di forte investimento nel parco degli automezzi di
trasporto, in quantità e in qualità: automezzi con nullo o basso livello d’inquinamento
ambientale. Nelle direttive europee si possono rintracciare non solo gli obiettivi al riguardo ma
anche modalità di finanziamento.
Importante è poi il ruolo che può essere svolto dalla gestione del territorio che fa capo alle
amministrazioni comunali, come strumento di politica industriale: deve avere la capacità
d’influire – con azioni di cura del territorio, di miglioramento della mobilità delle persone, dei
dati, delle cose, con azioni quindi di marketing territoriale – sull’attrazione di importanti
iniziative imprenditoriali. A proposito ancora, occorre aver presente che è indispensabile saper
superare l’inutile diatriba teorica sulla maggiore rilevanza delle piccole, medie o grandi imprese. È
ben vero che, senza grandi imprese industriali di riferimento, si conclude poco; però la nozione di
grande non è più quella dei tempi della FIAT, ma conta tanto la dimensione quanto conta il settore.
La politica industriale deve comunque preoccuparsi, prima di tutto, di creare infrastrutture
indispensabili per i collegamenti con l’esterno: a tale proposito, sicuramente importante è il ruolo
degli aeroporti: Malpensa come hub intercontinentale, Caselle e Levaldigi per le tratte di medio
raggio. Come importante è il completamento del progetto dell’Alta Capacità ferroviaria
incentrato sul centro logistico dello scalo merci di Orbassano, unito a un prioritario progetto di
manutenzione e ristrutturazione della rete ferroviaria ordinaria.
Nel quadro dell’internazionalizzazione, le università piemontesi hanno un ruolo fondamentale, e
stupisce la accettazione passiva, in questi ultimi anni, dell’aver perso la rilevanza dei grandi centri di
ricerca legati all’attività produttiva.
Tutte le predette politiche sono però poco feconde se non sono in grado di attivare energie al loro
interno per uscire dall’attuale difficile situazione, di trovare i protagonisti di una nuova stagione di
cambiamento per la Città e la sua area metropolitana. Il mondo degli imprenditori dovrebbe fornire
dei protagonisti (stimati dal settore privato e da quello pubblico), e lo stesso dicasi del mondo della
ricerca e dell’istruzione: protagonisti che possano occupare, con la loro attività, ruoli rilevanti nelle
filiere produttive e culturali internazionali.
L’emersione di questi protagonisti può essere facilitata anche dall’operare delle banche: se queste– e
Torino è sede di due delle più prestigiose banche europee – non riescono a finanziare iniziative
imprenditoriali importanti, allora è poco probabile che si riesca a uscire dalla situazione presente.
Anche in questo contesto, il Comune, sempre con la gestione del territorio, e in particolare della
localizzazione degli insediamenti industriali e dei servizi, può svolgere azioni d’indirizzo e di
sostegno non indifferenti.
Infine, ferma restando la vocazione manifatturiera, va anche posta attenzione alla rivalutazione
economica e sociale dei lavori artigianali con elevata specializzazione, aprendo un campo che
può dare buone possibilità di realizzazione lavorativa ai giovani. Analogo discorso vale per il
sostegno dell’artigianato artistico, settore in cui il lavoro può raggiungere elevati livelli di
creatività, rilevante fonte di lavoro dignitoso. Utilizzando la propria politica fiscale,
l’amministrazione comunale può contribuire alla creazione e sviluppo di tali attività, così come può
farlo mettendo a disposizione, a condizioni agevolate, edifici di sua proprietà, a sostegno di attività
di istruzione e formazione professionale, nonché di attività di microcredito sociale e produttivo
che operi ponendo al centro del suo agire l’attenzione alla persona.
Affrontando in termini più generali, la problematica della ripresa economica e sociale di Torino e
dell’AMT, si possono individuare cinque tipologie di azioni positive.
