Nella formazione del prossimo esecutivo si avverte una diffusa incredulità sul fatto che il governo presieduto da Mario Draghi possa vedere assieme il Partito Democratico e la Lega, il Movimento 5 Stelle e il partito di Berlusconi, Matteo Renzi e Giuseppe Conte. A rileggere il comunicato del Presidente della Repubblica, l’esito finale della crisi, è però già nitidamente delineato.

L’appello di Mattarella contiene infatti due indicazioni molto chiare. E’ rivolto a “tutte” le forze politiche, e poi, contiene l’invito a sostenere un governo “senza alcuna identificazione politica”.

L’elencazione delle emergenze più impellenti prospetta poi scenari altrettanto netti: il nascituro governo sarà un governo d’eccezione; dovrà avere un programma circoscritto alla gestione della crisi sanitaria, economica, sociale, finanziaria, del piano vaccinazioni.

I prossimi giorni ci diranno se sarà un governo tecnico, istituzionale, oppure tecnico-politico. Poco importano le qualificazioni. Quel che conta è la sostanza e gli effetti che ne deriveranno sul sistema dei partiti. Tutto dipenderà dalle scelte che i partiti vorranno compiere, nell’accogliere o nel respingere l’invito di Mattarella.

Alcune verità tuttavia sono già evidenti. La prima, è che i partiti della Seconda repubblica hanno fallito, nel loro insieme, perché si sono rivelati incapaci di auto-legittimarsi. In secondo luogo, il bipolarismo, indotto ed auspicato, non è stato in grado di garantire la stabilità, che ragionevolmente ci si aspettava. Il conferimento dell’incarico a Draghi, al di fuori degli schieramenti tradizionali, ne è la più lampante prova.

Sulle scelte inclusive di Berlusconi, Renzi e Conte è già stato detto tanto. Qualche considerazione in più merita la disponibilità dichiarata dal partito di Matteo Salvini a far parte del nuovo governo. Infatti questa scelta, al di là degli auspici di alcuni suoi dirigenti e degli imprenditori del nord, non sarà capita dall’elettorato leghista e sarà presumibilmente osteggiata anche da altre forze politiche.

Penso tuttavia che il cambio di passo della Lega, se autentico, dovrebbe essere considerato positivamente.

Quanto è successo in Europa negli ultimi quattro anni, a partire dall’amministrazione Trump, non è stato indifferente per noi.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Europa non aveva mai corso tanti rischi di alterazione della propria identità democratica e liberale, a causa dell’avanzamento dei partiti sovranisti e nazionalisti di estrema destra. Germania e Francia stanno dando prova di aver ben chiaro qual è il pericolo da scongiurare. Non così sembra essere per l’Italia.

Per scongiurare “il rischio Italia”, per la prima volta, l’Europa ha accettato l’idea di mettere in comune i debiti dei paesi più indebitati, mandando così un chiaro messaggio di solidarietà europea. Salvini lo ha capito. Sa che, oltre ad avere contro gran parte del popolo italiano, ha contro anche i governi delle maggiori democrazie europee. Auspicando, in base a sondaggi consolidati, di diventare il primo partito alle prossime elezioni del 2023, sa di doversi rilegittimare agli occhi delle cancellerie europee. Quale occasione migliore dell’adesione al neo nascente governo Draghi, il primo difensore dell’Euro e dell’Europa?

La conversione di Salvini, anche se di non facile comprensione ai più, non va osteggiata. Va incoraggiata. Non è dato sapere chi vincerà le prossime elezioni politiche. A prescindere da quell’esito, la conversione di Salvini assicurerebbe, chiunque vinca, che l’Italia resterà saldamente nel concerto delle democrazie europee. Ne guadagnerebbe l’Italia. Ne guadagnerà il sistema politico italiano. Ne guadagnerebbe la democrazia europea.

Guido Guidi

 

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