Lo strapotere di Washington è morto, e anche il sistema bancario non si sente tanto bene. I social network hanno completamente rivoluzionato le nostre esistenze, intaccando ogni aspetto della nostra società. Tutti tranne uno: i soldi.
John Maynard Keynes, 1944. Mark Zuckerberg, 2019. Un filo rosso lungo settantacinque anni unisce due proposte nate dalla medesima idea di fondo: far saltare il banco degli assetti monetari globali, rivoluzionare le coordinate degli assetti finanziari.
Nel 1944. Le potenze occidentali, reduci dal trauma della Grande Depressione, si ritrovano a Bretton Woods in cerca della quadra per garantire nuovi equilibri. Qui Keynes avanza un’utopia chiamata bancor: una moneta globale internazionale, basata sul paniere delle principali materie prime dell’epoca. Sappiamo come andò a finire. Il bancor fu bocciato in favore del dollaro convertibile in oro, la pietra angolare su cui gli Stati Uniti costruirono il proprio colonialismo finanziario.
Nel 2019. Lo strapotere di Washington è morto, e anche il sistema bancario non si sente tanto bene. I social network hanno completamente rivoluzionato le nostre esistenze, intaccando ogniaspetto della nostra società. Tutti tranne uno: i soldi. Bitcoin e relativi epigoni si sono rivelati fuochi di paglia, ma riprendendo la tecnologia della blockchain su cui si basano le cryptocurrencies, Mark Zuckerberg annuncia in pompa magna l’inizio del progetto “Libra”.
È la valuta digitale di Facebook. La prima a essere legata a un basket di valute internazionali correnti, «pesate» a seconda della grandezza dell’economia di riferimento: 50% dollaro Usa, 18% euro, 14% yen giapponese, 11% sterlina britannica, 7% dollaro di Singapore. Con Libra, chissà se con cognizione di causa, Zuckerberg di fatto aggiorna il concetto di bancor e lo porta nella contemporaneità della finanziarizzazione totale dell’economia: niente più materie prime, solo valute.
Una mossa che dovrebbe teoricamente garantire una certa immunità dalla speculazione, svincolando la moneta dalle banche centrali che decidono quanto e quando emettere valuta. Ma, allo stesso tempo, intende esautorare i medesimi istituti bancari dell’enorme influenza che esercitano sulla finanza globale, candidandosi a super-moneta alternativa al dollaro. Una valuta egemone e, per la prima volta in assoluto, indipendente dagli interessi di uno Stato nazionale. Un colpo mortale inferto al sistema del Minotauro Globale descritto da Yannis Varoufakis: il mostro finanziario a stelle e strisce alimentato dal riciclaggio delle eccedenze degli scambi commerciali globali, ovviamente in dollari.
Al momento Libra è sostanzialmente fermo ai blocchi. Le autorità statunitensi, sollevando critiche circa l’adesione della criptovaluta agli standard antiriciclaggio e alle norme in vigore nel mercato valutario, hanno chiesto a Facebook di sospendere il progetto chiedendo chiarimenti. A metà ottobre, i partner di peso del progetto – Visa, MasterCard e
PayPal, tra gli altri – si sono tutti sfilati nel giro di ventiquattro ore, rimandando una futura adesione all’esito dei check delle autorità competenti americane.
Pochi giorni dopo Mark Zuckerberg, durante un’audizione al Congresso statunitense, metteva in guardia i legislatori, delineando una realtà dei fatti ancora piuttosto indigesta. Il mondo è cambiato, il dominio incontrastato degli Stati Uniti post guerra fredda è già finito e l’introduzione delle valute digitali nelle nostre vite non è più un trip da tecno-utopisti, ma è una realtà concreta già all’orizzonte. È il nostro domani. E se non lo faranno gli Stati Uniti, attualizzando un contesto normativo ormai scollato dalla realtà digitale, lo farà presto qualcun altro. Dove “qualcun altro” si legge Cina.
Si tratta, però, di una mezza verità. Il paradosso è che mentre Zuckerberg, nella land of the free and home of the brave, è fermo al palo dei checks and balances democratici, Pechino, dotata di confini tra pubblico e privato eufemisticamente piuttosto labili, è in vantaggio anni luce nei processi di digitalizzazione della vita economica dei propri cittadini. E nel piegare i regolamenti vigenti alle cosiddette esigenze del mercato.
La Cina già oggi è virtualmente un Paese quasi del tutto cashless, con giganti come Alipay e WeChat Pay a controllare il 94% di transazioni digitali che non sono più l’eccezione, ma la norma. Con le app si paga letteralmente tutto, dal biglietto dell’autobus alle merendine, dalle bollette al conto al ristorante. Secondo Bloomberg, i consumi pagati via smartphone rappresentano in Cina il 16% del Pil, contro l’1% negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Da anni Pechino progetta di compiere un ulteriore passo in avanti, iniziando a emettere una moneta digitale di Stato, al momento ancora senza nome. Il governatore della Banca centrale cinese Yi Gang, riporta il «Financial Times», ha però spiegato che «non si tratta di creare una nuova valuta, come bitcoin o Libra, ma di digitalizzare una parte della base monetaria cinese, ovvero del contante già in circolazione».
Il nuovo yuan-digitale, probabilmente utilizzando una sorta di blockchain centralizzata controllata dal governo cinese, sarà quindi emesso dalla Banca centrale cinese e distribuito al resto delle banche tradizionali, fino a finire nel wallet digitale di chi lo vorrà. Una rivoluzione che andrà probabilmente a colpire le compagnie private cinesi che al momento monopolizzano il mercato dei pagamenti digitali e che, soprattutto, finirà per «garantire a Pechino una sorveglianza senza precedenti sui flussi monetari, dando alle autorità cinesi una capacità di controllo sull’economia che la maggior parte delle banche centrali non ha».
Secondo Mu Changchun, a capo dell’istituto di ricerca sulle valute digitali della Banca Centrale cinese, il governo darà la possibilità di effettuare transazioni anonime «a chi ne farà richiesta». Ma d’altro canto, «occorrerà trovare un equilibrio tra un ‘anonimato controllato’ e le questioni di antiriciclaggio, finanziamento del terrorismo, tassazione, gioco d’azzardo online e ogni altra attività criminale elettronica». Gli stessi ostacoli posti di fronte a Libra dalle autorità statunitensi.
Non è ancora chiaro quando Pechino introdurrà la propria moneta digitale nel mercato ma, stando a quanto dichiarato fino ad ora dalle autorità cinesi, il pericolo che lo yuan-digitale possa scalzare il dollaro come valuta di riferimento globale, è ancora lontano. Scrive Kenneth Rogoff, professore di economia all’Università di Harvard, sul «Guardian»: «La pesantezza nel controllo dei capitali, la quantità limitata di bond e titoli azionari stranieri e la generale opacità del sistema finanziario cinese lasciano lo yuan lontano diversi decenni dal soppiantare il dollaro nell’economia globale legale».
È comunque su questo terreno che si sta già consumando l’ennesimo scontro tra i due sistemi capitalistici dominanti, quello cinese e quello statunitense. La posta in palio è lo standard delle monete digitali che verranno. Il potere di plasmare a piacimento il domani di tutti noi.
Pubblicato su IDiavoli.com