5. Azioni policentriche
Partiamo dalla rigenerazione della Città e delle strutture edilizie, creando una serie di programmi di
valorizzazione delle periferie, di recupero delle aree industriali dismesse, di social housing. In
questo campo, fondamentale è il ruolo che possono svolgere i Comuni dell’AMT, utilizzando i
poteri amministrativi e le competenze loro propri: piani regolatori, attività autorizzativa edilizia,
mobilità comunale su strada e su ferro, riordino della viabilità (con particolare attenzione alla
mobilità con bicicletta e agli altri mezzi con minore impatto), ZTL, regolamentazione e gestione
degli spazi pubblici, compresi parchi ed edifici pubblici, piani del commercio e dei mercati rionali
ecc.
Necessita un progetto di riqualificazione dell’edificato costruito nel dopoguerra. Condividendo
la politica di consumo zero di suolo verde, e utilizzando i bonus statali per l’efficientamento
energetico (fino al 110%), con fondazioni di origine bancaria, banche e istituzioni finanziarie come
volano finanziario e con il coordinamento organizzativo/burocratico del Comune, si può dare avvio
ad un corposo Piano di riqualificazione del tessuto urbano esistente. Evidenti le ricadute positive
ambientali (qualità dell’aria) e sociali (qualità dell’abitare). La Città, che oggi conta circa 850.000
abitanti, era arrivata a dotarsi di uno stock di alloggi sufficiente ad accogliere una popolazione
superiore di oltre 300.000 abitanti. Siamo quindi in presenza di un’opportunità di dimensioni
imponenti per il recupero edilizio. È un processo però che richiede una promozione ed un’attenta
regia della mano pubblica: normalmente si tratta di quartieri attualmente poco appetibili e con
manufatti spesso molto malandati mentre gli operatori privati preferiscono orientarsi sul costruire
nuovi fabbricati in zone di livello almeno medio se non medio-alto. Analogamente a quanto
accaduto prima a San Salvario e più recentemente in una porzione del quartiere Aurora, anche le
zone considerate di scarso pregio sono suscettibili di una straordinaria riqualificazione, che deve
appunto essere innescata da politiche comunali.
Come obiettivo specifico, va avviato il cantiere della Città della Salute, nuovo e ambizioso polo
della sanità torinese, con collegata la riqualificazione di aree urbanisticamente importanti, oggi
occupate dagli ospedali, che saranno dismesse in futuro.
Inevitabile domandarsi con quali risorse finanziarie si possono realizzare progetti di tale portata,
con le difficoltà di bilancio dei Comuni in seguito alla politica di austerità imposta dallo Stato. La
risposta sta nella capacità del sistema bancario e finanziario di creare prodotti in grado di attirare
l’interesse dei risparmiatori verso specifici impieghi di rilevante utilità sociale, e le
amministrazioni comunali e regionale possono svolgere un ruolo di promotrici di specifici progetti
aventi tale natura nonché di soggetti che operano per creare le precondizioni per questo connubio
fra finanza e società civile.
6. Azioni politecniche
Possono essere raggruppate in sottosezioni:
6.1) servizi pubblici essenziali (acqua, energia, raccolta e smaltimento rifiuti solidi e liquidi, telefono e connessioni telematiche, trasporti) che devono essere riordinati a livello di AMT e utilizzando al meglio (efficienza più efficacia) le imprese dei servizi pubblici (multiutility) a maggioranza
pubblica, fra l’altro, fonti di elevate entrate per gli Enti pubblici che ne sono proprietari. Particolare
motivo d’urgenza ha il completamento e il prolungamento di rilevanti strutture di trasporto, come
la Linea metropolitana 1 e il Servizio ferroviario metropolitano. Essenziale poi avviare la costruzione della Linea metropolitana 2 e far partire la progettazione della terza linea. L’aumento di
valore e di interesse delle aree urbane pertinenziali al corridoio della metropolitana, è un elemento
che anticipa e favorisce la riqualificazione di cui al punto 5.
