Torniamo su uno dei punti qualificanti della riforma dell’ordinamento giudiziario  in discussione in Parlamento – il nuovo regime relativo alla eleggibilità e al rientro in ruolo dei magistrati – con un intervento di Ilaria Perinu, sostituto Procuratore della Repubblica di Milano: delineato il quadro normativo attuale e i principi costituzionali a esso correlati, esso descrive quel che muterebbe con le nuove disposizioni, e i problemi da queste recati.

1. La normativa in vigore. L’art. 51 della Costituzione, corollario del principio di uguaglianza, prevede che “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.” Affinché le cariche elettive non siano appannaggio delle sole classi agiate, l’ultimo comma dispone che chi è chiamato alle funzioni pubbliche elettive conservi il suo posto di lavoro.

La normativa primaria ha previsto alcune ipotesi di incandidabilità o ineleggibilità (si pensi alla cd. legge Severino) ed ha posto alcune regole per i magistrati al fine di tutelarne l’immagine di imparzialità. Secondo la legge vigente, i magistrati possono candidarsi al Parlamento ponendosi in aspettativa, ma non sono eleggibili nella circoscrizione elettorale dove svolgono la funzione giudiziaria a meno che non siano in aspettativa da almeno 6 mesi quando accettano la candidatura. Per la durata del mandato l’aspettativa è obbligatoria. La causa di ineleggibilità non vale per le giurisdizioni superiori (Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte d’appello militare, Direzione nazionale antimafia) che hanno competenza sull’intero territorio nazionale. Non vi sono attualmente restrizioni qualora la candidatura sia per il Parlamento europeo.

Qualora la candidatura sia per la presidenza di una Regione o per consigliere regionale, o per Sindaco, il magistrato è ineleggibile solo se si candida nella regione dove esercita le funzioni a meno che non si metta in aspettativa entro il giorno fissato per la candidatura. Per la durata del mandato è obbligatoria l’aspettativa. Anche in questa ipotesi la causa di ineleggibilità non vale per le giurisdizioni superiori. Nel caso di mancata elezione al Parlamento nazionale[1], il magistrato non può esercitare le funzioni nella circoscrizione dove si è candidato per 5 anni. Infine, ove eletto, il magistrato può rientrare in ruolo in un distretto diverso da quello della sede di provenienza e da quello dove è stato eletto ma senza vincoli di funzioni e divieti di incarichi direttivi o semidirettivi.[2]

2. I principi affermati dalla Corte costituzionale. Negli ultimi anni vi sono stati alcuni casi, noti all’opinione pubblica, che hanno evidenziato il difficile equilibrio tra i principi di indipendenza e imparzialità della magistratura e i diritti di elettorato passivo e di esprimere le proprie opinioni anche politiche del magistrato il quale peraltro, se può assumere cariche politiche non può iscriversi ad alcun partito né può parteciparvi in modo continuativo e sistematico. La Corte Costituzionale con la sentenza nr 170/2018 nel ritenere non fondata la questione di legittimità sollevata dalla sezione disciplinare del CSM[3] ha affermato i principi che devono guidare il magistrato qualora decida di accettare una carica elettiva o un incarico politico:

a) i principi costituzionali di imparzialità e indipendenza vanno tutelati non solo con specifico riferimento all’esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche “quali criteri ispiratori di regole deontologiche da osservarsi in ogni comportamento di rilievo pubblico del magistrato, al fine di evitare che dell’indipendenza e imparzialità dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare” La tutela di tali principi giustifica i limiti al diritto dei magistrati di partecipare alla vita politica e soprattutto il divieto di iscriversi a partiti politici “… la Costituzione, in tal modo, mostra il proprio sfavore nei confronti di attività o comportamenti idonei a creare tra i magistrati e i soggetti politici legami di natura stabile, nonché manifesti all’opinione pubblica, con conseguente compromissione, oltre che dell’indipendenza e dell’imparzialità, anche della apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti alla base della fiducia di cui deve godere l’ordine giudiziario in una società democratica.”

b) Il magistrato può svolgere una campagna elettorale o compiere atti tipici del suo mandato od incarico politico senza necessariamente assumere i “vincoli (a partire dallo stabile schieramento che l’iscrizione testimonia) che normalmente discendono dalla partecipazione organica alla vita di un partito politico”. Pertanto, il magistrato può concorrere alle cariche elettive o assumere cariche politiche senza però potersi iscrivere ad un partito oppure prendere parte alla sua attività politica con modalità tali che la sezione disciplinare del Csm giudichi sistematiche e continuative, tanto più in vista del suo futuro rientro nei ruoli della magistratura se non eletto oppure al termine del mandato elettivo o dell’incarico politico.

