Antonio Misiani ha definito “pessima “ la riforma fiscale Meloni per il metodo, esattamente contrario a quello necessario per rilanciare lo sviluppo economico e ridurre le diseguaglianze.
Condivido questa valutazione perché le uniche due riforme fiscali realizzate, quella di Vanoni nel 1951 e di Visentini nel 1971, si contraddistinguono per essere espressione di una programmazione di riforme, ordine di precedenza successivamente venuto meno: la programmazione delle riforme deve sempre venire prima della conseguente riforma amministrativa ( Bernardo Mattarella 2020).
Invece, il Governo Meloni ha fatto al contrario, stabilendo la programmazione a valle della riforma e non a monte, ha elaborato una riforma dettata dall’esigenza estemporanea d’inseguire il consenso elettorale. La realizzazione è stata demandata all’attività di programmazione della Pubblica Amministrazione, peraltro priva delle risorse finanziarie necessarie. Poiché questa carenza è ammessa anche da autorevoli esponenti della maggioranza si può ritenere che detta riforma ha visto la luce solo a livello legislativo per non essere attuata, così come accaduto a tante altre.
Tuttavia, questa volta le esigenze di bilancio non possono, giustificare il nulla di fatto, perché il PNRR ha un programma complessivo di riforme prima che d’investimenti , imposto dalla UE che ne ha assunto i costi (r. Bernardo Mattarella 2020 ).
Questo legame fortissimo tra riforme e finanziamenti per gli investimenti obbliga il legislatore ad una riforma delle entrate che non contraddica la qualità della spesa, quella voluta dalla UE per sostituire la spesa storica alla quale l’Italia ha fatto massiccio ricorso per superare gli squilibri regionali. Ne è derivata una spesa pubblica improduttiva ed indifferente al concorso alla stabilità del Debito pubblico con la conseguente forte accentuazione degli squilibri territoriali ed un elefantiasi dell’indebitamento, superiore a quello degli altri paesi della UE.
La Riforma Meloni si è arresa di fronte a questa novità, preferendo il vecchio schema della programmazione della riforma a valle e non a monte che le ha comodamente consentito di:
1)varare una riforma delle entrate funzionale ai propri interessi elettorali;
2)rinviare sine die il reperimento della relativa copertura finanziaria;
3 )ignorare la raccomandazione della UE di eliminare la spesa storica per ridurre l’eccessivo Debito pubblico.
In tal modo, ha colpevolmente ignorato due importanti esperienze che dimostrano essere concretamente possibile eliminare il vincolo della spesa storica.
In particolare, nel 2012 l’ANCI ha costituito il Fondo di solidarietà comunale, alimentato con una quota del gettito IMU di spettanza dei comuni stessi, le cui risorse vengono distribuite con funzioni sia di compensazione delle risorse attribuite in passato, sia di perequazione in un’ottica di progressivo abbandono della cosiddetta spesa storica.
Questo in coincidenza con la riforma costituzionale del 2012, che ha istituito la nuova P.A. “per Risultati” basata, appunto, sul superamento della spesa storica.
Inoltre , con la legge di Stabilità 2022 lo Stato ha voluto intervenire per rimediare ai bilanci dissestati dalla spesa storica di città come Torino, Napoli, Reggio Calabria e Palermo marcando una profonda innovazione. Il sostegno ventennale viene con un impegno anche dei comuni, articolato in nove misure di risanamento, insieme all’impegno ad utilizzare i fondi del PNRR per incrementare gli investimenti del 5%, essendo le entrate impegnate a coprire e i costi del risanamento. Pertanto, è possibile riqualificare la spesa complessiva dell’intero sistema delle autonomie locali in tempi brevi , eliminando le vischiosità procedurali che impediscono al sistema delle autonomie locali di assumere il ruolo di riforma abilitante attribuitogli dal PNRR.
I fondi del PNRR sono a debito UE, ma con un costo particolarmente basso rispetto a quello che l’Italia avrebbe ottenuto operando da sola. Se a questo vantaggio si aggiunge il rinvio al 2028 per la restituzione, il maggior aumento di produttività della P.A. locale, derivante dalla sostituzione della spesa storica, genererà, nel giro dei tre anni disponibili, i flussi di cassa aggiuntivi necessari per recuperare il contenuto costo del debito con l’UE.
In conclusione, la Riforma fiscale proposta pone la Presidente Meloni tra le migliori allieve di Amilcare Puviani, lo studioso noto per la sua teoria dell’illusione finanziaria da lui consigliata ai governanti per consentire l’adozione di misure fiscali che susciterebbero l’opposizione dei cittadini, qualora questi fossero correttamente informati.
Invece, il ricorso al modello del “Pari Passo “”di Bernardo Mattarella assicura una corretta informazione ai cittadini dei vincoli imposti da UE e una riforma delle imposte funzionale alla qualità della spesa richiesta. Ne consegue la riqualificazione di ben il 32% della spesa complessiva della P.A. che assicura, con l’utilizzazione ottimale delle risorse del PNRR, sviluppo economico, crescita, diminuzione del Debito pubblico e del divario Nord/Sud.
Antonio Troisi