6.2) Altrettanto importanti sono i servizi pubblici per le famiglie: si pensi ai servizi di asili nido e
di scuola per l’infanzia, che possono svolgere anche il ruolo di sostegno dell’attività lavorativa dei
membri della famiglia. Sappiamo che la disponibilità di questi servizi (così come di servizi per
l’accompagnamento delle persone anziane) costituisce un pilastro per la partecipazione al mercato
del lavoro delle persone adulte della famiglia, in particolare delle donne.
Ma non sono solo questi i servizi pubblici da espandere. Da noi, come in tutta Italia c’è una forte
carenza di beni pubblici in generale, causata anche dalla cronica carenza di dipendenti pubblici
(la carenza quantitativa è chiaramente mostrata dal rapporto fra dipendenti pubblici e popolazione,
che è significativamente più basso da noi rispetto a pressoché tutti i Paesi simili al nostro; solo la
Germania ha un valore leggermente inferiore al nostro). Si tratta di servizi giudiziari, sanitari, di
cura, di istruzione, di tutela, conservazione e recupero dei patrimoni naturale, artistico e culturale.
Sono settori in cui il personale che manca deve avere elevati livelli d’istruzione e di qualificazione
e quindi un programma esteso di assunzione di personale pubblico di questo livello, oltre a colmare
almeno in parte la penuria di questi servizi e a migliorarne la qualità, servirebbe a creare uno sbocco
occupazionale per i giovani diplomati e laureati, che altrimenti sarebbero costretti a emigrare o a
perdere il capitale umano acquisito; acquisito da loro stessi con il sostegno della comunità, e quindi
della comunità nazionale stessa.
6.3) Promozione e localizzazione di attività produttive fondate sulla conoscenza e sull’innovazione
tecnologica, inseriti nei cosiddetti Ecosistemi per l’Innovazione: Competence Centre Industria 4.0,
Centro di Biotecnologie Molecolari e Poli d’Innovazione Regionali (già operativi) e i costituendi
Manufacturing Technology & Competence Centre, Cittadella dell’Aerospazio e Istituto Italiano per
l’Intelligenza Artificiale, nei quali sono impegnati operativamente anche il Politecnico e l’Università
di Torino. Sarebbe opportuno che questi centri di eccellenza dessero luogo a una Rete degli
Ecosistemi Torinesi e che, in questo caso, come in tutte le attività che coinvolgono soggetti pubblici
diversi, la governance pubblica fosse di carattere convergente e cooperativo.
7. Azioni poliedriche
Sono quelle che richiedono inventiva: azioni di conservazione e recupero del patrimonio
architettonico, artistico, culturale, museale, naturale e grandi e piccoli eventi di varia natura che si
realizzano nel territorio, al fine di migliorare la qualità della vita della popolazione residente e di
stimolare nuovi e più consistenti flussi turistici in entrata.
A tal fine non è però sufficiente realizzare azioni che creino interesse verso il territorio da parte di
non residenti; occorre anche promuovere e realizzare la capacità di accoglienza del territorio stesso,
in qualità e quantità. In questa prospettiva occorre dimostrare la capacità di saper richiamare in loco
operatori internazionali (come grandi catene alberghiere) che sappiano veicolare verso il nostro
territorio gli ingenti flussi turistici che sono in grado di captare e, in questo, la gestione del territorio
svolta dalle amministrazioni comunali è di nuovo di notevole rilievo.
