Il noto “ Beveridge report”, lo storico rapporto parlamentare inglese del 1942 che è alla base delle riforme del dopoguerra,  fu un passaggio fondamentale per la cultura e la politica dell’Europa Occidentale. E’ stato un importante strumento politico per la diffusione di benessere sociale. Il principio che stava alla base del rapporto è che il benessere di una società non è dato dalla elevata e crescente quantità prodotta di beni, bensì dalla quantità e qualità dei beni consumati. Questo principio diede origine alle politiche di redistribuzione del reddito che hanno caratterizzato la politica sociale dell’Europa della ricostruzione post-bellica. La redistribuzione del reddito è stata indispensabile alla formazione del nuovo benessere, dal momento che era convinzione delle forze riformiste che il funzionamento del mercato non garantiva il trasferimento dei beni in misura gratificante  per i ceti sociali più deboli.

Con il rapporto Beveridge si costituisce lo Stato sociale, che si è prefissato di sostenere la dignità della persona e l’equità della vita sociale. Le politiche di Welfare state che ne derivarono cercarono d’essere il contro altare al mercato, ritenuto funzionale alla realizzazione di una società efficiente, ma egoista nella sua logica individualista di  redistribuzione del benessere.

Al centro delle politiche di Welfare state c’è lo Stato, che è il protagonista della lotta  alle disuguaglianze sociali con l’uso di  un’offerta adeguata di servizi sociali , il più delle volte gestiti direttamente. Va detto, a questo proposito, che nei vari decenni c’è stato un eccesso di Stato che ha prodotto, almeno in Italia, una dipendenza assistenziale e un annullamento della responsabilità dei singoli cittadini.

Infine, lo squilibrio tra il crescente fabbisogno finanziario e la crescente domanda di una rinnovata qualità dei servizi sociali mette in crisi definitivamente l’offerta tradizionale di welfare state, divenuta economicamente non più sostenibile.

Cambia, soprattutto in questi ultimi anni, l’oggetto dell’offerta prioritaria del Welfare : il lavoro. La rivoluzione digitale crea un nuovo contesto lavorativo. Il digitale specificamente per chi è soggetto passivo (i lavoratori con le mansioni ripetitive) è un fattore destabilizzante degli assetti esistenti, producendo nuova disoccupazione come anche fenomeni di “disumanizzazione”. Si è aperto nel mondo del lavoro un nuovo spazio per la protezione sociale. Servono, cioè, politiche del lavoro che ripristino e riqualifichino i lavoratori mediante investimenti da parte di soggetti privati con l’impiego di  strumenti innovativi.

Dunque, con il digitale cambia il lavoro nell’impresa secondo modalità molto innovative rispetto alla tradizionale impresa fordista. Questi mutamenti fanno crescere la domanda di una più evoluta professionalità nei lavoratori. Infatti, ai robot vengono delegati i lavori ripetitivi e a basso costo, che nel modello fordista venivano invece svolti dagli operai. La risposta va, appunto, cercata in nuovi investimenti immateriali per un Welfare che venga  dalla società e non discenda dallo Stato. E’ bene che lo Stato venga affiancato e progressivamente sostituito da nuove forze sociali, perché la burocrazia statale non è certo di aiuto  nel nuovo scenario digitale.

Il nuovo mondo digitale con gli inevitabili cambiamenti che comporta richiede, infatti, una nuova responsabilità sociale, che ridimensioni l’attuale massimizzazione  dell’utilità individuale, attraverso una nuova dimensione sociale dell’attività economica. Quest’ultima non può prescindere da un lavoro di grande qualità che sappia produrre  eccellenza nella fabbrica digitale. A questo fine servono significativi investimenti finalizzati ad ottenere un ambiente lavorativo più qualificato, sia in fabbrica che nella società, grazie alla disponibilità di servizi sociali finalizzati soprattutto alla formazione del personale.

Dunque, chi può essere un soggetto idoneo a promuovere nuove forme di questo “Welfare society”? La risposta non può essere lo Stato, perché, da anni, la spesa pubblica viene dettata dall’emergenza; e, per molti aspetti, il più delle volte è casuale e non strategica, condizionata nelle sue modalità di erogazione  da una politica di corto raggio, priva di progettualità a medio-lungo termine di tipo strutturale.

Questo ruolo potrebbe essere ricoperto con maggiore successo da forze sociali come i sindacati dei lavoratori e della cooperazione, mediante la costituzione e la gestione di un fondo, alimentato da contributi deducibili e agevolati, che investa prioritariamente nelle imprese sociali, perché operino con investimenti a medio-lungo termine nel mondo della produzione, per una nuova qualità digitale del lavoro.

Roberto Pertile

 

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