Nonostante il micidiale rialzo dei tassi di interesse, undici aumenti in quindici mesi, l’economia americana è in crescita.

Lo conferma l’ultimo bollettino del U.S. Department of Labor (giugno 2023): duecentomila nuovi posti di lavoro in un mese e disoccupazione al 3,6%, indice ritenuto di piena occupazione.

È un fatto nuovo e rilevante in questo tempo dove tutto cambia, specialmente dopo che rendimento dei titoli pubblici a tre mesi in USA aveva raggiunto quello dei bond a dieci anni, come è avvenuto: era infatti storicamente accertato che questo indice preannunciava una recessione. Invece no, l’economia americana è ancora in crescita.

Significativo per noi, dove il tasso di disoccupati è al sette per cento e quello riferito alle leve giovanili quasi quattro volte tanto.

Diverso è il caso dell’Europa, dove anche qui si verifica un fatto nuovo: le economie dei Paesi dell’Unione non sono in recessione, ad eccezione addirittura della Germania. Francoforte ha rilevato due trimestri con segno negativo che di norma fanno parlare di “recessione tecnica”.

Le ragioni dell’incaglio della più forte economia europea, come è ritenuta quella tedesca, sono state analizzate con cura dal Fondo Monetario Internazionale, sempre occhiuto e tempestivo.

E sono: primo, le difficoltà a sostituire il gas russo e i costi energetici che ne sono conseguiti; secondo, la frenata registrata dall’economia cinese con conseguenze sull’export tedesco; terzo, l’aumento dei tassi di interesse praticato dalla BCE, proprio sotto la spinta decisiva dei “falchi” tedeschi.

La recessione tecnica verrà probabilmente superata già quest’anno ma per ora abbiamo assistito anche in questo caso a un fatto nuovo.

E noi? Nessun fatto nuovo. Dopo la scorpacciata dei mesi scorsi dei titoloni dei nostri quotidiani a vantare la ripresa italiana rispetto agli altri Paesi europei, il secondo trimestre dell’anno in corso ha registrato in Italia una sbandata con la caduta della produzione industriale e il segno meno nella crescita del PIl. Niente di eccezionale, il terzo trimestre dovrebbe invertire la rotta, quantomeno per il concorso rilevante della stagione turistica, partita tardi ma che già sta facendo il pieno.

Di fatto il breve boom italiano sembra già finito: chiuderemo l’anno con un incremento del PIL intorno a un punto, come ha ragionevolmente ricordato il ministro Giorgetti, e certamente non salteranno i conti. Il rischio, piuttosto, è un altro, quello di ricadere nel lungo decennio con crescita a valori quasi sempre vicini allo zero.

A meno che i fondi del PNRR non comincino a produrre progetti veri, cantieri e opere. Intanto la seconda rata dei fondi non è ancora stata erogata e il pasticciaccio che ha agitato governo, sindaci e operatori non dà ancora certezze.

Noi alla fine siamo sempre gli stessi, sotto tutte le bandiere di destra, di sinistra e di centro. Le riforme vanno avanti a rilento e la politica si continua a fare prevalentemente sui social e sui talk show, con troppi protagonisti che non brillano certo per la capacità di affrontare il tempo che cambia. Corre e cambia.

Guido Puccio

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