Può essere un esempio delle azioni predette la valorizzazione del sistema dei parchi torinesi,
integrando l’area del fiume Po e della Collina (Superga e Parco del Po) con il sistema dei Parchi
Reali (Mandria, Stupinigi, Racconigi). Il Sistema Parchi torinesi connesso alla proposta culturale e
museale del centro città (che non deve ignorare la Cavallerizza Reale, da ricondurre a un progetto
urbano di riqualificazione) può dare vita ad un progetto innovativo di turismo che intreccia cultura e
natura, arte e outdoor, centro e contorno, per i vicini (torinesi) e i lontani (turisti). Da un lato, si
riconosce, dando dignità, il salvagente verde intorno al centro cittadino (Progetto Corona Verde),
dall’altro si propone un progetto innovativo di turismo green, che va strettamente collegato al
sistema delle residenze sabaude e altre eccellenze dell’area metropolitana, come – per dirne solo
un’altra – il centro storico di Moncalieri. Anche nel tessuto urbano sono presenti delle centralità
minori, storiche o di realizzazione più recente, che vanno sostenute e riorganizzate, come fulcri di
attrazione per residenti e visitatori. In taluni di questi ambiti andrebbe ripresa e ripensata la politica
dei centri commerciali naturali, spesso enunciata ma mai percorsa con determinazione per frenare il
genocidio del piccolo commercio al dettaglio.
Tra i “progetti verdi” occorre poi rendere fruibile e valorizzare il primo lotto ciclopedonale nel
Parco del Po da Torino a Chivasso all’interno del Progetto VenTo (ciclovia Venezia Torino).
8. Azioni per la coesione sociale
Significa preoccuparsi di accogliere e integrare le persone, tutte le persone che hanno difficoltà ad
avere una vita dignitosa. È la base della sostenibilità sociale e costituisce un ambito d’intervento
proprio dell’ente Comune, che ha una lunga tradizione, e a Torino livelli di qualità assai elevati.
Sono azioni che hanno uno spettro molto ampio. Alcune riguardano competenze anche regionali o
statali: sanità pubblica; istruzione pubblica; formazione e riqualificazione professionale
continua; servizi di cura in strutture pubbliche o domiciliari. Altre hanno centrale il Comune:
assistenza e accompagnamento delle persone e dei nuclei famigliari in difficoltà economica e
abitativa; azioni capaci di facilitare la ricollocazione dei lavoratori che perdono il posto di lavoro
(con incorporate attività di riqualificazione indispensabili quando si vuole evitare che la mobilità
sia verso il basso); attenzione ai giovani che hanno difficoltà a effettuare percorsi d’istruzione o di
formazione professionale per accompagnarli a inserirsi in questi e poi ad accedere al mondo del
lavoro, attuando a favore di tutti prevenzione primaria (cioè che insegni loro un modo di vivere
buono); attenzione agli anziani che vivono in solitudine e che hanno difficoltà a vivere
dignitosamente e abbisognano di servizi di elevata qualità; interventi volti a contrastare la povertà
assoluta e le conseguenze di questa. Tutte situazioni che creano esclusione economica o sociale, in
senso lato, che creano fatica nella vita della gente, potenziali creatrici di periferie sociali. Per tutte
queste criticità un valido e significativo sostegno (di tipo progettuale e finanziario) proviene già
oggi, in vari modi, dalle fondazioni di origine bancaria.
Parlando di disagio o esclusione sociale, si deve avere presente che un aspetto riguarda l’esclusione
digitale derivata dalla mancata disponibilità di mezzi di comunicazione a distanza (telefoni, tablet,
pc ecc.) o dalla mancata o scarsa capacità di usarli. La forzata didattica a distanza ha accentuato
questo problema tra i più giovani, creando un pericolo per la sopravvivenza delle relazioni sociali e
determinando ulteriore disuguaglianza sociale. Gli operatori sociali dovrebbero farsi carico anche di
questo disagio, così come dovrebbero farsi carico anche di un’azione di accompagnamento per
l’integrazione e l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di persone di recente
immigrazione.
