Sull’impatto, assai significativo, che la nomina del cardinale Matteo Zuppi alla Presidenza della Conferenza episcopale italiana avrà probabilmente sulla vita della comunità ecclesiale (cattolica) del nostro paese molto si è detto nei giorni scorsi. E molto ancora probabilmente si dirà da parte tanto di chi conosce bene tale comunità, le sue attuali dinamiche, e le sue grandi potenzialità, quanto da parte di esperti e da commentatori dagli interessi più ampi, meno specialistici, ma giustamente anch’essi entusiasti per la scelta effettuata da Papa Francesco.

E’ infatti indispensabile, per cogliere tutta la rilevanza di questa nomina di Papa Francesco, aggiungere un’altra notazione: che la scelta nella persona del cardinal Zuppi trova una ulteriore rilevanza nel fatto che essa è stata favorita da una valutazione che ha riguardato un’ampia parte dei vescovi; e che, in più, forse per la prima volta è stata presentata al Papa un “terna” abbastanza omogenea, al di là delle esperienze e delle caratteristiche dei tre che maggiormente hanno ricevuto il sostegno degli oltre 200 vescovi partecipanti al voto. Il segno di quanto l’intera comunità dei cattolici italiani riponga in questa scelta le proprie speranze di  un autentico e largamente richiesto cambiamento di una delle chiese europee apparse nel corso degli anni come più “affaticate”.

 Può sembrare pleonastico dirlo, ma la misura di quanto fosse – e ancor più sia oggi – atteso e desiderato il vento di novità che la scelta del cardinale Zuppi promette, appare ancora più chiara se si prende in considerazione la terna offerta alla scelta del Pontefice, e dove “don Matteo” figurava comunque in prima posizione. Ma nella quale c’erano anche il cardinale di Siena, Augusto Paolo Lojudice, anch’egli come Zuppi proveniente da quella chiesa romana profondamente immersa nel rapporto con le gravi condizioni di disagio e di vera e propria sofferenza che interessano tante borgate e tanti quartieri delle Capitale, e poi il vescovo di Acireale e Presidente della Conferenza episcopale siciliana, Antonino Raspanti.

Il futuro e il Concilio

Guardando alla triade, insomma, diventa ancora più manifesto come si sia voluto da parte della Comunità ecclesiale indicare, con più esplicita determinazione di quanto non sia avvenuto nel passato l’opportunità, se non la vera e propria necessità, di continuare con maggior forza quel lungo cammino di rinnovamento che trova le sue radici fin nel Concilio Vaticano II.

Ma questo non è tutto. Oltre che del fabbisogno, bisogna tener conto delle aspettative. Anche da parte dei più prudenti tra coloro che osservano in maniera permanente e professionale la società civile italiana e i confusi fenomeni politici e pseudo-politici che la travagliano, sarebbe infatti difficile affermare che questa scelta di Papa Francesco non sia destinata ad avere, o – meglio – non abbia già espresso un forte significato, nel quadro italiano, e forse anche nel più ampio quadro internazionale.

Un’immediata conferma se ne è avuta appena tre giorni dopo la scelta pontificia, il 27 Maggio 2022, in occasione della consueta conferenza stampa conclusiva dell’Assemblea Generale dei Vescovi. Occasione in cui – anche se alcune domande hanno morbosamente insistito sui casi di abusi ai minori di cui la Chiesa sembra occuparsi con altrettanta, se non maggiore, attenzione di quella ad essi dedicati dai media – si è avuta una chiara e incoraggiante indicazione di come si collocherà d’ora in poi la società religiosa italiana di fronte alla sempre più diffusa condizione di sofferenza, fisica e spirituale, di ampie fasce della popolazione, di esseri umani in carne ed ossa, che sembrano essere entrate a far parte del “selciato” su cui duramente cammina la storia.

Troppe volte – ha detto il Cardinale Zuppi – “rispetto a questi figli della Chiesa, mentre sembravamo ascoltare, abbiamo avuto la testa da un’altra parte”. Ed è perciò importante che – “anche a rischio di farsi ferire” – oggi venga una esplicita e deliberata scelta di ascolto. Anche quando non si è in grado di rispondere immediatamente, ma per almeno meglio poter riflettere sulle tante antiche, e sulle molte nuove cause di sofferenza.

L’arma atomica

 Per chi ha cercato di seguire la vita della società religiosa con un po’ di attenzione e con quel briciolo di amore di cui è qualche volta capace l’animo umano, non è difficile fare l’elenco delle necessità rispetto alle quali non da oggi è stata da parte della Chiesa manifestata e concretamente applicata una priorità. Ma su due di esse, con un interessante elemento di novità, è battuto l’accento del nuovo Presidente dei vescovi italiani. In primo luogo sul disarmo atomico, sul quale il Cardinale Zuppi si è soffermato nella Conferenza stampa conclusiva.

