I primi temporali annunciano l’autunno, cancellano la calura e quel relativo assopimento che agosto regala pure alla politica. Stacco importante perché, di anno in anno, offre l’opportunità di guardare il mondo quasi standone fuori, con uno sguardo che lo osservi da lontano. Con un po’ di disincanto, così da favorire quel “de-coincidere” da noi stessi che il filosofo francese Francois Jullien consiglia come esercizio necessario a comprendere la “novità” che costantemente si propone e, per lo più, imprigionati nelle maglie del nostro quotidiano, non sappiamo cogliere nella sua immediata freschezza, fin dal momento del suo primo apparire.

Non a caso, la politica riserva il primo autunno a feste e soprattutto convegni che tentano di guardare più a fondo, oltre l’ immediata superficie di ciò che accade. Un invito esplicito ad attrezzare il nostro sguardo a questa immersione profonda nel tempo che ci è dato vivere, giunge da Papa Francesco che ha posto l’ Intelligenza Artificiale – anzi, al plurale “le IA” – a tema della prossima giornata della pace, Capodanno 2024.

Il Santo Padre va preso in parola ed anche su queste pagine sarebbe bene che, nei prossimi mesi, avviassimo un confronto sul tema delle cosiddette “macchine pensanti”. Le quali, nella misura in cui ne rappresentano l’espressione più avanzata, almeno per ora, riassumono una complessiva riflessione sulla tecnologia, sui suoi sviluppi, sull’“indotto antropologico” che è in grado di determinare, promuovendo un’ evoluzione della nostra stessa auto-comprensione, della quale ancora non sappiamo definire i termini.

Ciò che, anzitutto, colpisce è l’ ambivalenza con cui guardiamo alla rivoluzione tecnologica in corso. Ammirazione, sorpresa, gratitudine oppure paura, diffidenza, sospetto? Prevale il timore di essere sradicati da antiche certezze oppure l’ eccitazione di poter affrontare una nuova avventura dello spirito? Bisogna evitare che, di fronte a temi ed argomenti talmente nuovi e dirompenti , scatti la tagliola ideologica, l’ incontenibile tentazione di addomesticare la complessità di questioni, per di più inedite, avvolgendole in schemi soffocanti, i quali, pur di cercare un’ improbabile semplificazione del tutto, ne tradiscono l’ effettiva sostanza. Sarebbe bene, piuttosto, poter adottare un orientamento preventivo, cioè dotarsi di un abito mentale che anticipi la stessa analisi razionale di ciò che la tecnica significa oggi per la nostra vita, per quella personale di ognuno e per quella collettiva.

Insomma, una originaria disposizione d’animo che dica come l’approccio sia aperto e socievole oppure perplesso e diffidente nei confronti di quei nuovi scenari che oggi la scienza e la tecnica ci offrono. Atteggiamenti che possono derivare solo da da una avvertenza morale prima che cognitiva, da una percezione empatico dei valori in gioco, da un “sentire” più che da un “capire”.

E’ a questo punto che una visione cristiana della fase storico che stiamo attraversando è in grado di sostenere, pur nella problematicità del momento, quella fiducia, se vogliamo “irragionevole” eppure fondata e sicura, che è pur sempre il filo d’Arianna necessario a non smarrirci nei labirinti del tempo post-moderno.

Domenico Galbiati

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