“S’ode a destra uno squillo di tromba; a sinistra uno squillo risponde….”, così Manzoni nel Conte di Carmagnola.
Non altrettanto se guardiamo alla campagna elettorale europea opaca ed, infine, povera e noiosa che stiamo vivendo, almeno per quanto concerne il nostro Paese.

Le campagne elettorali, quando la politica è schietta, discute temi importanti, vive un contradditorio forte, anche duro, ma ragionato e ragionevole, fatto di argomenti e non di invettive, sono belle. Sì, belle. C’è, infatti, anche un’estetica del confronto politico. Quando è appassionato e corretto diventa coinvolgente, sia per chi lo vive da candidato, sia per chi lo frequenta da elettore che mette a prova il suo orientamento, cerca i motivi che lo confermano oppure esplora i dubbi che lo interrogano e forse lo inducono a cambiare indirizzo. Sono il momento privilegiato di quel “pensare politicamente” di cui ci ha parlato uno dei padri costituenti, Giuseppe Lazzati, e rappresenta, per chi ne vuole assumere la responsabilità personale e, sia pure, la fatica, l’esercizio pieno del diritto e del dovere di cittadinanza.

Sembrerebbero ripetitive perché da una manifestazione all’altra, da un incontro a quello successivo, passando da un primo auditorio ad un secondo e così via, i temi si ripetono, ma, in effetti, la proposta attorno a cui si discute via via si affina, si chiarisce il quadro complessivo in cui si pone ed anche chi la avanza ne comprende meglio il profilo, commisurandolo alle reazioni degli interlocutori che incontra. Soprattutto le campagne elettorali che potremmo definire “storiche”, quelle che hanno segnato uno spartiacque tra due fasi o due differenti opzioni di fondo del destino di un Paese, vengono ricordate, nel volgere del tempo, come i capisaldi di una identità che progressivamente prende forma ed evolve, almeno così si spera, verso forme più mature di partecipazione e di convivenza civile.

La politica, contro gli abusati stereotipi dell’ anti-politica, è bella – e questa è una dimensione da riscoprire – quando è pensata e vissuta non nell’ orizzonte “privato” di un interesse particolare da rivendicare, ma come capacità di aprire il cuore e la mente ad un ideale, ad una prospettiva di accrescimento del valore umano della collettività. Insomma, è bello ed ammirevole il fatto che l’ Inno dell’ Europa sia intitolato alla “Gioia”, quel quarto movimento della Nona di Beethoven che irrompe, nel panorama musicale del tempo, a due-tre anni dalla scomparsa a Sant’ Elena di Napoleone, ed evoca sentimenti di fraternità, di libertà, di pace.

Anche oggi l’unità politica dell’ Europa dovrebbe essere vissuta entro un orizzonte capace di evocare un sentimento di gioia. Intesa, come insegna Sant’Agostino, quale esperienza e testimonianza di verità vissuta. Nel nostro caso, di consapevolezza di saper corrispondere, da parte dei popoli europei, al compito che loro assegna la vicenda millenaria che hanno attraversato. Occorrerebbe una grande e forte passione civile che, al contrario, appare spenta, forse incapace di riassorbire, almeno in parte, come pur dovremmo tutti augurarci, quel distacco e quella disaffezione che desertifica i seggi elettorali. Infatti, in questa fase sull’ Europa ricade, oggettivamente, anche ove non lo volesse o non fosse capace di farsene carico, una responsabilità che va ben oltre i suoi confini e pretende ben più che non quella mera rincorsa propagandistica al potere, cui stiamo assistendo, condotta sulla falsariga di parole d’ordine inappellabili dall’una e dall’altra parte.

La dialettica politica, i differenti orientamenti programmatici, in una democrazia matura, non sono o non dovrebbero essere affatto in contraddizione con la capacità di ascoltare ed accogliere, da parte di tutti, quello che potremmo chiamare il rumore della storia, quel respiro di fondo sintonico che da’ conto dell’intensità del momento, della sua irripetibile specificità. Al contrario, da noi domina la solita chiassosa, ma pur sempre soporifera contrapposizione pregiudiziale che, da troppo tempo, rappresenta l’unica forma di discorso pubblico nel nostro Paese.

Domenico Galbiati

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