Come reso più evidente che mai, da molti decenni a questa parte, dai recenti sviluppi bellici e dalla minaccia concreta che essi si estendano ad altri paesi e si tramutino in una guerra assai più tragica e mortifera, è necessario che sia data maggiore enfasi ed impegno alla Campagna a favore del Trattato sul Divieto delle armi nucleari. Un Trattato, questo, che esprime la posizione dei popoli “deboli”, e storicamente sottomessi, del Sud del mondo. Ed un trattato cui significativamente non aderiscono – anzi non hanno nemmeno formalmente partecipato ai negoziati preparatori – ben 66 paesi “del Nord”, tra i quali spiccano gli USA, la l’Inghilterra, la Russia, la Francia, la Cina, Israele, l’India, il Pakistan e la Corea del Nord. Ma un trattato che è stato nondimeno adottato nel 2017 da una apposita Conferenza delle Nazioni Unite, con il voto favorevole di 122 Stati, contro un solo voto contrario (i Paesi Bassi) e una sola astensione(Singapore).

Allo stato attuale, tra i paesi europei, cioè tra i paesi del continente sul cui territorio si combatte la più feroce e pericolosa guerra guerreggiata dal 1945, il trattato vincola solo la Santa Sede, l’Austria, l’Irlanda, Malta, San Marino, ed il Lichtenstein. Il governo di Roma, come quelli di tutti gli altri paesi più importanti, non ha ancora accettato il Trattato, anche se l’Italia, che è uno dei cinque membri della NATO ad ospitare armi nucleari statunitensi sul proprio territorio, ne avrebbe evidente e diretto interesse, sia pure in semplici termini di sicurezza nazionale.

Gli “omicidi bianchi”

All’elenco delle “sofferenze” cui la chiesa ha dimostrato negli ultimi anni sensibilità sempre crescente, il nuovo Presidente della CEI, ha voluto aggiungere altri due temi, non solo quello – oggi sentito n maniera crescente – della violenza sulle donne, ma anche quello relativo ai morti sul lavoro. E questo, che ogni giorno si impone con maggiore drammaticità nel confuso vociare della società italiana – sembra davvero essere l’importantissimo punto nuovo emerso dalla presentazione del Cardinale Zuppi.

Tra i tanti rischi mortali che si possono correre sul posto di lavoro – ha scritto a questo proposito una giovane e brava studiosa, Isabella Piro – “ce n’è uno sempre in agguato: quello di abituarsi. Abituarsi alle morti sul lavoro, … al fatto che è possibile, quasi normale, perdere la vita mentre ci si guadagna da vivere.” Ed infatti una triste e sciocca abitudine fa sì che questi incidenti che spezzano la vita di umili esseri umani che cercano solo di dare alla propria famiglia l’indispensabile per sopravvivere, vengano chiamati “morti bianche”, quasi fossero trascurabili danni collaterali da accettare ed archiviare con un sospiro. Un modo di dire che stempera e derubrica l’accusa implicita nel termine in uso fino a circa trent’anni fa, il termine “omicidii bianchi”, cioè casi di omicidio in cui i responsabili – assai spesso i datori di lavoro – la facevano sistematicamente franca.

Di questi casi, in Italia, se ne contano circa due al giorno. Una macabra contabilità che finisce però per mettere in ombra la spaventosa dimensione che il fenomeno assume su scala internazionale. Come è stato di recente documentato dal primo Rapporto congiunto pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Organizzazione internazionale del lavoro. Si tratta di stime sulle malattie e gli infortuni sul lavoro riscontrati in 183 Paesi del mondo. E solo per il 2016, danno atto di 1,9 milioni di morti premature, e che si sarebbero potute prevenire.

A questa ininterrotta tragedia Papa Francesco ha fatto un esplicito riferimento nell’omelia della Santa Messa della notte di Natale, pronunciata il 24 dicembre scorso nella Basilica vaticana: “Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro. Nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! E impegniamoci per questo”.

Morti sul lavoro, e mortale minaccia atomica per la stessa sopravvivenza della vita sul pianeta. Tra le tante cause di sofferenza che la società contemporanea impone agli esseri umani, due sono dunque state messe particolarmente in luce nella Conferenza stampa di qualche giorno fa.

Con poche parole, e con la modestia che lo caratterizza e che lo fa essere così popolare ed amato tra coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo, il nuovo Presidente della Cei, il Cardinale Matteo Zuppi, ha così, nel momento di assumere una nuova, enorme responsabilità, posto due grandi obiettivi politici e morali davanti a tutti coloro che – correndo il rischio di bestemmiare – osano definirsi cattolici. O almeno due punti di riferimento verso i quali tentare, se ne sono capaci, di orientare le loro piccole forze individuali e la loro buona volontà.

Giuseppe Sacco

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