In termini matematici, l’ “insieme” è un raggruppamento di elementi connotati da un tratto comune, il quale consenta, appunto, di associarli entro un determinato perimetro. Anche “coacervo” si avvale di un prefisso che allude al gruppo, ma nel senso dell’ammucchiata, dell’ affastellare tra loro un complesso disorganico di oggetti spaiati.

Quindi “insieme” e “coacervo” sono termini antinomici, che si escludono a vicenda. La distanza che intercorre tra loro non è formale, ma sostanziale. L’ammucchiata per quanto possa crescere per successive e progressive aggiunte, tale è e tale resta. L’incremento quantitativo non è mai in grado di produrre un salto di qualità poiché mancano quei presupposti di intelaiatura interna al gruppo che ne esprima quel carattere dirimente attorno a cui strutturare ciò che via via eventualmente si aggiunga.

Al contrario, l’insieme ha la straordinaria facoltà di saper ricavare un guadagno qualitativo dal lievitare numerico degli elementi che vi concorrono, nella misura in cui la condivisione del nucleo tematico originario, li incorpora organicamente nella sua struttura sistemica e via via accresce le potenzialità espressive di quest’ultima. 

Nel coacervo ogni elemento, al di là dell’apparenza esteriore, vale l’altro per cui, pur concorrendovi in molti, non riescono ad assicurargli una peculiare ed effettiva identità. Nell’insieme, al contrario, quest’ultima nella sua formulazione collettiva, dialoga, senza sopprimerla, anzi valorizzandone la specificità, con la singolarità di ogni suo elemento, in virtù della biunivocità ricorsiva dei rimandi che reciprocamente connettono ciascun elemento agli altri. Un po’ come succede nelle reti neurali.

INSIEME – il partito – intende, appunto, essere un “insieme” e non un’ammucchiata. E con ciò, direbbe Peppino: “……ho detto tutto….”. Ma, onestamente, si può andare oltre.

Se volessimo assecondare l’analogia di cui sopra, è del tutto evidente come INSIEME non possa essere una sorta di “carro dei tespi”, né la porta girevole che ammette alla hall di un albergo da cui si entri e si esca impunemente. Le porte d’accesso sono aperte, ma prevedono criteri di inclusione che rispettino  l’idealità che ha ispirato la genealogia di INSIEME, che non è affatto un qualunque accidente senza storia.

INSIEME si pone , anzitutto, nel solco della tradizione cattolico-democratica e popolare, come partito di “ispirazione cristiana” e, come tale, impegnato nel difficile compito di tradurre i valori ed i criteri di giudizio che, gratuitamente, abbiamo ricevuto in uno con il dono  della fede, in un linguaggio che li sappia rendere accettabili, anzi accattivanti anche per chi proviene da altre tradizioni culturali.

Siamo consapevoli come si tratti di una sfida, anzi di un’ambizione ardua e superiore alle nostre forze, eppure non possiamo trascurare quel crescendo di attenzione che da ambienti laici e non  credenti guardano al mondo cattolico, ravvisandovi una riserva  di senso smarrito altrove.   

Anche per noi vale quell’ “uscire” verso l’ascolto di periferie della cultura e dell’impegno sociale, che risponde alla costante ispirazione di Papa Francesco. Non basta, dunque, ricomporre la cosiddetta “diaspora”. Progetto ovviamente legittimo, ma di altro conio. Dobbiamo confrontarci con quel pluralismo politico oggi attestato nell’ area cattolica  che, in ultima analisi, segnala la maturazione di una autonomia di giudizio che la arricchisce piuttosto che deprimerla.

Siamo ed intendiamo restare un partito non personale e “leaderistico”, ma collegiale. Senonché, nel campo della politica, la collegialità non è data in natura. Se mai istintivamente prevalgono istanze egocentriche, per cui la collegialità non è per nulla scontata, eppure vale la pena  cercare di costruirla. Il che richiede tolleranza e capacità d’ascolto. Magari un pizzico di umiltà, ma non quella untuosa recitata ad arte, bensì come nasce dal constatato, incolmabile divario che corre tra le capacità di ognuno e l’entità del compito.

Necessariamente, tutto ciò rinvia ad un costume nuovo, ad un linguaggio di oggettività e di franchezza, che non scambi quel tratto di carità cristiana, cui anche i rapporti politici devono ispirarsi per un sentimento di buonismo melenso, ma piuttosto lo coniughi nelle forme, talvolta anche ruvide, se necessario, di una “carità intellettuale”, che, senza alcuna presunzione di verità, presieda ad uno schietto e fraterno confronto di posizioni.

Siamo nati per concorrere a riscattare la presenza politica dei cattolici dal cappio, ormai quasi trentennale, di una doppia dipendenza da altre culture, una volta a destra, l’altra a sinistra.

Sapendo molte bene che “autonomia” non significa olimpica indifferenza o geometrica equidistanza dalle altre componenti del quadro in cui si opera.

Vuol dire, piuttosto, rivendicare alla propria attitudine critica, la facoltà di orientare rapporti ed alleanze, purché in quanto partito programmatico ed, in ogni caso, se mai, in termini di “coalizione”, cioè secondo una modalità di relazione che salvaguardi l’originalità dei contraenti ed in nessun modo la consegni ai sacrificali riti di “fusione” cui abbiamo assistito ed assistiamo ancora.

Un partito competente e la cosa si spiega da sola di questi tempi, tale e tanta è l’incompetenza addirittura rivendicata da certa classe politica. Peraltro, alla competenza tecnica è necessario associare la “competenza politica” che, per piu’ aspetti, è sovraordinata alla prima e deve avvalersi di quella particolare modalità di pensiero che sa connettere l’analisi alla sintesi programmatica e da quest’ultima passare ad una progettualità concreta.

Ed ancora pensiamo ad un partito che seriamente metta in campo una classe dirigente giovane e nuova ed, in nessun modo, lasci anche solo adombrare il sospetto che sia funzionale a riproporre esponenti o addirittura pezzi di una nomenclatura che pur ha fatto la sua parte, in altre stagioni, in modo onorevole.

Il gruppo dirigente che uscirà dal congresso dei prossimi 3/4 luglio dovrebbe avere la compiacenza di considerarsi una sorta di “Mosè collettivo”, che convinca i cattolici, se ne sarà capace, ad abbandonare le cipolle d’ Egitto per affrontare la fatica del deserto e, se mai giungesse in vista della “terra promessa” di una presenza ancora significativa della cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare nella vita del Paese, sappia fin d’ora che gli sarà forse concesso di ammirarla dall’alto, lasciando ad un giovane Giosuè il compito di entrarvi.

Il nostro progetto avrà successo se saprà durare nel tempo per proiettarsi in un difficile radicamento territoriale e sociale, misurandosi, intanto, più che in un ruolo di potere, se possiamo osare tanto, in un “compito di verità”, in ordine a quel processo  di “trasformazione” del sistema politico  secondo cui Stefano Zamagni ha connotato la nostra iniziativa fin dal Manifesto del 30 novembre 2019.

Il nostro compito non è quello di intrufolarci di squincio nel sistema politico così com’è, ma piuttosto di concorrere a trasformarlo. In questo senso ci preme dire quello che pensiamo, anche con la necessaria radicalità dove si renda necessario, piuttosto che rincorrere pregiudizialmente la classica posizione di ”centro”.

A costo di apparire “ectopici”, cioè al di fuori del perimetro consolidato di un sistema che la logica del forzoso bipolarismo maggioritario ha reso gretto ed autoreferenziale  fino all’asfissia.

Domenico Galbiati

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