Cosa fatta capo ha? Non sempre è vero. Non sempre possiamo accettarlo o subirlo, neppure nel segno del realismo più crudo. Del resto, valgono di più le patate o vale di più la Libertà?

Ci vuole rispetto per tutte le opinioni. Anzi, in un momento talmente delicato bisognerebbe avere la capacità di portarle a sintesi tutte o quanto più possibile. Soprattutto, dobbiamo avere attenzione per gli interessi economici e produttivi in gioco. In un mondo talmente connesso, c’è chi la guerra ce l’ha letteralmente in casa. Ad esempio, gli imprenditori che in Ucraina hanno investito, collocandovi le proprie unità produttive. Eppure è sorprendente, preoccupante ed, infine, francamente sconfortante sentire, in una intervista televisiva, il Presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, sostenere che, persa per persa l’Ucraina, anziché insistere sulle sanzioni, sarebbe più opportuno preoccuparsi di trovare un qualche aggiustamento in grado di far ripartire le filiere produttive. A Prandini va riconosciuta la franchezza di metterla lì, papale papale, e che la sua è una opinione sicuramente non isolata. Quel che è peggio è il constatare  fatto che la preoccupazione per l’economia, presso taluni, è strumentale ad una posizione politica che può non dico appiattirsi, ma finisce per sfiorare posizioni filo-putiniane. Almeno finché resta così alta la tensione.

E’, in definitiva, la questione del “fronte interno”. A differenza di quanto avviene sul terreno delle operazioni militari, esso non è sfondato con una spallata dei carri armati, ma piuttosto insidiato, reclutando complici che suggeriscano argomenti subdoli nel campo avverso, corroso alle radici, portato per fasi successive ad implodere su sé stesso. Solo se lo si sfarina in questa maniera – sciogliendone il cemento morale, il connettivo che di una collettività ne fa un “popolo” – non ne resta neppure quel tanto di macerie che si prestino ad essere riportate, se non altro come grossolano materiale da costruzione, dentro il rifacimento di una qualche nuova impalcatura. Insomma – e fortunatamente è così – anche sul piano delle relazioni internazionali, laddove la politica deve raggiungere la più alta finezza sul piano dell’ analisi e la diplomazia la massima sottigliezza, non tutto si risolve solamente sul piano muscolare della “potenza”. Ci sono altre categorie, altri ordini da considerare: la capacità di tenuta delle istituzioni democratiche, la coscienza civile dei corpi intermedi, delle mille forme associative e solidali in cui prende forma una comunità che sente di riconoscersi in un comune orizzonte di senso. Il che, beninteso, nulla ha a che vedere con forme, più o meno nostalgiche, di un nazionalismo spurio.

Ogni orizzonte è, di sua natura, aperto su un “oltre” e così dev’essere anche per quello entro cui matura la consapevolezza di un popolo. Ancora più a fondo, l’arco di volta che sorregge il fronte interno altro non è se non la forza e la compostezza morale dei cittadini, ciascuno nella sua personale singolarità e via via nelle forme aggregative in cui si esprime l’anima di un popolo.

Considerazioni enfatiche, fuori luogo? Quasi, in senso metaforico, dovessimo metterci l’elmetto in testa, temendo tempi peggiori, sia pure non “agiti” militarmente? Forse. Ad ogni modo: “Estote parati…” ( Siate preparati, n.d.e.) augurandoci che, comunque, le cose poi volgano al meglio… anche per le filiere produttive …

E’ confortante, comunque, che la tenuta morale di un popolo sia un fattore decisivo nei conflitti che segneranno, nei prossimi decenni, la faticosa ricerca di un nuovo equilibrio, a questo punto necessariamente planetario, di cui non siamo ancora in grado di valutare i primi presupposti. Vuol dire, ad esempio, che su questo piano l’Europa, purché abbia memoria della sua storia e della sua millenaria cultura, è chiamata a sviluppare un compito insostituibile e decisivo.

Domenico Galbiati

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