Il Comune è interlocutore pubblico primario per queste politiche e dovrebbe sempre operare
seguendo il principio di sussidiarietà, dando vita quindi a un sistema di welfare, non di Welfare
State (in cui i soggetti pubblici definiscono, progettano e gestiscono i diversi programmi), ma di
Welfare Society, nel quale la società civile e la società produttiva sono i protagonisti: definiscono o
co-definiscono, progettano o co-progettano e gestiscono le attività, mentre gli enti pubblici sono
sussidiari (cioè sostenitori) rispetto a queste. Questo modo di operare permette anche di assicurare
un riscontro assai preciso sull’attività svolta – in quanto provata sulla propria pelle – sulla qualità
delle prestazioni ricevute dai beneficiari assai più di quanto possa fare una qualsiasi procedura di
controllo da parte di un’agenzia pubblica, per precisa e affidabile che essa sia.
Nell’azione di controllo, da parte pubblica, dell’attività svolta dagli operatori (cooperative sociali o
imprese sociali o associazioni o fondazioni private o volontariato), gli enti pubblici dovranno
richiedere il modo d’agire proprio della produzione di reciprocità, intesa come produzione di beni
realizzata coinvolgendo, nel suo svolgimento, i destinatari dei servizi stessi: si pensi ai servizi alla
persona, al lavoro di cura, ai servizi socio-sanitari, per la cui erogazione la personalità del fruitore è
elemento essenziale per la qualità del servizio, nella cui utilizzazione il soggetto può trovare la
realizzazione della propria personalità. Si pensi ai servizi di accoglienza e d’inclusione delle
persone di recente immigrazione, impostati in modo da permettere a questi di esercitare, in modo
completo, la nuova cittadinanza acquisita. Si pensi ai servizi per l’impiego (che dev’essere
incentrato sulle politiche attive per il lavoro e non sulle sole politiche – passive – di sostegno del
reddito). Si pensi alle azioni a favore delle persone disabili volte, non soltanto a sostenerle nella vita
quotidiana ma, anche e soprattutto, per aiutarle a superare le loro difficoltà di vita. Si pensi alle
attività di educazione, istruzione, formazione professionale, che devono essere svolte
coinvolgendo in modo attivo, da protagonista, la persona a favore della quale l’attività viene svolta e
le famiglie dei minori. In generale, il modello di produzione di reciprocità vale per tutte le attività,
per il cui successo la capacità di creare relazioni profonde è elemento essenziale. Questa è la via per
realizzare un vero Terzo settore partecipativo.
Nello specifico, vanno tenuti presenti i diversi tipi di disagio economico e sociale, e per ognuno di
essi va costruita una specifica capacità di analisi dei fabbisogni e di intervento. Vi sono persone
senza fissa dimora, altre chiuse in casa che non fanno nulla, non cercano nulla, si sentono inutili e si
abbrutiscono; lavoratori occupati in lavori saltuari e in nero, ridotti o azzerati dalla pandemia; nuovi
poveri, tra cui ex “partite IVA”, e persone vittime di usura; disoccupati che hanno bisogno di
riqualificazione per poter competere, con conoscenza e titoli adeguati, alla ricerca di una nuova
occupazione stabile; poi famiglie in affitto sotto sfratto, quando cesserà il blocco in atto. E non
andrebbero dimenticati i detenuti quando lasciano il carcere, che spesso diventano degli esclusi
sociali totali, per cui occorre progettare percorsi individuali d’inserimento civile, economico e
sociale.
Che cosa può fare il Comune a vantaggio di queste persone o famiglie? Può:
1) Investire nella formazione di coloro (non solo dipendenti) che sono a contatto con il disagio,
nella direzione di acquisizione di competenze (competenze digitali, in primis) e di attitudine ad
acquisire responsabilità diretta nell’accoglienza delle persone che si rivolgono al Comune e
dell’erogazione dei servizi. Evitare l’atteggiamento (“questo non mi spetta, non è di mia
competenza”) e operare per venire incontro alle necessità del cittadino. Riformare la burocrazia
pubblica affinché lavori per obiettivi e non per mere procedure.
