Le recenti parole di Papa Francesco sugli omosessuali e sulle unioni civili sono storiche, è vero. Ma non rivoluzionarie. Rivoluzionarie, se mai, erano le parole e le azioni di Gesù, più di duemila anni fa.
Come mai, allora, quello che dice Francesco suona, oggi, rivoluzionario? Semplice: perché abbiamo dimenticato le parole del Signore. Peggio: le abbiamo piegate alle nostre volontà politiche. Infinite volte, in questi duemila anni di esegesi, troppo spesso tutt’altro che disinteressate, le abbiamo forzate fino a cambiarle. Stravolgerle, a volte. Esigenze politiche, non teologiche. Immanenti, non trascendenti. Al potere, l’aldilà non interessa affatto. Interessa l’aldiquà. L’ hic et nunc. All’aldilà – se esiste – penserà Dio. All’ aldiquà – che certamente esiste – vuole pensare “Cesare”.  E’ questo, e nessun altro, il senso che “Cesare” dà alle parole: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
Le reazioni alle parole di Francesco, come le ha riportate il docu-film in questione, testimoniano che a nessuno interessa il loro significato autentico. Il cuore del messaggio. Messaggio cristiano. “Deus caritas est”, come titola la prima Enciclica di Papa Benedetto XVI. Interessa soltanto che forniscano un nuovo pretesto per dar vita a quella contrapposizione politica che attragga consensi e voti.
Questa contesa ha avuto un unico risvolto positivo: riportare al centro dell’attenzione politica e mediatica questioni rilevantissime per il carico di umanità, spesso sofferta che, come suggerisce Francesco, portano con sé. Ed è su questo che vogliamo focalizzare la nostra attenzione e richiamare quella di tanti amici.
Il nostro sistema politico-istituzionale fatica ad affrontare i temi “eticamente sensibili”, di cui è ancora difficile cogliere, al di là delle differenti posizioni culturali e politiche, lo straordinario rilievo. Infatti, si tratta di argomenti – detti anche “non negoziabili” o altrimenti “principi irrinunciabili” – che attengono nientemeno che la vita e la morte, la natura stessa dell’uomo, la sua legittimità o meno a disporre di sé stesso, il sentimento del limite che accompagna la sua finitezza eppure convive con la sua perenne aspirazione all’infinito, la realtà effettiva o piuttosto la parvenza illusoria della coscienza e così per quanto concerne la sua libertà.
Su questa frontiera ne va, oltre che del singolo soggetto, del senso stesso della storia: se sia un vettore, un cammino in qualche modo orientato o piuttosto uno scorrazzare qua e là senza meta, un turbinare in tondo attorno a sé stessi che non conduce da nessuna parte. E’ un po’ come se l’uomo fosse posto ancora una volta nel giardino dell’Eden, di fronte all’albero della conoscenza e, sapendo che ne va della sua facoltà di accedere o meno al mistero del bene e del male, dovesse decidere se coglierne o meno il frutto.
Peraltro, l’insieme dei processi che afferiscono la globalizzazione, le inconcepibili divaricazioni di benessere e di giustizia sociale fino al dramma della pandemia, la crisi dell’equilibrio ambientale, lo sviluppo incalzante della tecno-scienza, l’esplosione della comunicazione, la questione migratoria ed il tendenziale sviluppo di società multietniche rappresentano un insieme di sfide che ci spingono al limite delle nostre potenzialità, come se l’umanità si stesse avvicinando ad un punto critico, quasi si preparasse ad un salto evolutivo, quale pochi altri di simile rilievo ne ha conosciuti nella sua storia.
Per tornare al dato politico che ci preme, si tratta di riconoscere la centralità delle tematiche a forte valenza etica anche relativamente alla promozione di quegli stessi principi di libertà, di giustizia e di democrazia, che solo nel pieno riconoscimento della dignità intangibile della persona, trovano il loro ultimo ed inderogabile fondamento.
Soprattutto, questa centralità deve essere rivendicata da una forza politica che, come “Insieme”,  intende rifarsi ad una schietta ispirazione cristiana, non tanto per un ruolo di potere, quanto, anzitutto, per un “compito di verità”, per riportare al centro di un confronto politico scivoloso e slabbrato, i temi fondativi della nostra convivenza civile.
“La vita – diceva Vinicius de Moraes – è l’arte dell’incontro”. E la politica non può che essere l’espressione più alta di quell’arte. “La più alta forma di carità”, secondo Paolo VI. Né negazione, né rifiuto, né sopraffazione, ma riconoscimento dell’altro, in quanto co-autore e co-protagonista della realtà nella quale tutti viviamo.
Un incontro dal quale – pena la negazione dell’idea stessa di incontro – neppure i valori più alti possono essere esclusi. Perché, se davvero sono valori, avvicinano e non allontanano, nel nome del valore più grande e più importante di ogni altro: quella condizione umana che tutti condividiamo e che ci rende uguali di fronte alla vita, alla natura, alla storia e – per chi crede – di fronte a Dio.
Gianni Fontana e Domenico Galbiati
Immagine utilizzata: Pixabay

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