Un partito nasce da una passione civile che non si esaurisce nella meccanica di soluzioni asettiche, sia pure ineccepibili sul piano di una studiata razionalità, ma algide ed incapaci di accendere un sentimento.
Per molti aspetti lo si può considerare una persona collettiva. E’, infatti, un soggetto di relazioni, di mille rapporti interni ed esterni, in cui si intrecciano riflessioni ed emozioni incardinate in un’ identità che, ad un tempo, permane ed evolve. I suoi primi anni di vita ne segnano il carattere per sempre, come se si trattasse di un bambino la cui prima consapevolezza di sé si accende rispecchiandosi nel sorriso della madre. Anche un partito nasce rispecchiandosi in una storia, in una cultura che lo precede e detta quell’ orientamento di fondo che, sia pure ancora indeterminato sul piano dei contenuti, ne rappresenta la cifra e la condizione previa di ogni ulteriore elaborazione tematica.

Si può forse applicare anche ad una forza politica quello che Heidegger sostiene relativamente alla conoscenza in generale. Il corretto uso della ragione non può che essere preceduto da una apprensione originaria che, si potrebbe dire, è qualcosa di più di un’intuizione, qualcosa di meno di un pensiero strutturato, bensì ne rappresenta il substrato necessario nella misura in cui costituisce quel portato irriducibile che sortisce dalla coscienza di ognuno e dà forma ad una concezione di cosa siano la vita e la storia.

Per questo i partiti veri nascono da una lunga gestazione, da processi policentrici di progressiva convergenza attorno ad un nucleo comune. Nascono nella temperie di una fase storica particolarmente intensa, laddove una condizione di difficoltà, apparentemente insuperabile, genera una creatività del pensiero ed un ardore dell’ azione inaspettati. Nascono soprattutto nel pieno della controversia sociale vissuta in prima persona, dalla quale si distillano le categorie interpretative che rappresentano, a loro volta, l’impalcatura dell’ azione politica.

Non si dà formazione politica se non esercitandone la funzione sul campo, misurandosi corpo a corpo con le questioni che maggiormente premono in quel determinato frangente storico. Per questo anche in ambito cattolico – sempre che si ritenga che una cultura politica ispirata al personalismo cristiano debba avere un ruolo attivo per transitare oltre le sfide del momento – è necessario non limitarsi alla “formazione delle coscienze” oppure fermarsi ad una funzione di “lievito”. E’ indispensabile buttarsi in acqua.

S’impara a nuotare né ascoltando lezioni teoriche né osservando come lo fanno altri. S’impara solo provandoci ed accettando il rischio di un piccolo personale naufragio. Occorre, cioè, affrontare quel passo piccolo, ma dirimente che INSIEME ha voluto e saputo compiere, passando dal cosiddetto “pre-politico” – attorno a cui i cattolici hanno largamente discettato anche nella recente campagna elettorale – all’impegno politico e militante, diretto e personale. Assumendo, come nel nostro caso, un compito che sappiamo essere superiore alle nostre forze, ma che pur va affrontato.

Con ogni probabilità uno dei motivi che hanno determinato la sconfitta del polo di centro-sinistra – o meglio della sinistra tout-court – è stata anche questa atonia del sentimento e la deriva politologica e tecnocratica di una proposta politica che al “pathos” di una missione, ha sostituito la logica meccanica e fredda dell’ “algoritmo”. Al linguaggio limpido del popolo che soffre e vive il momento storico e lo traduce in domanda politica, la voce artefatta di un messaggio elitario, appagato dalle sue eleganti torsioni intellettualistiche che poco o nulla hanno a che vedere con quella “popolare” intelligenza delle cose che spesso si affida ad un linguaggio elementare e rude, ma, per ciò stesso, fortemente espressivo.

Anche la politica, insomma, ha a che vedere con l’ empatia e deve saperci fare i conti, se intende essere viva, democratica e partecipata, se vuole entrare nel corpo vivo del momento storico per orientarne il corso, piuttosto che accarezzarne la superficie, per lo più per il verso del pelo, cioè assecondandone lo spontaneo sviluppo, a prescindere da ogni giudizio di valore.

Domenico Galbiati

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