2) Avviare progetti che sappiano creare lavoro, volti a evitare il degrado del territorio attraverso
interventi di miglioramento della qualità ambientale delle aree pubbliche e degradate del
territorio, nonché il monitoraggio e la piccola manutenzione degli edifici di proprietà comunale; per
questi progetti a dimensione di quartiere (piuttosto che di circoscrizione), vanno coinvolti giovani
disoccupati e anziani attivi, con la regia pubblica e la partecipazione di associazioni e imprese del
territorio interessato. Le esperienze della Fondazione Mirafiori sono un interessante esempio in
questo senso, così come potrebbero esserlo i PPU (progetti di pubblica utilità) se consentissero
l’intervento anche del Terzo settore.
3) Mettere in atto un articolato programma d’intervento per abbattere il disagio abitativo
presente nella comunità: costruire soluzioni diverse dai dormitori comunali per le famiglie che
hanno perso la disponibilità della casa; acquisire o costruire nuove unità abitative che non siano dei
ghetti; partecipare, con altri soggetti, a programmi di social housing, da destinare a ospitare vuoi
persone e famiglie che non dispongono di un’abitazione dignitosa vuoi persone anziane
autosufficienti o studenti non residenti o turisti che vengono accolti in comunità poliabitative
capaci di fornire servizi individuali o comunitari, gestite da soggetti del Terzo settore.
A tal fine, il Comune dovrebbe impegnarsi attivando processi di finanziamento di cui si è già detto.
Aver creato la “Città Metropolitana” dovrebbe poi favorire le sinergie tra comuni appartenenti alla
medesima area: in questo ambito la gestione dell’edilizia popolare dovrebbe avvenire non
all’interno del singolo Comune e per i cittadini ivi residenti, ma essere organizzata a livello di Area
metropolitana. Ad esempio, evitare che un cittadino in graduatoria e in attesa per la casa popolare
che cambia comune di residenza per stato di necessità, perda la posizione in graduatoria e debba
ripartire da zero nel Comune di nuova temporanea residenza.
4) Occorre “fare sistema” e il Comune, in quanto principale erogatore di risorse per lo svolgimento
degli interventi necessari, deve assumere il ruolo di coordinatore della Cabina di Regia per
coordinare le attività dei diversi soggetti coinvolti: centri di formazione professionale e, in
generale, enti del Terzo settore e del volontariato, uffici della Diocesi, caritas parrocchiali,
imprese presenti sul territorio: imprese che realizzano interventi di welfare sociale o aziendale,
banche e istituzioni finanziarie, imprese che sostengono la capacità di spesa delle famiglie in attesa
che arrivino le erogazioni dell’INPS (compreso il “reddito di cittadinanza”) ecc. La Cabina di Regia
dovrebbe essere al servizio della comunità, svolgendo a favore di questa la funzione di soggetto
attivatore e coordinatore.
Una azione “politica” andrebbe sviluppata nei confronti del Governo e delle imprese erogatrici di
servizi (luce, acqua gas) affinché attenuino il rigore con cui gestiscono le posizioni di chi si trova in
grave disagio economico evitando al volontariato e al Terzo settore di subentrare nei debiti.
Fra le azioni per la coesione sociale, rilevanza hanno quelle rivolte a combattere l’inoccupazione
(disoccupati e inattivi) sia giovanile sia delle persone adulte. Interventi specifici in questo campo
sono le politiche attive del lavoro – che ovviamente valgono per tutte le persone disoccupate o
inoccupate – le quali mirano a permettere ad ogni persona un accesso rapido ai posti di lavoro
vacanti, cercando di creare le condizioni affinché il diritto al lavoro di ogni persona venga reso
possibile. Esse si caratterizzano per voler direttamente incidere sulla struttura del mercato del
lavoro; favorire l’adeguamento delle caratteristiche di coloro che aspirano a un’occupazione alle
esigenze della domanda di lavoro; creare possibilità occupazionali attraverso una diversa
organizzazione del mercato del lavoro.
