La decisione di Lorenzo Fioramonti di rassegnare le dimissioni da Ministro per la Pubblica Istruzione a causa dello scarso investimento del governo a favore dell’istruzione è un gesto forte che invita a riflettere.

Forse, se si riuscisse a toccare il tema di fondo che riguarda il difficile rapporto tra Stato e finanziamento dell’istruzione pubblica, ci si accorgerebbe che con esso dovranno confrontarsi anche i nuovi ministri Azzolina e Manfredi (ai quali auguriamo sinceramente buon lavoro), titolari di due ministeri che il governo ha deciso, non senza buone ragioni, di fare procedere distintamente.

Da un lato, di fronte ad un gesto di protesta così deciso quale quello delle dimissioni di un ministro, viene subito da pensare come sia lontana dalla generatività una politica che sembra relegare alla categoria “varie ed eventuali” la scuola e l’istruzione.

Cos’è più generativo e lungimirante che l’investire nei giovani e nella loro educazione? “Generatività” e “visione a lungo termine” sono indissolubilmente legati e pare che tra spazio e tempo (per dirla con papa Francesco) la politica continui a preferire il primo.

Certamente l’investimento sulla scuola non ha un ritorno immediato o a breve termine, sicché è qualcosa che si può fare solo se si ha come obiettivo dell’agire il bene comune e non il proprio tornaconto. Se uno investisse
sull’istruzione per averne vantaggi elettorali, certamente sbaglierebbe investimento. Si consideri che destinare fondi all’istruzione non significa solo assumere personale e ristrutturare edifici, cose peraltro importantissime, ma anche investire nella formazione continua degli insegnanti, rendere economicamente possibile agli studenti che lo desiderino la formazione all’estero e specialmente in altri paesi UE, mettere la scuola nelle condizioni di potersi avvalere della collaborazione di specialisti che integrino il curricolo degli studenti attraverso proposte formative in orario extrascolastico etc. Insomma: investire sulla scuola è investire sul “pieno sviluppo della persona umana” così come viene espresso nella Costituzione e ribadito nelle Indicazioni Nazionali. del 2012.

È chiaro che il pieno sviluppo della persona umana non porta profitto a breve termine… D’altro canto, a fronte di queste prime considerazioni più idealistiche ed emotive, c’è poi un momento più razionale. Se si va a vedere come il governo Conte ha deciso di investire i fondi della legislatura attraverso la sua legge di bilancio, si scoprirà che 23
miliardi (sui 32 totali della finanziaria) sono andati per scongiurare l’aumento dell’Iva. L’altra parte importante delle risorse è stata destinata al taglio del cuneo fiscale, alla lotta all’evasione e alle pensioni. Non stupisce, quindi che poco meno di 3 miliardi siano stati stanziati per la scuola, né si può affermare che non fosse prioritario investire per tamponare le varie emergenze economiche: primum vivere, post filosofare.

Certamente l’ex-ministro Fiormonti ha pensato che si potesse fare di più. Non si entra qui nel merito della questione, ma ci si limita a constatare che, per quanto di più si sarebbe potuto fare, tenendo conto delle risorse disponibili non
sarebbe stato abbastanza. Ecco che le dimissioni di Fioramonti, contestualizzate nella realtà delle cifre, ci fanno pensare che qualsiasi legge di bilancio sarebbe, oggi giorno, sempre insufficiente.

Affiora dunque un tema di fondo, un problema più originario delle modalità di destinazione dei fondi della legge di bilancio 2020 e che si troveranno a dover fronteggiare anche i nuovi ministri Azzolina e Manfredi.

Questo che abbiamo davanti è il classico caso che invita a riflettere sulla sostenibilità del sistema economico che possediamo. Si deve diffondere la consapevolezza che lo Stato non può farsi carico da solo dell’intera comunità, soprattutto in un lungo tempo di crisi economica. L’istruzione e lo sviluppo della persona umana non giovano
solo allo Stato, ma alla comunità tutta.

È dunque tutta la comunità a doversi fare carico dell’istruzione. Come? A livello economico si dovrebbero pensare
interventi sistematici da parte del settore del profit che, avendo l’interesse a poter disporre di persone formate, contribuisca a finanziarne la formazione. Ciò permetterebbe anche una maggiore aderenza tra scuola e mondo del lavoro, garantendo continuità e coerenza tra domanda e offerta.

Il rischio è la deriva utilitaristica del sapere. Ma si devono tenere conto due cose; anzitutto che nella sussidiarietà circolare non c’è una dimensione che prevale sull’altra, sicché il privato non avrebbe il monopolio dell’istruzione ma
contribuirebbe ad essa, la seconda è l’imprescindibile rimando alla Costituzione che parla di “pieno sviluppo della persona umana”, cosa che comporta il tenere in altissimo riguardo tutte quelle discipline non direttamente volte all’utile.

In un tale sistema le scuole paritarie, magari gestite da enti del terzo settore, sarebbero un preziosissimo contributo tanto per l’economia quanto per la libertà.

Dario Romeo

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