Secondo un recentissimo studio della Banca d’Italia, il Mezzogiorno di Italia resta “il territorio arretrato più esteso e popolato dell’intera area Euro”. “Le simulazioni ci dicono che se sapremo realizzare il PNRR, nei prossimi 5 anni il Prodotto interno lordo (ancorché non unico, certamente importante indice) del Mezzogiorno crescerà del 24% rispetto al valore dell’anno 2020”. L’importante è, però, che in nessuna modalità vengano introdotte, dal Governo e dalle norme, misure ed attività che vadano in controtendenza rispetto all’obiettivo di coesione e di convergenza rispetto alle aree più prosperose del Paese.
Prendiamo atto che dopo l’approvazione di un allegato ad un Collegato ad un aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, DEF, nessun organo di stampa, (per quanto a conoscenza), a lodevole eccezione della trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilly Gruber, dell’emittente La7, ne ha scritto o parlato.
Ora, c’è da considerare che nell’iniziativa dell’Autonomia differenziata s’individua soprattutto una tensione rivolta esclusivamente alla prevalenza della dimensione economica, un’essenza fondamentalmente finanziaria. Alla base di questa opzione politica vi è l’esaltazione dell’egoismo e dell’individualismo, la svalutazione del valore della Solidarietà, un’aggressività tendente alla disgregazione, alla fin fine, dell’unità del Paese, finora fondata su ragioni storiche, culturali, valoriali. Per contrastare questa egoistica tendenza, la classe dirigente politica del Mezzogiorno e, per quanto riguarda chi scrive, della Sicilia dovrebbe proporre riflessioni ed azioni fondate sui Valori.
Serve contrastare il malcontento dei ricchi che non vogliono perequare e non vogliono sostenere tesi fondate sulla solidarietà; bisogna salvaguardare il ruolo di “Garante” dello Stato nel percorso verso l’attuazione dell’autonomia differenziata, tenendo presente che ci sono concetti quali quelli dell’Eguaglianza e della Solidarietà sui quali è impossibile transigere; altro sarebbe rivendicare, per perequare, talune condizioni oggettive, quale quella, ad esempio dell’insularità, visto che essa quale comporta ulteriori costi e ulteriore attenzione.
Per meglio comprendere l’ubi consistam serve fare un paio di passi indietro. E’ appena il caso di sottolineare che l’iniziativa che qui si commenta contrasta non solo con il precetto evangelico “Un solo comandamento vi do: amatevi gli uni con gli altri”, ma anche con i principi fondamentali del Diritto tra i quali Neminem Laedere, e financo con la regola aurea del 600 a.c che recita “non fare ad alcuno quello che non vorresti fosse fatto a te”.
Prima dell’anno 2001, nell’ordinamento italiano esisteva, sul tema, solo la differenziazione tra le 15 regioni a Statuto ordinario e le cinque a Statuto speciale. Con la riforma del Titolo V della Costituzione si decise di introdurre altri elementi di differenziazione tra le regioni a statuto ordinario, aggiungendo il seguente terzo comma all’articolo 116 della Costituzione: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 116 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l, n, s, possono essere attribuite ad altre Regioni, con Legge dello Stato, , su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La Legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
Questa norma attribuisce alle Regioni ordinarie potenziali eventualmente richiedenti, ulteriori ambiti di autonomia in altre 23 materie, 20 delle quali previste dall’articolo 117, e raggruppabili in sette grandi ambiti quali Diritti, Ambiente, Territorio, Paesaggio e Beni Culturali, Acqua, Attività Produttive, Fisco e Finanza.
Giuristi e studiosi si interrogano per capire se si stia tentando, con il grimaldello del terzo comma dell’articolo 116, di modificare surrettiziamente la Costituzione, ma fino ad oggi la sola Conferenza episcopale italiana, e lo ha fatto a partire dal 1989, ha sempre denunciato con forza il disegno infausto di tentare di contrapporrete regioni più sviluppate con quelle più svantaggiate.
Tre le questioni aperte per la realizzazione di questo percorso sono da segnalare:
– l’attivazione della procedura per l’attuazione del comma tre;
– i criteri per definire gli spazi di autonomia ammissibili e cioè quali funzioni legislative ed amministrative possono essere trasferite nell’ambito delle 23 materie previste dalla norma costituzionale;
– il meccanismo di finanziamento per le funzioni che, nell’ambito delle 23 materie possono essere trasferite.