Politica attiva è quell’insieme di azioni che forniscono ai lavoratori in difficoltà un supporto di
informazioni e i più adeguati strumenti rivolti alla formazione e alla valorizzazione delle risorse
umane, per accrescere le possibilità di successo nella ricerca dell’occupazione, unite a specifiche
misure a favore delle categorie deboli del mercato del lavoro (giovani, donne, persone disabili).
Come previsto dalla legge n. 68/1999, queste misure dovrebbero essere finalizzate alla creazione
diretta di occupazione per queste categorie di persone, tramite riserva di posti di lavoro nel settore
privato, sovvenzioni a imprese private per l’assunzione di persone appartenenti a queste categorie
deboli, creazione diretta di posti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche riservati a queste
categorie, ma ciò, in gran parte, non avviene.
È inoltre possibile riconoscere titoli di merito (punteggi), nelle gare d’appalto pubblico, alle imprese
che – oltre che dimostrare responsabilità fiscale e ambientale, operino perseguendo fini diversi dalla
mera massimizzazione del profitto e applichino norme di lavoro pienamente in regola con il
principio del “lavoro dignitoso”, quindi anche inclusive, non discriminatorie e con elevato valore
etico sul piano dei rapporti personali interni così come sul piano della distribuzione del reddito
prodotto e della crescita sociale dei suoi membri nonché sul piano dei rapporti di reciprocità e di
rete con l’esterno – abbiano significative presenze di lavoratori disabili e svantaggiati, in generale.
Il Regolamento n. 307 della Città di Torino in questo senso è stato ed è un modello nazionale,
dimenticato da quest’ultima amministrazione.
Sul piano legislativo, la competenza è dello Stato o delle Regioni, con provvedimenti diretti a
incentivare le imprese ad assumere lavoratori/lavoratrici giovani e/o di categorie svantaggiate.
In ambito cittadino, un ruolo importante nel campo delle politiche attive del lavoro viene svolto, o
potrebbe essere svolto dal Comune promuovendo attività di orientamento al lavoro per i
giovani, d’intermediazione fra domanda e offerta di lavoro (attività di ricerca, selezione e
sostegno alla ricollocazione, anche attraverso iniziative di formazione e di elevazione
professionale), di tutela e sicurezza del lavoro, creando anche fondi per l’occupazione dei
disabili (giovani e non), istituendo o promuovendo l’istituzione di tirocini formativi di
orientamento o d’ingresso.
In tutte queste attività, il Comune può operare in partenariato con soggetti che operano all’interno
del Terzo settore. In particolare, per combattere il disagio giovanile, occorre realizzare progetti
mirati di qualità, in primis, e con programmi che abbiano in evidenza la imprescindibile necessità
sociale che i giovani non buttino via il tempo che hanno e diano spazio ad azioni per l’acquisizione
di capitale umano in senso lato.
Bisogna anche tener presente che i soggetti del Terzo settore, sono spesso in concorrenza fra loro
e necessariamente autoreferenziali, il che porta a un insufficiente scambio di informazioni sulle
effettive occasioni di lavoro. La concorrenza fra gli operatori sociali, sia per acquisire progetti
finanziati e messi a bando sia nell’erogazione di servizi non nominativi di assistenza o di
accompagnamento, limita la loro cooperazione, eccetto che su specifici bandi della Regione o delle
fondazioni di origine bancaria o altri. Se i soggetti proponenti si sobbarcassero il ruolo di coordinare
i diversi operatori partecipanti, questi non avrebbero nulla da eccepire.
Il Comune può inserirsi in questo contesto, foriero di minor efficienza, attivando la Cabina di Regia
che è stata sopra proposta.
