Tutto sembra dirci che l’Europa batte finalmente un colpo. Una vera e propria pioggia di miliardi di euro sta per essere messa in campo per rispondere alla crisi sanitaria ed economica innescata dalla pandemia da Coronavirus. Una risposta allo sforzo finanziario delle altre potenze mondiali, Usa e Cina in testa.

Dobbiamo aspettare il prossimo Consiglio europeo del 19 giugno e che il Parlamento europeo dica l’ultima parola, ma la Commissione europea ha dato un La per l’avvio di una coralità d’intenti che fino allo scoppio della pandemia sembrava impossibile ristabilire.

L’Europa riscopre la solidarietà? Almeno per ciò che riguarda i paesi principali, ritrova semmai una convergenza d’interessi. Ciò che muove la politica. Motivi esterni ed interni sembrano costringere al superamento di anni di criticità, d’incomprensioni e, persino, di competizioni. Gli equilibri internazionali sono in una fase di potenziale cambiamento e i paradigmi di riferimento degli ultimi decenni devono misurarsi con la necessità di formare un fronte comune. Sia verso i competitori, se non addirittura nemici esterni, sia verso quelli interni, in alcuni casi collegati con i primi.

In realtà, come abbiamo già scritto subito al riguardo, il pendolo ha cominciato ad invertire il suo oscillare esattamente un anno fa a seguito dei risultati delle elezioni europee. Allora, fu sconfitto nelle urne quello che ancora viene definito il “sovranismo”, sommatoria di istinti nazionalistici che hanno trovato nella Le Pen, in Orban, nel conservatorismo britannico e nei nostri Matteo Salvini e Giorgia Meloni i rappresentanti più significativi.

A Bruxelles cambiarono gli equilibri. Per la parte italiana si trovarono assieme, in maniera assolutamente impensabile il giorno prima, il Pd, i 5 Stelle e Silvio Berlusconi. Resero possibile la formazione di una nuova Commissione europea che, oggi, conferma come la forza delle cose sia in grado di fare evolvere anche quello che appare fortemente radicato e consolidato.

Motivi geopolitici, di politica interna e, adesso, il Covid -19, menano forti fendenti a quelle pratiche liberiste che hanno aumentato le disuguaglianze sociali e portato l’Unione quasi a collassare.

Matteo Salvini, nonostante le insistenze di Luigi Di Maio, di cui era allora ancora fedele sodale, e nonostante la partecipazione alla nuova maggioranza del suo alleato ungherese Orban, non capì che era in Europa a giocarsi gran parte del suo effettivo peso politico, da non confondere mai con i sondaggi. Da un lato,  come accaduto, perché finiva per collocarsi su un binario morto in sede continentale; dall’altro, perché offriva all’Italia la prospettiva di diventare più che mai solo un’italietta, facile preda dei contrari alla sua multi decennale collocazione in un quadro ben definito di scelte internazionali.

Il prezzo immediato pagato da Salvini fu la sua uscita dal Governo Conte. A causa pure del modo tutto  personale di giocarsi le carte che ha dimostrato limiti oggettivi di strategia e di tattica.

Il Coronavirus ha amplificato ed enormemente accelerato un processo di riagglutinamento continentale. Paradossalmente rafforzato dalla scelta Brexit compiuta da Boris Johnson, dalla dura competizione innescata da Donald Trump e dai tentativi di Russia e Cina d’inserirsi nelle dinamiche europee.

L’Europa, senza certamente raggiungere la profondità di quell’afflato, visto che preminenti sono i motivi d’interesse piuttosto che ideali, riscopre la forza e la tenacia dei grandi padri del percorso d’integrazione avviato da Adenauer, De Gasperi e Schuman. Tre cattolici democratici decisi a puntare su una carta del tutto inedita per il Vecchio continente fino ad allora: la collaborazione. Partendo dalla salvaguardia del presupposto più importante, la Pace, essi delinearono le premesse per una politica d’integrazione istituzionale, di coesione sociale, di convergenza economica. Tutto ciò, insomma, più che mai necessario anche ai nostri giorni.

Quello che  venne emergendo dalle macerie della guerra, si ripresenta, sia pure all’interno di una maggior complessità, nel panorama desolante scolpito dal flagello del Covid – 19:  se allora sollecitarono i fantasmi del passato, oggi impauriscono quelli del futuro.

I cattolici sono chiamati allo stesso senso di responsabilità. In qualche modo, senza lasciarsi ammaliare da facili parallelismi che potrebbero persino fuorviare, si è costretti a ripartire dagli stessi presupposti di allora, sia pure in un diverso contesto interno e, soprattutto, internazionale.

Qualche cosa dobbiamo pure dire a coloro che si sono fatti trascinare su una strada senza grandi sbocchi, qual è quella di una destra sciovinista e nazionalista che oggi mostra chiaramente la difficoltà a raccapezzarsi di fronte ad un quadro radicalmente mutato. L’Europa non è più raffigurabile come la madre di tutte le sciagure. Anzi, questa cosa tanto criticata, ma molte critiche sono pure giustificate, al momento del dunque fa una scelta che per l’Italia, e anche per la Spagna, significa molto.

Poco cambia che le ragioni non siano ideali e che il recupero del concetto di solidarietà sia in qualche modo indotto da una condizione in cui gli europei si ritrovano con l’unica scelta possibile tra l’essere tutti salvati o tutti dannati.