3. Quel che prevede la riforma (AC 2681). Il disegno di legge AC 2681 interviene sulla disciplina vigente dell’eleggibilità dei magistrati, dell’assunzione di incarichi di governo e del loro ricollocamento al termine del mandato, al fine di tutelare maggiormente il principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura. Gli articoli da 12 a 19 prevedono che il magistrato:

-non possa candidarsi[4] nella circoscrizione elettorale dove ha svolto le funzioni nei 3 anni precedenti; b) debba essere in aspettativa senza assegni quando accetta la candidatura e l’aspettativa è obbligatoria per tutta la durata del mandato (con collocamento fuori ruolo).

– possa assumere incarichi di governo o di assessore regionale ma diversamente dalla normativa vigente deve mettersi in aspettativa al momento dell’incarico e fermo restando tale obbligo, nel caso si tratti di un incarico di assessore comunale non può svolgerlo nell’ambito territoriale dove ha svolto le funzioni nei 3 anni precedenti.

– qualora sia componente del CSM al momento delle elezioni o lo sia stato nei due anni precedenti è ineleggibile .

L’emendamento del Governo, all’art 15 del disegno di legge prevede che i magistrati[5] non eletti non possano, per i successivi 3 anni, essere ricollocati in ruolo:

– con assegnazione ad un ufficio avente competenza, anche parziale, sul territorio di una regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati;

– con assegnazione ad un ufficio situato in una regione nel cui territorio ricade il distretto nel quale esercitavano le funzioni al momento della candidatura;

– con assegnazione delle funzioni di giudice per le indagini preliminari o dell’udienza preliminare o delle funzioni di pubblico ministero.

Inoltre, è confermato il divieto, sempre per 3 anni, di assumere incarichi direttivi o semidirettivi.

Nel caso di rientro in ruolo del magistrato eletto, l’art 16 del disegno di legge, come emendato dal Governo, impone che al termine del mandato, a prescindere dalla durata di quest’ultimo, il magistrato sia collocato in posizione di fuori ruolo presso il ministero di appartenenza, ovvero sia ricollocato in ruolo e destinato dal CSM allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali né giudicanti né requirenti (es. l’ufficio del massimario). La stessa disciplina si applicherebbe ai magistrati che prestano servizio nelle giurisdizioni superiori o comunque in uffici con competenza territoriale di carattere nazionale.

4. Quel che non convince della riforma. È apprezzabile l’omogeneità di disciplina per qualunque tipo di carica elettiva, (gli emendamenti del Governo hanno soppresso le differenze che facevano riferimento ad una certa soglia di numero di abitanti per i comuni) cosi come il fatto che non si possa continuare a svolgere le funzioni giurisdizionali durante il mandato elettivo o l’incarico governativo (ciò eviterà il riproporsi di casi che hanno anche recentemente destato particolare sconcerto nell’opinione pubblica).

Invece, appare decisamente meno apprezzabile, la disciplina del ricollocamento in ruolo dettata dagli articoli 15 e 16 come emendati dal Governo.

L’accorgimento adottato dagli emendamenti recentemente approvati, relativi all’art 16 del disegno di legge, per non contrastare con l’art 51 Cost ultimo comma, prevede che i magistrati al termine del mandato rientrino nel ministero di appartenenza in posizione di fuori ruolo.