9. Azioni per la sostenibilità dell’ambiente naturale
Oggi significa, da un lato, eliminare quei comportamenti umani che risultano avere rilevanti effetti
negativi per la vita del Creato (inquinamento e cambiamenti climatici, ad esempio) e, dall’altro lato,
impostare l’attività economica produttiva e di utilizzo dei beni alla luce del principio dell’economia
circolare, secondo il quale nulla di quanto prodotto viene disperso nell’ambiente poiché tutto è
riutilizzabile e va riutilizzato. Oggi significa impostare e attuare una vasta azione per la presa di
conoscenza e di coscienza, da parte della comunità, dei limiti che essa ha nell’utilizzare le risorse
della natura. La cura del Creato dev’essere assunta quale questione sociale a pieno titolo, in
quanto l’umanità non è separabile dalla natura: la sofferenza della Terra è legata alla sofferenza
dell’Umanità.
Ovviamente non ci si può fermare a educare la comunità su questo tema centrale e ineludibile:
occorre anche agire, in tal senso, da parte delle amministrazioni comunali, nella gestione del
territorio così come dei servizi pubblici essenziali (citati al punto 6.1), i quali devono essere tutti
gestiti alla luce del principio qui riportato, ad esempio estendendo la rete del teleriscalmento a tutta
l’area nord della città. Analogamente, gli Ecosistemi per l’Innovazione (di cui al punto 6.3), devono
essere indirizzati nella direzione della ineludibile sostenibilità dell’ambiente naturale.

Questo contributo programmatico sul futuro di Torino e della sua Area metropolitana è stato elaborato da:
Aldo Cantoni, Alessandro Cavallo, Daniele Ciravegna,
Antonio Rocco Labanca, Giampiero Leo, Davide Mosso,
Andrea Olivero, Alessandro Risso, Gianni Rossetti,
Alberto Valmaggia.
Si ringraziano per il prezioso contributo di idee fornito:
Giuseppe Berta, Oreste Calliano, Franco Campia,
Davide Canavesio, Wally Falchi, Piercarlo Frigero,
Bruno Manghi, Nanni Tosco, Mauro Zangola.
Torino, aprile 2021 Per contatti: insieme.torino.2021@gmail.com

Linee d’intervento in sintesi
● Formazione del personale comunale e nuove assunzioni di profili specifici, per una
Amministrazione più a servizio del cittadino e non della mera burocrazia.
● Mobilità e infrastrutture per migliorare le precondizioni per creare impresa e lavoro (SFM,
Linea 1 Metro prolungata e Linea 2 da avviare, investimenti nel TPL, riforma di GTT).
● Investimenti pubblici per favorire insediamenti di Ricerca & Sviluppo e produzioni
innovative, collegati a Politecnico e Università, in collaborazione con imprese, banche,
fondazioni, società dei servizi pubblici (multiutility).
● Norme per favorire la rigenerazione urbana, con consumo di suolo zero e particolare
attenzione al patrimonio pubblico.
● Miglioramento dell’edilizia per le attività scolastiche che utilizzano edifici di proprietà del
Comune o della Città metropolitana di Torino.
● Promozione e co-partecipazione a iniziative che potenzino attività di istruzione e
formazione professionale.
● Promozione di attività, grandi e piccoli eventi per rilanciare cultura e turismo, specie nella
valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale.
● Coinvolgimento di giovani e pensionati in progetti di quartiere socialmente utili, con regia
pubblica e partecipazione di associazioni e imprese del territorio.
● Promozione di interventi diffusi di housing sociale, per famiglie disagiate, studenti, anziani
autosufficienti, in ambiti edilizi che consentano anche l’insediamento di attività artigianali e
commerciali.
● Attivo ruolo di promozione di politiche attive del lavoro e di coordinamento delle politiche
sociali per un welfare di comunità che – coinvolgendo Terzo settore, volontariato, centri di
formazione professionale, fondazioni – sia in grado di rispondere alle molteplici povertà.