L’attuazione pratica dei principi dettati dall’articolo 119 della Costituzione si è realizzata dopo otto anni, tramite la Legge 5 Maggio 2009, numero 42; l’intero meccanismo del finanziamento in qualsiasi metodo deciso, resta condizionato dal “Principio di invarianza della finanza pubblica”. L’espresso rinvio all’articolo 119 contenuto nel terzo comma dell’articolo 116, della Costituzione, dovrebbe impedire di ragionare su una assimilazione del regime di finanziamento tra le regioni ad autonomia differenziata e le regioni a Statuto ordinario. Altro per ora non si può dire per assenza dei dati necessari quali, tra gli altri, quelli derivanti dalla mancata definizione dei Livelli essenziali di prestazione, e nonostante si sia giunti a vent’anni dalla riforma del Titolo quinto della Costituzione e dodici anni dall’emanazione della Legge numero 42 dell’anno 2009; risulta ancora inattuato, inoltre, quanto disposto dall’articolo 11 della Legge Costituzionale numero 3 dell’anno 2001, in relazione alla Commissione parlamentare, integrata dai rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali, organo che dovrebbe garantire la realizzazione del principio di “leale collaborazione” a livello legislativo. La prova dell’esigenza di impostare un sistema di riconduzione ad unitarietà risulta dall’affermazione, relativa alla spesa pubblica consolidata contenuta nella Relazione finale della Commissione bicamerale sul federalismo fiscale, la quale alla fine della XVII Legislatura affermava che tale spesa nelle autonomia speciali del Nord è superiore alla media nazionale, risulta quasi in media in Sardegna ed è ridotta del 16% circa per la Sicilia; nel Mezzogiorno la spesa in conto capitale subisce una contrazione, bilanciata da un aumento nel Centro Nord.
Il divario tra il Sud ed il Centro Nord nei servizi essenziali per imprese e cittadini, dunque, rimane ampio, come ha recentemente riconosciuto Mario Draghi. Il divario nella dotazione complessiva delle reti ferroviarie ed autostradali è rilevante non solo per la pressoché inesistenza della rete dell’Alta velocità, ma anche per l’inesistenza di strutture di intermodalità. Oggi è confermato che il fossato si allarga per i divari di spesa dovuti al persistente criterio di allocazione delle risorse pubbliche basato sulla spesa storica, il che elude criteri costituzionali e di legge ordinaria, come ha ricordato nello scorso febbraio Adriano Giannola.
La perequazione, imposta da sempre dal dettato Costituzionale, ed ora dall’Unione Europea, dev’essere attuata tramite investimenti pubblici, in conto capitale, finalizzati all’accumulazione di capitale fisico e sociale (welfare, salute, orientamento\educazione\istruzione, mobilità).
Che gli squilibri territoriali ancora esistenti frenino la crescita dell’intero Paese è facilmente dimostrabile considerando che al Sud, su venti milioni circa di abitanti vi sono sei milioni di lavoratori e, quindi, molto meno di un abitante su tre è occupato, a fronte del Veneto che registra un occupato ogni due abitanti. Serve dunque arrivare ad impiegare alemeno altri tre milioni di abitanti del Mezzogiorno, dei quali circa 900.000 in Sicilia.
Oggi l’Unione Europea condiziona agli stati nazionali la possibilità di avvantaggiarsi dei Fondi del Next Generation EU, Recovery Fund, a condizione che riescano a risolvere gli atavici problemi di coesione territoriale e ridurre le diseguaglianze geografiche che, per quanto ci riguarda, in Italia bloccano da anni le potenzialità di crescita economica e sociale. E’ l’unico modo per evitare che si possa continuare a parlare di “Paese duale”.
L’obiettivo da raggiungere è la creazione nel Mezzogiorno di tre milioni di nuovi posti di lavoro e questo obiettivo non può essere raggiunto puntando esclusivamente su turismo e agricoltura. Il traguardo è raggiungibile, invece, investendo nelle nuove tecnologie (dall’idrogeno ed energie rinnovabili al 5G), nella logistica avanzata, in un grande piano di infrastrutture della mobilità, favorendo tramite Zes gli investimenti esogeni e, tramite opportune politiche di incentivazione, la crescita dell’imprenditoria endogena, con particolare attenzione a donne e a giovani.
Il Mezzogiorno dell’Italia, da parte sua, deve imparare a interpretare il ruolo operativo di Porta sud e Piattaforma logistica dell’Europa intera. Giova ricordare che, per le autonomie regionali differenziate, i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario che derivano dall’articolo 117, terzo comma della Costituzione, nonché gli obblighi di solidarietà e di perequazione funzionali ad attenuare le asimmetrie fiscali e gli squilibri territoriali costituiscono limite inderogabile. La coesione territoriale, prevista dall’articolo 174 del Trattato di Lisbona dovrebbe essere interpretata come principio in funzione del quale ogni singolo territorio ha diritto ad un trattamento particolare, sulla base delle proprie specificità: per la Sicilia, questa peculiarità, è costituita dall’insularità.
I presidenti delle regioni proponenti l’autonomia impositiva vorrebbero conseguire il risultato di trattenere il 50% del “residuo fiscale” (inteso quale differenza tra quanto i cittadini delle regioni del Nord pagano di tasse e quanto complessivamente ricevono dallo Stato) per finanziare, ex articolo 119 della Costituzione, le nuove competenze.
