Ricondotta alla sua ultima istanza, la posta in gioco delle prossime elezioni europee è l’idea che l’Europa ha di sé stessa. O l’ Europa rattrappita sul sovranismo populista, demagogico e farlocco di Salvini o del nazionalismo “retro’” e nostalgico della Meloni, oppure, un’Europa  cosciente del compito che le compete e sappia guardare oltre i propri confini.

La prima, investe sulle paure degli europei, sui ricordi accidiosi delle guerre fratricide, sull’acquiescenza passiva nei confronti di un accadere della storia da cui si ritrae, sulla cervellotica illusione di poterla sfangare da soli, ciascuno per sé. La seconda, accetta la lezione che la sua stessa storia le impartisce, l’onere e la responsabilità che deriva dalla sua straordinaria maturazione culturale e morale, filosofica ed artistica, sociale e civile. Una vicenda che da millenni, dalle sponde dell’Egeo e da Gerusalemme, idealmente europea, giunge a Roma e poi pervade, ricca di tanti altri apporti, ogni città, ogni paese, di questa estrema penisola della grande piattaforma continentale euro-asiatica che chiamiamo Europa.

Come sostenne Joseph Ratzinger, allora Cardinale, non è facile stabilire quale sia il confine geografico dell’ Europa.
Ammesso che ci sia o non rappresenti, piuttosto, una linea di demarcazione mobile, in ragione della condivisione o meno, in determinate fasi storiche, da parte dei popoli che potenzialmente vi afferiscono, dei capisaldi della sua cultura.
L’ Europa, infatti, è, in primo luogo, una condizione dello spirito, un’ idea che l’ uomo ha maturato di sé stesso, una civiltà, un atto di fiducia nella creatività e nella libertà della persona, la convinzione che la storia non sia un cumulo disordinato di eventi sconnessi, ma un divenire sensato. Un’ idea alta al punto che non può essere trattenuta dentro un confine e va intesa come ambizione da coltivare, dono da trasmettere.

La prima, di sua natura, non può fare a meno di cadere in quei conflitti che già le appartengono. La seconda può, sia pure faticosamente, riflettere, sulla scorta di tanti filosofi ed anche di grandi utopisti che hanno abitato le sue terre, su un progetto di pace, da assumere come suo compito storico. Addirittura “perpetua”, come la immaginava Kant?

Gli impegni cui l’ Europa dovrà attendere nei prossimi anni – dalla revisione dei trattati, alla difesa comune, dal fisco, alle politiche industriali, da quelle agricole, al tema delle migrazioni, dalle politiche di sicurezza, alle nuove forme di welfare, dal sostegno alla ricerca scientifica, alle politiche ambientali – sono imponenti ed esigono di essere affrontati assumendo una linea che consenta di coordinare la pluralità dei versanti che dovranno essere presi in carico. E’ forse una tesi azzardata pensare che un’ Europa sostanzialmente incapace di una qualche proposta diplomatica in ordine ai conflitti in corso, possa assumere un ruolo significativo sulla scena internazionale. Eppure, il “multilateralismo”, pur nel rispetto rigoroso della sua tradizione atlantica e della sua vocazione occidentale, offre all’ Europa spazi di possibili iniziative orientate ad un nuovo equilibrio mondiale più meditato e più giusto.

Certo ad essere dirimenti sono pur sempre il potere della armi, il peso delle economie, il primato tecnologico di cui una potenza si avvale. L’autorevolezza che deriva dalla storia, dalla cultura, dalla coscienza civile dei popoli non può essere cancellata d’un tratto. Purché si sappia che la prima forma di unità di cui l’ Europa ha bisogno è quella morale, la capacità di superare le residue diffidenze e le gelosie interne, guardando al compito storico che l’ attende. al di là dei propri confini, per la costruzione di una pace solida, non declamata, ma politicamente strutturata.

Domenico Galbiati

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