Le nostre ragioni sono le ragioni della nostra diversità. E della nostra autonomia. Penso non sia solo il mio personale avviso, ovviamente del tutto opinabile, ma fors’anche un parere fondato, tale da rinviare ad aspetti oggettivi se appena cerchiamo di fare il punto in ordine al cammino che INSIEME ha fin qui percorso, a fronte del momento politico che stiamo vivendo, in vista della prossima consultazione europea.

Su queste pagine è stato sostenuto da più amici, in più occasioni, che siamo in presenza di un sistema politico esausto, che tende, per sua natura, in ragione della sua stessa conformazione, ad estremizzare la polarizzazione che ne rappresenta il fattore costitutivo sostanziale. Se ne sono accorti gli italiani che disertano largamente le urne, nella misura in cui avvertono di essere di fatto espropriati della più elementare – ma, nel contempo, più rilevante – facoltà di concorrere all’indirizzo politico del Paese.

Succede che la situazione di cui sopra crei l’ impressione che tra i due poli si aprano posizioni che si offrono al fatidico “centro”. In effetti, si tratta di un’illusione ottica, di un miraggio di cui è bene diffidare. Lo dimostra il traffico caotico e congesto che, come risulta evidente dai sommovimenti in corso, rende soffocante ed intransitabile questo spazio meramente virtuale. Ognuno dei troppi soggetti “scesi in campo”, se così si può dire, cerca di porsi come spazio di attrazione nei confronti di tutti gli altri. Ma è appunto la generalizzazione di tale pretesa a far sì che tali aspirazioni per un verso si sovrappongano e si sommino, per altro verso si elidano a vicenda.

In buona sostanza, piuttosto che una rete che sia capace di fungere da tessuto connettivo che permetta di tenere assieme il Paese, si va formando un impianto sghembo di relazioni corrosive, tale per cui le tessere di questo ipotetico mosaico anziché collimare, altro non fanno che erodersi a vicenda, insidiando ognuno le periferie dei soggetti contigui.

Non è necessario documentare tale assunto con nomi e cognomi. Basta seguire la cronaca quotidiana degli appelli che si rincorrono, delle piattaforme che si fanno e poi si disfano, degli improbabili attori che concorrono alla partita, dei repentini rovesciamenti di fronte presentati come momenti di innovazione. Ci sarebbe bisogno di una ventata di freschezza.

L’Italia avrebbe bisogno di osare una svolta, di sfidare sé stessa in quel processo di “trasformazione” che invochiamo da tempo. Al contrario, perfino quel che succede oggi, in modo particolare in queste ultime settimane, negli ambulacri del cosiddetto “centro” non fa che accrescere la sensazione di marasma senile che grava sul nostro sistema politico. E non c’è da sorprendersi.

La politica, per quanto possa apparire arruffata, non rinuncia, nei suoi fondamentali, a talune geometrie necessarie, che stanno, cioè, di loro natura, nell’ordine delle cose. Eppure bisogna che qualcuno abbia l’ ardire di non stare al gioco e si sottragga all’ assordante ronzio di questa frenetica ed improvvida ricerca di un presunto posto al sole.
Si tratta, in altri termini, di uscire dalla spirale della lamentazione per tornare a studiare e costruire un “partito di programma”, che consista non di indirizzi generali, più o meno aulici, ma – come ha più’ volte suggerito Stefano Zamagni – di “progetti” strutturati, che, settore per settore, permettano di costruire una fase nuova, una prospettiva coraggiosa nella vita dell’ Italia.

Domenico Galbiati

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