La crisi del lavoro autonomo nel corso degli anni duemila (circa -1,3 milioni di occupati a fronte di una crescita di 2,7 milioni della componente dei lavoratori dipendenti) è una delle criticità meno attenzionate del nostro mercato del lavoro, nonostante l’incidenza storica di queste professioni sul complesso dell’occupazione e della generazione del reddito delle famiglie risulti di gran lunga superiore rispetto alla media dei Paesi dell’Unione europea ( 21,5% rispetto al 14,7%). Il recupero dei numeri precedenti la crisi Covid-19, poco più di 5 milioni di occupati, è avvenuto con grandi difficoltà alternando segnali positivi e negativi.

L’impatto della riduzione si riflette anche sui cambiamenti strutturali del nostro mercato del lavoro, in particolare sulla caduta della propensione a promuovere nuove imprese e nel mancato ricambio generazionale dei mestieri e delle professioni che continuano ad avere un peso rilevante in molti comparti di attività. Una tendenza che offre una spiegazione anche della riduzione della quota delle professioni di media e alta qualificazione e dei lavoratori esecutivi specializzati (-1,5 milioni rispetto a 15 anni fa).

Il lavoro autonomo è un aggregato complesso di imprese individuali estremamente diversificate al loro interno. I grandi aggregati storici sono rappresentati dai commercianti, dagli artigiani, dai coltivatori diretti, dagli ordini professionali e dal raggruppamento delle professioni e delle prestazioni delle partite Iva (amministratori, manager, agenti commerciali, lavoratori parasubordinati) che trovano un collante nel Fondo previdenziale della gestione separata presso l’Inps. I commercianti e gli artigiani, rispettivamente 1,950 e 1,450 milioni, rappresentano più di due terzi di questo aggregato e la parte rilevante del 28% delle microimprese che hanno assunto lavoratori dipendenti.

La diversificazione di queste attività per caratteristiche professionali, di reddito e di collocazione nelle filiere di produzione, distribuzione e di vendita, rende difficile trovare una spiegazione unificante del declino evidenziato nelle statistiche. Un saldo negativo che rappresenta comunque il risultato finale di movimenti settoriali che risentono della contrazione storica di alcuni settori, in particolare delle costruzioni e dell’agricoltura, e della contemporanea espansione dei comparti dei servizi per l’accoglienza, la ristorazione, la logistica e le telecomunicazioni.

Un fattore unificante, e ampiamente comprovato, è la forte riduzione della propensione a promuovere nuove imprese, frutto dei cambiamenti culturali e della perdita del valore e dello status collettivamente percepito dei mestieri e delle professioni. Una tendenza accentuata dalla riduzione delle coorti d’ingresso giovanili nel mercato del lavoro, che ha ridotto dal 27% a meno del 15% la quota dei giovani under 34 anni che promuovono nuove imprese, e del numero delle imprese che si mantengono attive a seguito del passaggio delle consegne dai genitori a figli. L’incremento dell’età età media dei lavoratori autonomi e dei professionisti risulta superiore a quella della popolazione attiva e i tassi di uscita dal lavoro autonomo che sono attesi per motivi di pensionamento fanno presagire un’ulteriore contrazione della componente dei lavoratori autonomi nel mercato del lavoro.

L’impatto delle innovazioni tecnologiche sulle organizzazioni produttive e sulle filiere delle forniture e delle vendite di prodotti è stato rilevante. L’aspetto più evidente è la diffusione del commercio on line che ha messo in crisi una notevole quota del commercio al dettaglio. Ma è il complesso delle innovazioni digitali che allo stato attuale comporta una marginalizzazione degli ambiti di autonomia delle imprese individuali nelle reti di fornitura, di manutenzione e riparazione dei mezzi e dei prodotti di lunga durata, e delle vendite che risultano condizionati dalle scelte delle aziende leader contraendo i margini di redditività dei fornitori e dei venditori. L’impatto dell’Intelligenza artificiale è già evidente per gli studi legali, notarili, nelle attività dei mass media e della comunicazione, e per le altre attività gestionali che hanno ridotto e in alcuni casi persino azzerato il fabbisogno di personale. In parallelo aumenta trasversalmente quello relativo al bagaglio delle competenze digitali anche per la mera gestione dei processi ordinari, e di quelle funzionali ad aumentare il tasso di impiego delle nuove tecnologie e dei materiali ecosostenibili.
In molti comparti di attività, anche del lavoro autonomo, il fabbisogno di queste professionalità per veicolare le innovazioni nelle forniture e nei servizi verso i clienti risulta di gran lunga superiore alla disponibilità di personale competente, aumentando di conseguenza anche i margini di guadagno e di solidità delle attività svolte. Sul versante opposto, la prospettiva di diventare dei terminali esecutivi degli algoritmi pilotati dalle grandi aziende che orientano le reti di produzione e di distribuzione, e che comportano una maggiore esposizione all’andamento dei cicli economici, una maggiore flessibilità lavorativa e un contenimento dei costi delle prestazioni. Questo dualismo è già visibile all’interno delle medesime categorie (artigiani, commercianti, ordini professionali, ecc.), tra le professionalità emergenti (i tecnici e i professionisti che svolgono un ruolo fondamentale nel ridisegno delle organizzazioni del lavoro) e di quelle specializzate che sono diventate introvabili nel mercato del lavoro, rispetto all’utilizzo spregiudicato delle partite Iva e delle prestazioni sommerse, che in molti casi vengono utilizzate per aggirare le tutele previste per i lavoratori dipendenti e per ridurre i costi del lavoro. Assai significativo il fatto che la propensione a evadere le imposte da parte di queste categorie rimanga superiore ai due terzi del reddito stimato dall’Agenzia delle Entrate.

L’evoluzione delle innovazioni digitali è destinata a mettere in crisi anche i tradizionali confini delle rappresentanze storiche dei lavoratori autonomi, degli ordinamenti professionali e delle prestazioni del welfare che hanno accompagnato l’evoluzione delle associazioni a partire dai fondi previdenziali destinati ad andare in sofferenza con la riduzione dei contribuenti attivi che alimentano il pagamento delle prestazioni pensionistiche in costante crescita. Con tutta probabilità comporteranno anche un ridisegno della definizione delle differenze tra il lavoro autonomo e quello dipendente in relazione alle nuove tecnologie che valorizzano l’autonomia, la responsabilità dei lavoratori e le prestazioni legate ai risultati che si manifestano nella diffusione dello “smart working” nei mercati del lavoro a livello internazionale.

Con tutti i limiti del caso, a partire dai comportamenti fiscali di una parte rilevante di queste categorie, i lavoratori autonomi hanno svolto, e continuano a svolgere, un ruolo rilevante in termini di contributo attivo alla crescita economica delle nostre comunità territoriali che merita di essere rigenerato con politiche rivolte a migliorare la qualità delle competenze e delle attività professionali e di sostegno alla creazione di nuove imprese.

Natale Forlani

Pubblicato si www.ilsussidiario.net

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