Come succede nei tribunali per la legge, anche negli ospedali e negli altri luoghi di cura, dovrebbe campeggiare, fin dalla soglia d’ ingresso, un’inscrizione che reciti: “La salute è uguale per tutti”. Che poi – e per la salute come per la legge – sia davvero così è un altro paio di maniche. Ma il principio merita, in ogni caso, di essere affermato, come criterio ed obiettivo irrinunciabile.
Senonché, per la salute la questione rischia di essere via via compromessa sul piano fattuale e, fors’anche, sia pure in modo sottaciuto, anche per quanto concerne il principio. Si moltiplicano, infatti, i timori relativi al collasso della sanità pubblica e gli appelli autorevoli finalizzati a rivendicare la difesa del “servizio sanitario nazionale” secondo i principi di universalità, di equità e di eguaglianza che ispirano la legge generale di riforma del sistema sanitario che risale all’ ormai lontano 1978. Anche il Forum delle società scientifiche di indirizzo clinico ha assunto, nel merito, in questi giorni, una chiara e dura posizione. Di questo passo siamo destinati ad approdare ad un sistema sanitario – ed, in certa misura già ci siamo – a doppio regime di tutela del diritto alla salute.
Sono poco meno di due milioni gli italiani che, già oggi, rinunciano a curarsi perché non ce la fanno economicamente. Ed ammonta a quasi quaranta miliardi l’ importo di spesa sanitaria che le famiglie pagano di tasca propria. Né si comprende se il governo intenda contrastare questa polarizzazione che compromette il rispetto del pieno diritto di cittadinanza di molti. Oppure se, facendo orecchie da mercante, intenda, di fatto, lasciare che questa progressiva involuzione avvenga, in qualche modo, da sé, nella misura in cui la consideri fatale ed inarrestabile e giudichi finanziariamente insostenibile il contrastarla, privilegiando, piuttosto, altri indirizzi di spesa pubblica. A meno che non ritenga addirittura opportuno favorire, sia pure artatamente, la “liberalizzazione” o meglio la sostanziale privatizzazione del sistema, abbandonandone, di fatto, la pretesa universalistica. Pur senza assumere programmaticamente ed in modo esplicito questa linea, ma attendendo che, ad un certo punto, se ne debba prendere atto per forza di cose, come se non fosse colpa di nessuno, se non della ineluttabile fatalità degli eventi, incamminarci verso una tale deriva. Cosa che contraddirebbe la più importante conquista sociale del ‘900.
Non è che la questione si risolva chiamando sul banco degli imputati il governo in carica. Il quale ha sicuramente una rilevante responsabilità in ordine all’ entità dei finanziamenti riservati al SSN, che sono solo apparentemente incrementati, ma di fatto erosi dall’ inflazione e dalle coperture contrattualistiche cui è d’obbligo provvedere. La responsabilità del governo concerne anche quell’ indugiare accondiscendente attorno alla cosiddetta “autonomia differenziata” pretesa dalla Lega e destinata a spingere il sistema sanitario verso divaricazioni tra Regioni francamente avvilenti ed insostenibili, soprattutto lesive della dignità di molti cittadini, in barba alla retorica nazional-patriottarda.
La crisi della sanità pubblica viene da lontano e tutte le forze politiche – sinistra in testa – recano il loro fardello di responsabilità.
Domenico Galbiati