Per la seconda volta nel giro di pochi giorni l’Italia è stata esclusa da importanti passaggi condotti da Germania e Francia. Prima, il confronto con gli americani sui cosiddetti “aiuti di stato”. Tema reso ancora più pressante dopo che ieri Joe Biden ha fornito la sua visione di quella “America first” di trumpiana memoria e che è da considerare un inquietante rintocco da campana stonata per l’Europa.
Poi, il più recente “sgarbo” con il vertice tripartito di Parigi, Macron, Scholz e Zelensky, da cui è stata esclusa Giorgia Meloni. Ma con lei, l’Italia. Ed è questo che dovrebbe costituire il vero motivo di riflessione. Non è sufficiente, come abbiamo sentito per tutta la giornata di ieri, fare assurgere la cosa al livello della “vittoria mutilata” di poco più che cent’anni orsono. Tra l’altro, in quella occasione Vittorio Emanuele Orlando, dopo averla clamorosamente abbandonata, dovette ritornare alla Conferenza parigina di pace della Prima guerra mondiale, ma senza che quel ritorno portasse alcunché di positivo per l’Italia.
Anche la reazione italiana non è stata proprio improntata ai canoni correnti della diplomazia internazionale. Quelli che talvolta suggeriscono di incassare in silenzio e di non ingigantire gli inevitabili motivi di frizione tra gli alleati e, semmai riflettere, anche sulle proprie carenze e responsabilità.
Forse, non c’era bisogno di esprimere un pubblico ed esplicito risentimento. Cosa che ha consentito al Presidente Macron, evidentemente libero d’invitare all’Eliseo chi vuole, di rincarare la dose e rendere il “buco” ancora più evidente: sull’Ucraina contiamo noi e la Germania. Questa la sostanza della risposta francese alle rimostranze di Giorgia Meloni forte del fatto, come ha sottolineato il Presidente francese, che Francia e Germania stanno seguendo da otto anni il dopo accordo di Minsk sull’Ucraina. I risultati sono magri, come ha dimostrato l’invasione russa, ma è pur vero che, anche per la latitanza dell’Italia, impegnata a fare acquisti sempre più massicci di gas russo, gli altri due paesi si sentono di rappresentare a pieno l’Europa sulla questione. E senza molti vincoli, purtroppo.
Macron ha poi dato un’altra stilettata quando ha detto papale papale che Zelensky è libero di organizzare i propri incontri con i rappresentanti degli altri paesi europei. E tutti abbiamo visto ieri come sia stato problematico per il leader ucraino dedicare sufficiente tempo a Giorgia Meloni nel corso del vertice di Bruxelles.
Il Ministro degli esteri Tajani dice che l’Italia non è isolata. E questo è vero. Ma attenzione e non riferirsi alla Polonia e al gruppo di Visegrad che non sono affatto teneri nei nostri confronti per altri motivi e, certamente, tendono a guardare tutto da una visione nordica che spesso perde la dimensione anche mediterranea dell’intera Europa. Non sta là una eventuale stampella adeguata al ruolo che l’Italia ha sempre avuto tra i “grandi” dell’Europa. Anche se non è certo la prima volta che si conferma la forza tutta speciale del sodalizio franco – tedesco. Appannato ultimamente, ma sempre pronto a riemergere.
Dobbiamo constatare che le due esclusioni sopra menzionate contano. E come. E siccome indicano una brutta china, più che rammaricarsene e lamentarsene pubblicamente, sarebbe il caso di rimediare. E il rimedio parte dal riflettere su ciò che pesa, soprattutto a livello internazionale, e su ciò che ci si aspetta da noi.
Sappiamo bene dell’atteggiamento degli alleati di governo Giorgia Meloni nei confronti della Russia di Putin. Oggi è tutto sotto tono, ma c’è stato. E se in diplomazia si è pronti a far finta di dimenticare, la diffidenza resta. E forse si deve anche capire che l’atlantismo, solo recentemente scoperto da molta della destra italiana, viene declinato a Bonn e a Parigi con altri accenti.
Non è da escludere che vi sia, inoltre, un problema di credibilità. Aggravato da recenti fatti a proposito dei quali c’è da dire che non sono stati proprio gestiti con il piglio che ci si attende di caratura internazionale. Il caso Donzelli e Del Mastro, purtroppo, non è rimasto confinato nella polemica politica interna. Ma davvero pensiamo di aspettarci Scholz, Macron e Zelensky a parlare di argomenti più che delicati, come quelli legati all’impegno a fianco dell’Ucraina, senza il timore di vedersi sbandierare tutto “coram populo” da qualche modesto politicante della nostra periferia?
Il resto del mondo non è come l’Italia. E serve a poco che i giornali e le televisioni fiancheggiatori e fiancheggiatrici della Presidente del consiglio, come accaduto ieri, si sprechino nel pianto per la cocente emarginazione subita. Pianto che, semmai, quella emarginazione fanno diventare ancora più cocente. Noi, purtroppo, rischiamo di restare sempre diversi dal resto del mondo, e non sempre in positivo, cosa cui reagiamo spesso abbandonandoci o al vittimismo o all’autoesaltazione.
La ricerca di una nuova qualità della nostra presenza internazionale deve diventare patrimonio di tutti. Anche dell’opposizione.
Noi non gioiamo dell’isolamento internazionale di Giorgia Meloni e del suo governo perché si tratterebbe dell’isolamento dell’Italia tutta. E’ cosa cui tutti dobbiamo rimediare e non certo facendosi prendere da un senso persino di soddisfazione per un gesto vissuto come un’umiliazione.
Giancarlo Infante