Va premesso che, a questo punto, avviata la corsa al Quirinale ed esaurita la prima delle tre votazioni, ogni opinione, ogni commento, ogni valutazione è tuttora avventata ed aleatoria. A quanto pare, la novità questa volta è che la Presidenza della Repubblica la si costruisca a Palazzo Chigi e, nel contempo, in funzione di Palazzo Chigi.

Detto, in altri termini – per molti aspetti è comprensibile, anche se non del tutto appropriato – la preoccupazione prevalente concerne l’equilibrio di governo. Cosicché, lo stesso ruolo di rappresentanza dell’unità nazionale e di garante della Costituzione che compete al Capo dello Stato, si potrebbe temere che, in una qualche misura, venga derubricato a favore del maggior rilievo che, almeno in questa contingenza, viene attribuito al potere esecutivo. E questo, anzitutto in ragione di una mole mai vista di risorse che, in quest’anno pre-elettorale, il Governo è chiamato a gestire, cosicché i partiti si fanno la posta l’un l’ altro come se giocassero a “guardia e ladri”. D’ altra parte, non è, invece, escluso che le forze politiche in campo stiano finalmente toccando con mano una frantumazione che attraversa non solo ciascuno dei due poli – sostanzialmente dissolti – ma, per lo più, la maggior parte degli stessi singoli partiti che concorrono all’uno o all’altro dei due schieramenti. Costringendoli a concedersi un momento di verità, il tempo necessario per guardarsi allo specchio e comprendere se ancora sia riconoscibile o meno la loro fisionomia originaria. Il che riguarda tutti e sicuramente i tre attori principali della vicenda, 5Stelle,
Lega e PD.

Se effettivamente cercassero, dunque, una quadratura del cerchio diretta, attraverso il combinato disposto Quirinale-Palazzo Chigi, ad andare incontro all’assetto di un sistema politico che sfugga alla tenaglia della sua ingloriosa eclissi, dovrebbero avere il coraggio di favorirne la trasformazione, mettendo in gioco quella riserva di ruolo che è comunque loro garantita dal sistema bipolare. Dovrebbero darsi una botta di coraggio ed accettare di rinnovare la loro legittimazione, affrontando l’elettorato ciascuno con la propria identità, senza intrupparsi dentro le case-matte di aggregati elettorali preformati e reciprocamente impermeabili. Dovrebbero, in altri termini, concepire davvero un disegno ambizioso che vada oltre le convenienze contingenti, dia respiro al Paese, investa sulla maturità
civile degli italiani.

Sono in grado, intanto, di accettare la sfida di un sistema elettorale proporzionale per la prossima scadenza? Se questa non fosse una lettura fuori luogo di quanto emerge o meglio non viene escluso da certi spiragli della prima giornata di voto, Draghi andrebbe al Quirinale ed i partiti potrebbero trovare una decente convivenza che permetta al Paese di reggere quell’anno o poco più di campagna elettorale che, ad ogni modo, prenderà il via non appena archiviata la pratica-Quirinale. Ma forse questo è uno scenario onirico e nessuno può escludere che domani si reciti tutt’altro copione. Del resto, è pur sempre viva l’ impressione che il confronto avvenga tra due debolezze.

Da una parte, un PD che il segretario orienta verso Draghi, ma è pur sempre diviso al suo interno e non in grado di comporre il “campo largo”, l’asse comune con 5Stelle e Leu, anche in funzione del Quirinale. Dall’altra, Salvini che, nel “dopo-Berlusconi” ormai avviato, si ritrova leader di uno schieramento che, giusto nella prospettiva di governo, è letteralmente spaccato tra chi sta in maggioranza e chi all’opposizione.

In definitiva, il sistema bipolare, costruito sulla falsariga delle leggi maggioritarie, almeno fin qui, per quanto blindato in un rapporto di reciproca convenienza tra le parti, suda, fatica, freme eppure arranca e non riesce ad uscire dall’ impasse. Sembra che tutto ciò avvenga negli stessi istanti in cui Biden starebbe consultando, uno per uno, i leader di tutti i Paesi occidentali in vista di decisioni gravi che, a quanto pare, si imporrebbero in ordine ad una Ucraina esposta al possibile attacco di Putin. Auguriamoci che non sia una tale onda d’urto che, in qualche modo investirebbe anche a noi, a costringere i grandi elettori ad affrettate il passo.

Domenico Galbiati

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