Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che il prossimo  7 gennaio presenterà un disegno di legge al Parlamento di Ankara per assicurare il sostegno militare al governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli di Fayez al-Sarraj sotto attacco da parte delle truppe del generale Khalifa  Haftar appoggiato da Arabia Saudita, Emirati arabi e Russia e, alla fine, anche dagli Stati Uniti.

Il nostro Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha avuto sulla situazione libica uno scambio telefonico con il Presidente della Russia, Vladimir Putin. E’ stato reso noto che i due auspicano una soluzione pacifica al conflitto in atto nel paese nord africano e nostro dirimpettaio.

Forse che Conte vuole prendere in mano la sistuazione, dopo il recente viaggio di Di Maio in Libia, dove il nostro ministro degli esteri ha incontrato sia Sarraj, sia Haftar senza apparentemente concludere molto?

Erdongan ha recentemente firmato un protocollo con Sarraj il cui sbocco può essere l’invio di truppe turche nel paese nord africano, la cui capitale è da mesi circondata dagli uomini di Haftar e sottoposta a continui bombardamenti aerei.

“A Dio piacendo, ha detto Erdogan, il Parlamento approverà la legge l’8 o il 9 gennaio e risponderemo così all’invito rivoltoci da Tripoli”.

L’annuncio avviene subito dopo che il Presidente turco ha compiuto una visita a sorpresa in Tunisia, dove evidentemente ha ottenuto un  via libera perché il confinante vicino dei libici non è affatto interessato ad un cambio di regime a Tripoli. Avviene anche in prossimità di un incontro bilaterale che Erdogan avrà con il Presidente russo Vladimir Putin previsto proprio per l’8 gennaio prossimo.

La coincidenza delle date è evidente all’interno di quella vera e propria partita a scacchi ingaggiata tra Erdogan e Putin.

Molto vicini sulla questione siriana, si scontrano in Libia dove si materializza il contrasto interno al mondo sunnita diviso tra l’ortodossia saudita, la quale conta anche sull’appoggio del regime militare egiziano,  e la Fratellanza musulmana sostenuta dal Qatar e dalla Turchia.

La Russia non ha truppe dislocate in Libia, ma il governo tripolino denuncia la presenza tra le fila di Haftar di circa 800 mercenari della  Wagner Group, cioè una vera e propria milizia armata russa. Al tempo stesso, gli avversari del governo di Tripoli da tempo rendono noto che i turchi sono di fatto già presenti in Libia con esperti militari, forze speciali, tecnici delle comunicazioni e cecchini, oltre che per assicurare l’uso di droni.

Intanto, l’Europa resta a guardare. E’ da tempo divisa soprattutto a causa dell’atteggiamento della Francia decisa sostenitrice di Haftar al punto di impedire ogni tentativo d’intervento conciliatorio tra il generale  e Sarraj da parte dell’Onu e della stessa Unione europea. Sovente si levano le accuse in direzione di Parigi per un neppure tanto velato tentativo di difendere gli interessi della Total a danno della nostra Eni.

L’Italia sembra meno decisa oggi a rimanere accanto al governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli e prova con altri paesi europei ad accontentarsi di uno status quo che, di fatto, significherebbe l’accettazione delle conquiste territoriali di Haftar, che pure sono state condannate dall’Onu.

Erdogan, quindi, decide di mettersi in proprio e prova  a sostenere Sarraj minacciando di fare il passo estremo di mandare le sue truppe per difendere il governo di Tripoli.

In questo contesto, è doveroso porsi il quesito sugli interessi italiani legati alla presenza dell’Eni nel paese nord africano dove, con la società nazionale libica Naoc, estrae il 70% del petrolio libico e gestisce il gasdotto Greenstream , il più lungo del Mediterraneo che porta il gas libico fino in Sicilia.

Finora la difesa dei giacimenti in cui è presente l’ente petrolifero italiani, uno in mare, l’altro ai confini con l’Algeria,  è stata assicurata da milizie non favorevoli al generale Haftar il quale, però, sta cercando di portarle dalla propria parte.

La produzione libica di petrolio corrisponde a circa il 15% di quella complessiva dell’Eni, mentre per il gas la quota sale ad oltre il 30%.

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