Siamo davvero ad una svolta nel clima politico del Paese? Oppure il voto del Parlamento sullo scostamento di bilancio non è altro che un siparietto, un’occasionale variazione sul tema di un canovaccio pur sempre finalizzato a stressare il Paese, pur di insistere in una campagna elettorale ininterrotta da parte della destra?
Per fortuna al Colle c’è Mattarella. E’ tempo di dirlo chiaramente. Del resto, lo sanno tutti: il Paese regge grazie al Presidente che rappresenta, ad un tempo, un punto di riferimento e di garanzia politico-istituzionale e morale. L’una cosa senza l’altra non basterebbe, senonché Sergio Mattarella garantisce entrambi i profili e, soprattutto, ne assicura l’armonizzazione.
E’ importante che il Paese capisca che, senza la compostezza di un costume morale, ad un tempo, sereno e severo, senza una lucida e prospettica intelligenza politica degli eventi, nessuna ingegneria politica e nessun apparato istituzionale, più o meno ben calibrato, reggerebbero una sfida come quella che stiamo attraversando. Il Presidente questo assunto lo spiega e soprattutto lo mostra.
Se la svolta fosse effettiva ed il nostro sgangherato sistema politico avesse conservato due dita di saggezza, dovrebbe, fin d’ora, mettere in sicurezza il Quirinale, a costo di chiedere un sacrificio all’attuale inquilino. Ciò consentirebbe, come sta succedendo in questi giorni, di poter sempre contare su un punto d’ approdo comune, magari sia pure in “zona Cesarini” e, cioè, senza le interferenze improprie che abbiamo conosciuto in altre stagioni ”quirinalizie”, bensì rispettando il libero gioco delle forze politiche, almeno finché non si mostri viziato da contrasti pregiudiziali ed insensati.
Questa garanzia non è forse la condizione necessaria perché il confronto politico possa essere effettivamente tale, cioè assumere, piuttosto slabbrarsi in una postura pregiudizialmente divisiva e rissosa, quella dimensione dialettica che consente di “costruire” l’interesse generale del Paese, pur con i mattoni delle istanze particolari di cui ciascuna forza politica si fa espressione?
Il governo fatica e traccheggia. Paga la fatica del PD a dotarsi di una visione chiara, coerente ed organica che si possa proporre agli italiani. Certo è una provocazione invocare alcunché di “organico” nel momento storico in cui la descrizione più accreditata del nostro contesto civile parla di “società liquida”.
Se la fluidità, la scorrevolezza di ciò che si mostra liquido fosse anche quel tanto di scioltezza e di plasticità che, tutto sommato, facilita il compito e consente, destrutturati i vecchi equilibri, di costruirne di nuovi? In quanto ai 5 Stelle ogni occasione è buona per mostrare l’inconsistenza di un movimento senza capo, né coda che, non a caso – pena una ulteriore e progressiva dissoluzione – è costretto ad impiccarsi ad alcune parole d’ordine – vedi la contrarietà al MES – incautamente “giurate” in un contesto del tutto differente dall’attuale eppure del tutto inamovibili, in quanto assunte come “totem” della propria identità.
Senonché è sempre più arduo immaginare che il delicatissimo equilibrio politico ed economico-finanziario del Paese debba reggersi su assunti che ogni altra forza della maggioranza ritiene pregiudizievoli ed assurdi.
In quanto alle opposizioni non resta molto da dire. Berlusconi ha imposto la linea ed è al limite tra il ridicolo ed il patetico lo spettacolo in cui si sono esercitati Salvini e la Meloni, cercando di spacciare la resa per una clamorosa vittoria. In effetti, hanno colto l’occasione per rientrare nei ranghi, almeno per quel pò di tempo che consenta loro di riprendere fiato.
Di fatto, sono sempre dominati dalla paura che il governo, pur cigolando come una vecchia carretta, ce la stia facendo senza di loro e gli italiani finalmente lo capiscano. Del resto, basta analizzare il loro linguaggio, nella stessa conferenza stampa seguita al voto alla Camera, per rendersi conto della loro inettitudine a governare.
Altro non fanno che elencare i loro presunti “beneficiati”, cioè le categorie che ritengono di rappresentare e proteggere sul piano dei loro interessi specifici, al di fuori di ogni intenzione e capacità di farsi carico di quell’interesse generale del Paese che garantisce i diritti di ognuno al prezzo dei doveri di ciascuno.
Domenico Galbiati