Gli eventi europei, ma anche quelli italiani, dicono ai cattolici interessati dal partecipare alla cosa pubblica di non far mancare la loro voce e l’apporto laddove è necessario riscoprire, insieme, contenuti  e metodo politico.

Contenuti e metodo su cui c’è molto da dire. A partire da quello che ha scritto Vera Negra Zamagni su questo foglio ( CLICCA QUI ) ponendo con largo anticipo la questione di come spendere bene i soldi in arrivo.

E’ cosa che riguarda anche i rapporti con la sinistra perché quelle forze, d’ispirazione cristiana o meno che siano, intenzionate a trasformare il Paese, devono affrontare in un modo del tutto originale quella che Lucio D’Ubaldo ha appena definito “incandescenza di una crisi epocale dell’economia, della società e in ultimo delle stesse istituzioni” ( CLICCA QUI ).

E’ necessario incamminarsi verso un vero e autentico cambiamento, in grado di portarci oltre una stagione riformistica, spesso restata a livello di enunciazione retorica. Una nuova politica europea, e quindi italiana, non può prescindere dalla presenza di forze e di movimenti che, per quanto riguarda il nostro Paese, ritrovano nella Costituzione, su un piano esclusivamente laico, per quanto cristianamente ispirato,  il filo rosso che scandisce, raccorda ed esplicita anche il Pensiero sociale della Chiesa. Lungo quella imbastitura è possibile creare convergenza e condivisione con le forze laiche consapevoli della necessità che, come avvenne nel 1946, sia possibile lasciare più profondo il solco di una democrazia capace di rigenerarsi.

Al progetto europeo dobbiamo tornare non certamente per motivi nostalgici. Bensì per la consapevolezza che solo lì è possibile risolvere ciò che conta, come del resto è confermato nel pieno della crisi del Coronavirus.

Non è solo la destra italiana a dover riflettere e in essa i cattolici che vi hanno preso un abbaglio. La sinistra italiana deve a capire che i mesi vissuti tanto drammaticamente a causa del Covid- 19 debbono portarla ad interrogarsi su come sia indispensabile ripartire non dagli apparati, ciò che Pierluigi Bersani definisce, tra lo scanzonato e il critico, la “ditta”, bensì dalla Persona e dalla Comunità. Dal concetto più alto della Vita e della somma dei diritti, ampi e dilatati che essa richiama.

Dopo decenni di compiacimento, persino di una paradossale esaltazione di quei diritti parziali espressione di individualità atomizzate, è forse venuto il momento che la sinistra, a livello di pensiero politico e di scelte pratiche, compia una virata verso un’autentica socialità e fare in modo che dalla sua gestione della cosa pubblica emerga una coerenza con le premesse enunciate e gli obiettivi indicati.

E’ attorno alla consapevolezza dei limiti del quadro politico complessivo che noi compiamo una scelta per un’autonomia valida e credibile,  sostanziata da originalità di pensiero. Tale sarà se capace d’indicare la possibilità che la politica ritrovi senso dell’equilibrio, rifuggendo in maniera definitiva dalla scelta di fornire sempre una risposta ideologica ai problemi posti dalle cose. Se in grado di riscoprire e far riscoprire a un paese intero lo spirito dell’inclusione e, dunque, la disponibilità almeno a confrontarsi con altrui tradizioni e idealità in un mondo che resta multi etnico e in cui non esiste solo un “pensiero unico”. Se in grado di concepire e mettere in pratica un modo del tutto diverso di costruire le relazioni e gli equilibri tra pubblico e privato e provare ad uscire dalla tagliola imposta della scelta secca tra statalismo e liberalismo esasperato.

L’autonomia significa oggi identificare quel tasso di profondità in più che il pensiero e la pratica cristiano democratica e popolare attribuiscono alla Persona, non riconducibile all’idea di autosufficiente individuo ridotto soprattutto a consumatore piuttosto che riconoscergli una complessità di diritti collegati a quel nucleo sociale di per sé naturale qual è la famiglia generata da una donna e da un uomo.

Questa famiglia in gran parte scomparsa dagli schermi radar pure ai tempi del Coronavirus, si è confermata,  invece, forse più che mai, vero motore immobile dell’intera società, di cui si è persino fatta sostituta e surroga.

Oltre essa c’e’ il piano ulteriormente allargato a livello pubblico. Cioè quello dei corpi intermedi, del libero dispiegarsi in entità sociali, in categorie e corporazioni. Quella dimensione in gran parte trascurata oggi dalla politica  in cui si trova quel Terzo settore costituente una risorsa che, anche da parte della sinistra, non riceve l’adeguato riconoscimento.

Partiti dall’attuale complesso scenario europeo che rimanda a una generale riconsiderazione delle prospettive, constatiamo come, più che mai, questo nostro Paese debba attrezzarsi per uscire dai nominalismi e dalle astratte collocazioni di schieramento trovando, invece, il coraggio di affrontare quei nodi vitali che hanno finito sì per segnare l’avvio della sconfitta del “salvinismo”, ma che non fanno stare molto meglio una sinistra in perenne ricerca di una propria identità, ammesso che davvero voglia trovarla.

Giancarlo Infante

 

 

 

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