La incessante e gremita successione di notizie sulla grave emergenza sanitaria in atto ha coinvolto, sin dai primi giorni del suo manifestarsi, anche la reazione dei mercati finanziari che, come sempre succede, hanno anticipato con violenza la crisi dell’economia reale. Tutte giù le Borse mondiali, da quella americana, che volava, fino alla nostra che in una settimana ha perso dodici punti: una botta che non si vedeva dalla grande crisi del 2008.
Non è che l’economia reale andasse bene prima che si scatenasse l’aggressivo “coronavirus”, tra guerre commerciali e tensioni politiche. Noi eravamo addirittura già fermi come confermato dalla caduta della produzione industriale da dicembre e dal tonfo del PIL rispetto a previsioni già riviste al ribasso. Dati veri, che lasciavano intendere se non una possibile recessione certamente la caduta in una fase stagnante dell’economia del Paese.
Ora che le cose si aggravano per l’emergenza sanitaria torna ad aggirarsi lo spettro delle crisi più serie: quella petrolifera degli anni 70’ e quella globale del 2008-09. Due grandi crisi che non si sono certo risolte in breve tempo, che hanno lasciato il segno e che nascevano la prima da uno choc dell’offerta e la seconda da quello della domanda.
Il problema vero, e che i più seri economisti hanno già colto, è che per la prima volta gli scompensi nascono sia dalla offerta che dalla domanda. Dall’offerta perché in Cina, dove l’infezione è esplosa, si è rotta la catena di valore della produzione industriale su larga scala. Dalla domanda perché cadono i consumi, i prezzi delle materie prime e dei noli, le attività come i trasporti, la logistica, il turismo e i servizi praticamente in tutto il mondo dove il virus si sta diffondendo.
Ecco perché la sua potenziale gravità interpella in termini incalzanti capi di Stato, governi, banche centrali, istituzioni finanziarie. Affrontarla non sarà facile perché questa volta la emergenza sanitaria viene prima di quella economica. Quanto dureranno i provvedimenti straordinari per la salute pubblica non è peraltro ancora prevedibile.
C’è poi il problema degli strumenti di politica economica e finanziaria da adottare per affrontare una crisi così complessa in tempi brevi, sperando che si torni alla normalità almeno entro l’anno.
Gli americani hanno ridotto i tassi di interesse con un taglio superiore a quello consueto per stimolare consumi ed investimenti. Ma è una manovra di finanza che peraltro in Europa non avrebbe particolare effetto visto che i tassi sono già prossimi allo zero.
I tedeschi discutono in questi giorni di utilizzare il loro surplus per ridurre le tasse e stimolare i consumi. Hanno i conti a posto e possono permetterselo.
Noi, dopo l’annuncio volonteroso del Presidente del Consiglio di avviare una “cura da cavallo” (sperando che la battuta abbia sorte migliore di quella dell’“anno bellissimo”) non potremo certo nel tempo breve andare oltre provvedimenti congiunturali possibilmente forti come le misure annunciate per imprese e famiglie per 7 miliardi, incentivi più stabili per gli investimenti privati come quelli proposti oggi da Carlo Calenda e magari una riduzione temporanea dell’iva. Sperando di cogliere l’occasione per correggere in fretta riforme sbagliate come quelle di quota 100 per le pensioni e del reddito di cittadinanza a pioggia. Ben venga anche il proposito di partire concretamente con gli investimenti pubblici, anche se questi avranno effetti in tempi più lunghi.
Ne’ potrà mancare un ruolo decisivo dell’Europa, a cominciare da alcune modifiche anche solo temporanee della normativa finanziaria che limita gli interventi dello Stato e dal ruolo della BCE con la immissione di liquidità nel sistema (strano a questo proposito il silenzio della Lagarde che è appena succeduta a Draghi).
Guido Puccio