Una interpretazione letterale dell’art 51 della Costituzione, laddove testualmente prevede la conservazione del “suo posto di lavoro” dovrebbe acconsentire al rientro in ruolo del magistrato al termine del mandato elettivo, o a maggior ragione ove non eletto. Non vi è dubbio infatti che l’incarico fuori ruolo al ministero non abbia quelle caratteristiche sostanziali e strutturali tipiche dell’incarico nel ruolo giurisdizionale del magistrato. L’accorgimento adottato dagli emendamenti attualmente proposti non pare superare il possibile profilo di contrasto con il dettato costituzionale.

Negli stessi termini si è espresso anche Pietro Dubolino, Presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione “un tale provvedimento potrebbe dar luogo a non pochi dubbi di incostituzionalità per contrasto, anzitutto, con l’art. 51 comma 3 della Costituzione (…) per “posto di lavoro” non può che intendersi quello occupato al momento dell’elezione o altro equivalente (…). Appare quindi arduo sostenere che nel caso del magistrato che, al momento dell’elezione, esercitava funzioni giudiziarie, gli si possa legittimamente negare, a mandato esaurito, il diritto di tornare ad esercitare, essendovene sempre la possibilità, quelle stesse funzioni, destinandolo invece (come pare sia previsto nel disegno di legge) a funzioni (…) di natura amministrativa presso il Ministero della giustizia o altra pubblica amministrazione”[6].

Con riguardo al ricollocamento dei magistrati candidati e non eletti, l’articolo 15 prevede una disciplina molto severa, condivisibile per quanto attiene alle cd. incompatibilità geografiche ma scarsamente convincente laddove incide, limitandole, sulle funzioni esercitabili dal magistrato che rientra in ruolo. Tali limitazioni (non poter svolgere la funzione di giudice per le indagini preliminari/gup e del pubblico ministero) appaiono non giustificate alla luce del principio di ragionevolezza e contrarie al dettato costituzionale. L’immagine terza e imparziale del magistrato è più offuscata se il magistrato al termine del mandato politico rientra in ruolo esercitando le funzioni di GUP o di pubblico ministero piuttosto che assumere le funzioni di giudice penale monocratico, di giudice del lavoro o tutelare o fallimentare?

L’esigenza di tutelare l’indipendenza e la terzietà della magistratura, anche come percepite dal cittadino, potrebbero invece esser soddisfatte attraverso un regime stringente di limiti e incompatibilità sia temporali che geografiche rispetto alla circoscrizione elettorale dove il magistrato si è candidato o è stato eletto, prevedendo il rientro in ruolo e l’esercizio, temporalmente delimitato e ove possibile, di funzioni collegiali.

Ilaria Perinu

 


[1] Nel caso di mancata elezione al Parlamento europeo, o alla carica di Presidente della regione, non vi sono restrizioni.

[2] Se prestava servizio presso la Cassazione o la Procura generale o la Direzione nazionale antimafia, rientrerà nell’ufficio di provenienza.

[3]  La sezione disciplinare del CSM con ordinanza del 28 luglio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e 98 Cost, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1, lett h), del dlgs  n. 109/2006, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, co. 1, lett f), della legge 150/05, nel testo sostituito dall’art. 1, co. 3, lett d), nr 2), della legge 269/06, nella parte in cui prevede quale illecito disciplinare l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori del ruolo organico della magistratura perché collocati in aspettativa «per motivi elettorali».

[4] Con riferimento  sia alla candidatura al Parlamento nazionale, che al Parlamento Europeo, che alla presidenza della Regione/consigliere regionale o a Sindaco/consigliere comunale.

[5] Una specifica disciplina è prevista per i magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori o presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale a carattere nazionale. Gli organi di autogoverno dovranno individuare attività non giurisdizionali (ad es. sezione consultiva del Consiglio di Stato o l’Ufficio del massimario e del ruolo della Cassazione) alle quali destinare tali magistrati per i 3 anni successivi alla candidatura

[6] Pietro Dubolino, No alle “porte girevoli” per i magistrati: rischi di incostituzionalità ed inefficacia https://www.centrostudilivatino.it/no-alle-porte-girevoli-per-i-magistrati-rischi-di-incostituzionalita-e-di-inefficacia/

 

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