Fino ad ora, i testi delle bozze delle intese tra regioni proponenti e lo Stato sono stati resi pubblici solo molto parzialmente, mentre il processo legislativo è proceduto senza legge di attuazione, in un clima di persistente opacità. Si può temere che sia in atto, da parte dei protagonisti di questo negoziato, il tentativo di operare nell’ombra, impegnandosi in incontri interpersonali, in un clima più di complotto che di partecipazione. E’ importante, invece, tenere bene presente che, senza partecipazione di tutti gli attori presenti sulla scena politica, non vi è Democrazia.
Si può ancora temere che il regionalismo differenziato che le tre Regioni, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, potrebbero ottenere grazie al primo passo formale realizzato con l’approvazione della norma in Senato nei primi giorni di questo mese di ottobre 2021, finirebbe per accentuare i divari in termini di risorse, di offerta di servizi pubblici e di godimento di diritti e, così, ulteriormente acuire contrasti redistributivi all’interno della comunità dei cittadini italiani. Occorre, invece, prevedere uno sviluppo più equilibrato per tutte le 20 regioni, anche attraverso la definizione di una ripartizione delle risorse più adeguata alle esigenze di quanti vivono in territori disagiati sapendo che la Repubblica si definisce “una ed indivisibile”. In questo modo si impedirebbero il prevalere degli egoismi, l’ulteriore crescita delle diseguaglianze e l’indebolimento dello spirito di coesione, di convergenza e di solidarietà nazionale.
Cosa fa oggi il Mezzogiorno per crescere, svilupparsi, riconquistare tassi di crescita che possano riallinearlo rispetto alle altre aree più sviluppate del Paese e dell’intera Europa? Ha consapevolezza di una situazione di svantaggio assoluto rispetto alle aree del Nord? Di quali supporti potrebbe avere bisogno dallo Stato per essere meglio attrezzato per raggiungere gli obiettivi di perequazione già sopra indicati?
Interessante rendere conto che, con l’approvazione della Nota di accompagnamento al Documento di economia e finanza (Nadef) del 29 settembre 2021, si è iniziato un procedimento che condurrà finalmente alla definizione dei livelli essenziali di prestazioni e che servirà soprattutto, stando alle parole della Ministra Mara Carfagna, all’avanzamento complessivo del Meridione.
Posto che nel Mezzogiorno sul piano dello stock infrastrutturale si è fatto molto meno di quanto si sarebbe dovuto, la politica economica nazionale, sia dal punto quantitativo, sia qualitativo, dovrebbe garantire al Sud, di per sé, la stessa situazione economico\finanziaria\sociale, infrastrutturale ed occupazionale del resto del Paese, Le risorse comunitarie dovrebbero essere, tra l’altro non le sono mai state, realmente aggiuntive.
Tornando sul tema del regionalismo differenziato, su importante iniziativa delle cinque regioni a Statuto speciale, è stata approvata, nel corso di quest’anno, la Legge costituzionale numero 3, il cui articolo 10 recita: “Sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti, le disposizioni della presente Legge Costituzionale si applicano anche alle regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Di contro, ricordiamo che una Legge dello Stato, ancora vigente, stabilisce che, per ogni 1.000 euro destinati ad investimenti, il 66% dev’essere destinato alle regioni del Centro Nord e il 34% a quelle del Mezzogiorno. Per eliminare i gap negativi esistenti a svantaggio del Meridione d’Italia, opportuno sarebbe che, prima di continuare a percorrere la fase del regionalismo differenziato, si assegnasse una quota in esclusiva, tratta dal Fondo Perequativo, prevista dell’articolo 119 della Costituzione, a favore delle regioni del Mezzogiorno, in quanto realisticamente differenziate al ribasso.
Proviamo a fare una sintesi: siamo in presenza di un meccanismo che tanto silenziosamente si tenta di mettere in atto, che sarà neutro per le regioni a Statuto speciale, ma creerà un pericolosissimo elemento di disomogeneità e di diseguaglianza tra i cittadini delle diverse regioni a Statuto ordinario.
Prima o poi il confronto finirà sotto la luce dei riflettori. In quel momento il Mezzogiorno si salverà solo se avrà attrezzato la propria classe dirigente politico\burocratica ad essere più presente, più attenta, più competente, più aggressiva nella difesa delle proprie legittime prerogative e più disponibile ad impegnarsi nella battaglia su strategie, idee e progetti futuri che vedrà protagonisti in prima linea i componenti del Governo.
L’obiettivo di chi scrive è dichiaratamente quello di accendere, per tempo, un cono di luce su questo iter legislativo finora gestito tra nebbie e cripticità.
Il compito di INSIEME, in tutte le sue componenti, è far sì che le scelte dei decisori italiani siano sempre orientate al conseguimento del Bene comune azionale.
Massimo Maniscalco