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La sinistra di D’Alema e il sistema elettorale “alla tedesca”- di Domenico Galbiati

Va riconosciuto che D’Alema rappresenta una delle poche, pochissime voci che nel cicaleccio di una politica quotidianamente dissolta nella chiacchera dei talk-show, anche quando lo fa nello spazio contenuto di una intervista, riesce ad andare al cuore delle questioni aperte. Che si convenga o meno su questo, le sue opinioni hanno il merito di sollecitare una riflessione che va oltre il ping-pong del tatticismo affannoso e strumentale e i polveroni sollevati in modo da impedire che si colga anche solo il lontano profilo della possibile evoluzione del nostro sistema politico-istituzionale.

Dunque, secondo quanto D’Alema afferma nella sua recente intervista al Corriere della sera, alla sinistra servirebbe un “partito nuovo”. O piuttosto una nuova politica ? Al di là del partito che, come viene riconosciuto, le è necessario – purché in termini radicalmente nuovi, del tutto differente dai classici partiti di massa , anzi in forma di ”associazione politica”, concetto che andrebbe approfondito – non sarebbe forse legittimo attendersi un deciso colpo di barra che consenta alla sinistra di riscattarsi dalla china radicaleggiante su cui scivola ed indugia e di riscoprire la sua antica vocazione popolare e, quindi, concorrere a liberare il Paese dai lacci di quella costrizione bipolare che sta, ogni giorno di più, degradando il confronto politico?

Intanto,  il PD prenda finalmente atto del fallimento del suo disegno originario e, quindi – si lascia intendere – sacrifichi “bipartitismo” e relativa “vocazione maggioritaria” ad un disegno nuovo. Il quale, peraltro, se volesse davvero rifarsi al modello tedesco, come sembra proporre D’Alema, dovrebbe avere il coraggio di assumerlo nella sua effettiva sostanza di sistema elettorale proporzionale, sia pure corretto da soglie ragionevoli, che, in certo qual modo, non impediscono a nessun partito di ottenere eventualmente una rappresentanza parlamentare, perfino a dispetto della soglia, qualora un suo candidato prevalga in uno o più collegi uninominali.

Oppure, immaginiamo che spetti ancora al Pd da una parte e, per contro, a Salvini dall’altra, dare le carte e preordinare i due schieramenti avversi, costringendo di fatto le formazioni minori a gravitare loro attorno ed immaginando, nel caso del centro-sinistra, di poter infine condurre all’ovile anche il Movimento 5 Stelle, dato che, se proprio non è una costola della sinistra, poco ci manca?

Il tutto, insomma, ridisegnato e riscritto, sempre a tavolino, secondo l’ antico vezzo egemonico? Lo stesso che, sotto le spoglie di un più elastico “bipolarismo”, di fatto,  – come oggi D’Alema ammette candidamente – intendeva trattenere in una morsa anche più stringente, cioè in forma di “bipartitismo”, quella insopprimibile, plurale ed articolata ricchezza del nostro Paese, cui andrebbe riconosciuta la facoltà  di dirsi anche sul piano delle opzioni politiche.

Intanto, adottando una legge elettorale proporzionale. In modo tale che, almeno potenzialmente, forze minori, cominciando magari da quelle citate nell’intervista, possano, se lo ritengono, sfidare l’azzardo di una presenza autonoma, in nome dei loro convincimenti, piuttosto che adattarsi a cantare nel coro.

Insomma, da questo gioco dell’oca  ne esce una volta per tutte oppure, comunque si tirino i dadi, si viene pur sempre rinviati alla stessa casella, in nome di una ossessione bipolare inossidabile? Sia pure apparentemente addolcita con gli eccipienti che dovrebbero rendere meno sgradevole la pillola.

Qualunque sia la suggestione degli eventi nel  libero accadere di un tempo di mutamenti accelerati e subentranti, è pur sempre pronta la camicia di forza della “convenzione” bipolare, sottoscritta dai due schieramenti, in cui ficcarli e costringerli a viva forza, essendo tale schema, a quanto pare, ritenuto come l’unica opzione possibile di “governo” dei processi che maturano e ribollono nella complessità sociale e, nel contempo, una garanzia che volentieri le due parti in causa  si scambiano e vicendevolmente si assicurano?

Peraltro, l’ammissione che, ad ogni modo, è necessario cambiare gioco, dimostra come sia la chiusura pregiudiziale del sistema bipolare a non reggere, poiché fortunatamente anche in politica, la vita è più ricca di qualunque schema in cui la si voglia imprigionare.

Di questo è necessario prendere atto e da lì ripartire predisponendo strumenti, a cominciare, appunto, dalla nuova legge elettorale, che permettano al Paese di respirare a pieni polmoni.

La “coazione” bipolare o bipartitica che fosse – questo è importate da comprendere – trionfalmente promossa e sostenuta come la magica soluzione “sistemica” e strutturale dei limiti e delle precarietà del nostro apparato politico-istituzionale non ha retto ed è stata sconfitta da una vitalità della vita sociale, culturale, civile ed infine politica del Paese che, per quanto arruffata e confusa, ha esercitato una pressione che non si può contenere artificiosamente e, dunque, per forza di cose, ad una certo punto, irrompe sulla scena.

Del resto, la pretesa di preordinare e costringere comunque il confronto politico entro un alveo a tutti i costi bipolare, ottenuto artificiosamente attraverso leggi maggioritarie, mostra che le forze politiche, soprattutto le maggiori che fungono da attrattore attorno a cui coagulare il polo di centro-destra da una parte e quello di centro-sinistra dall’altra,  hanno scarsa fiducia sia in sè stesse che nella maturità  politica e nella autonoma capacità critica dell’elettorato che merita di essere restituito alla sua piena ed effettiva sovranità.

La quale, spesso, nel tratto conclusivo della corsa elettorale, viene esposta al sottile ricatto del cosiddetto “voto utile”, destinato a restringere forzosamente la pluralità delle opzioni disponibili.

Aggiunge giustamente D’Alema che una forza politica, la quale, anziché svaporare nel rito delle primarie, intenda costruire una proposta seria ed organica, ha bisogno di rifarsi ad una visione. Purché non caschi nel tritacarne delle ideologie, che, per loro natura, danno luogo a sistemi chiusi che  pretendono di dedurre da assiomi certi  inferenze altrettanto indubitabili al punto da misconoscere la realtà ove le contraddica.

Abbiamo piuttosto bisogno di sistemi aperti che, anziché arroccarsi su logore parole d’ordine, prendano a riferimento pochi valori, principi e criteri di orientamento e siano, quindi, in grado di ragionare induttivamente, in modo da apprendere dall’esperienza e dall’ascolto del fenomeno sociale così come liberamente si manifesta.

Domenico Galbiati

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