“Cari ragazzi,

dopo quattro mesi di lavoro insieme, ci limitiamo a galleggiare; provo disagio e amarezza verso i vostri lavori, ma anche verso di me. Il dispiacere non è tanto per gli errori o le imprecisioni lessicali o sintattiche, ma il fatto è che nessuno di voi è stato minimamente toccato da quello che stiamo vivendo”.

E’ storia di oggi. Un Professore di Liceo delle Marche ha inviato una lettera appassionata ai suoi studenti per cercare un dialogo costruttivo con loro basato soprattutto sull’impegno da riservare ai temi e alla poesia, ma anche all’approfondimento degli argomenti affrontati in classe, indispensabili per una crescita e una maturità futura. Il Professore di Italiano invita quindi i suoi studenti ad analizzare e a ricercare nella poesia la profondità del pensiero umano necessario per la crescita culturale dei ragazzi e ragazze che si affacciano alla vita. L’insegnante sottolinea infatti: “Un poeta, quando scrive qualcosa, è come se ti rivelasse il dolore o la gioia più profonda della sua vita”.

La lettera inviata agli studenti ha scosso non poco la loro “sonnolenza” nei confronti dello studio dell’italiano e soprattutto della poesia. L’insegnante ha il grande merito di avere scritto la lettera anche per fare autocritica, ma soprattutto per invogliare e dare una scossa ai ragazzi a proseguire un percorso futuro di impegno e di passione nello studio. La lettera dell’insegnante ai suoi studenti richiama alla mente un editoriale del Giornalista/Scrittore Carlo Lodoli che nell’ottobre del 2010 scrisse un articolo sulla capacità dei giovani e non di apprendere e capire un articolo o un racconto; Il 70% degli italiani fatica a leggere e scrivere. Nel dettaglio: il 5% è assolutamente analfabeta, il 33% stenta a decifrare un semplice articolo di giornale, e un altro 33 % sta slittando nelle sabbie mobili dell’analfabetismo. Sette italiani su dieci non possono nemmeno esprimere ciò che sentono, gli mancano le parole per dare una forma alla rabbia, all’incertezza, alla frustrazione, ai tanti sentimenti che tutti abbiamo nell’anima, e quei sentimenti inespressi si aggrovigliano, soffocano, marciscono nel silenzio”.

Certo, insegnare in Italia non è stato mai agevole, soprattutto negli ultimi anni a causa di un lungo tirocinio a cui spesso sono costretti gli insegnanti precari, per le aule in molti casi inadeguate, per uno stipendio miserevole rispetto ai colleghi europei.

Tra il 2010 e il 2022 gli stipendi dei docenti italiani della scuola secondaria di secondo grado sono diminuiti del 10,7% in termini reali, mentre il valore medio europeo solo del 2,8%. Un docente della scuola secondaria superiore guadagna il 26% in meno di un lavoratore a tempo pieno con istruzione terziaria (nella media UE solo il 6% in meno). Eppure, la motivazione professionale rimane alta: il 95,9% dei docenti si dice soddisfatto del proprio lavoro.

La Legge di riforma della Scuola secondaria superiore, entrata in vigore nel 2010/2011, fornisce allo studente liceale gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si prepari, con atteggiamento razionale e competenze adeguate, al proseguimento degli studi e all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro.

Grazie soprattutto all’impegno e all’abnegazione della maggior parte degli insegnanti tutto ciò risulta possibile. Ci sono numerosi esempi del passato che ci raccontano la dedizione degli insegnanti ad aiutare soprattutto i più deboli ad uscire da una condizione familiare e sociale spesso difficile da sopportare. Lo fece Don Milani, il parroco di Barbiana, con i suoi ragazzi: “Non vivo che per farli crescere, per farli aprire, per farli sbocciare, per farli fruttare. Don Milani leggeva loro i libri, i Vangeli, l’autobiografia di Ghandi, il Gattopardo. Si fermava sulle parole, le sezionava, le faceva vivere come persone con una nascita e una trasformazione”.

Ecco, l’insegnante delle Marche con la sua lettera indirizzata agli studenti, vuole far nascere l’interesse dei ragazzi per lo studio, per un domani, per il loro futuro. “Per fare un lavoro, scrive il Professore, non occorre lo sforzo del secchione, non occorre essere i primi della classe, occorre lasciarsi ferire da ciò che colpisce e cominciare a dire e donare qualcosa di sé stessi”.

Giuseppe Careri

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