Il consuntivo dell’andamento dell’occupazione nel corso del 2023 contenuto nel bollettino Istat relativo al 4° trimestre è lusinghiero. Crescono gli occupati, circa mezzo milione in più rispetto all’anno precedente, le ore lavorate e la qualità dei rapporti di lavoro. Tuttavia, le buone performance accumulate negli ultimi due anni non hanno impedito all’Italia di retrocedere all’ultimo posto della graduatoria europea per il tasso di occupazione, che rimane distante di 9 punti dalla media dei Paesi dell’Ue.

Nel frattempo molte delle letture delle criticità del nostro mercato del lavoro sono state smentite dai fatti. È stata smentita la previsione dell’ondata dei licenziamenti in uscita dal blocco disposto durante la pandemia. I protagonisti delle Grandi dimissioni volontarie, frutto della fantasia di commentatori improvvisati, erano semplicemente dei lavoratori che hanno colto l’occasione della forte ripresa della domanda per migliorare le proprie condizioni accettando nuove offerte di lavoro. Un’altra leggenda smentita è quella dei posti che aumentano ma solo perché a tempo determinato e a part-time. Negli ultimi due anni i rapporti a tempo indeterminato e full time sono aumentati più del saldo occupazionale, a discapito di quelli a termine.

Negli ultimi due anni la percentuale della difficoltà di reperimento di lavoratori competenti e disponibili è aumentata dal 32% al 48% dei profili richiesti dalle imprese. Le implicazioni pratiche sono evidenti: entro il 2035 si rende necessario rimpiazzare oltre la metà della nostra popolazione attiva e, nel contempo, sarà necessario aggiornare o riconvertire le competenze della gran parte dei lavoratori che rimangono attivi.

La stima del fabbisogno di sostituzione dei lavoratori anziani nei prossimi 5 anni è superiore ai 3 milioni di lavoratori. Ogni anno la mobilità lavorativa, ovvero il numero delle persone che per propria scelta o per l’involontaria perdita del posto di lavoro sono alla ricerca di nuove opportunità lavorative, coinvolge mediamente più di 5 milioni di individui.

Ci stiamo attrezzando per affrontare questi fabbisogni?

Il tema fatica a essere assunto come priorità dal complesso della classe dirigente. La carenza delle politiche attive del lavoro non viene evocata per migliorare la qualità delle prestazioni, ma per risarcire i disoccupati con l’aumento della spesa assistenziale e i prepensionamenti dei lavoratori anziani. Buona parte della classe dirigente politica e delle rappresentanze del mondo del lavoro che dovrebbe offrire soluzioni a questi problemi pensa di assolvere il proprio compito facendo l’elenco dei problemi aumentando il tasso delle promesse.

La “governance” del Programma è fondata sul mero trasferimento delle risorse da parte dello Stato alle Regioni sulla base di indirizzi concordati e con l’ausilio di modalità inadeguate di coordinamento degli interventi. Il coinvolgimento degli attori privati e privato-sociali (il mondo delle imprese, le Agenzie per il lavoro, gli operatori della formazione, delle istituzioni scolastiche, i fondi interprofessionali promossi dalle parti sociali…) viene previsto a valle delle prese in carico dei disoccupati da parte dei Centri pubblici per l’impiego che ancora risentono delle note carenze di personale.

Spiegate le cause del gap esistente tra le politiche attive e le tendenze reali si tratta di comprendere cos’è necessario fare per ridurre questa distanza. Anzitutto bisogna assumere la soddisfazione dei fabbisogni della produzione e del mercato del lavoro come i veri obiettivi del Programma e da utilizzare per verificare l’efficacia delle misure attivate sulla base degli esiti occupazionali. Il coinvolgimento delle istituzioni formative e degli attori privati e privato-sociali deve avvenire nell’ambito della programmazione e della progettazione degli interventi. Con la condivisione delle informazioni e la promozione di forme più stabili di cooperazione tra i diversi soggetti accreditati per la formazione e per l’intermediazione della manodopera per ampliare le reti dei servizi di orientamento e le offerte formative.

Per sincronizzare i fabbisogni di adeguamento delle competenze con i profili richiesti dalle imprese e per accelerare i tempi dell’inserimento lavorativo è necessario valorizzare la formazione nell’ambito aziendale. Per tale scopo i 15 Fondi interprofessionali promossi dalle parti sociali dovrebbero svolgere un ruolo primario per orientare i fabbisogni e certificare la formazione svolta nell’ambito aziendale. Le informazioni già disponibili per migliorare la programmazione e per facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro non vengono adeguatamente utilizzate. Le criticità non dipendono dalle carenze delle piattaforme tecnologiche, ma dallo scarso interesse degli operatori delle politiche attive a condividere le informazioni perché comportano inevitabilmente anche la verifica dell’efficacia delle prestazioni da loro erogate. L’incapacità di misurare la qualità dei servizi, delle offerte formative e di lavoro offre una spiegazione anche al mancato funzionamento delle sanzioni per i percettori dei sostegni al reddito che disattendono gli obblighi di partecipazione e di accettazione delle proposte di lavoro coerenti con il loro profilo professionale.

Per aiutare il cambiamento servono poche innovazioni normative. A essere indispensabile è una presa di coscienza collettiva dell’evidente impossibilità di far crescere l’economia italiana se non migliora la quantità e la qualità della popolazione attiva.

Natale Forlani

Pubblicato su www.ilsussidiario.net

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