L’atto presidenziale con cui Emmanuel Macron ha deciso di andare avanti con la riforma delle pensioni, e ce l’ha fatto solo per il rotto della cuffia a non veder sfiduciato il suo governo dall’Assemblea nazionale, è stato oggetto di un articolo su Il Corriere della sera ieri firmato da Mario Monti (CLICCA QUI). Una riflessione, quella dell’ex Presidente del consiglio, che serve sì a rivendicare la riforma che in Italia fu legata al suo nome e a quello della Fornero, ma anche ad intervenire sull’ipotesi di passare pure dalle nostre parti verso il sistema del presidenzialismo. Secondo Monti,  le vicende francesi dovrebbero spingere a trarne “qualche insegnamento” al riguardo.

“Il presidente – scrive Monti, riferendosi al di là delle Alpi- ha grande forza in teoria, ma ben difficilmente può mettere in campo l’unità nazionale, come noi nella nostra modesta e imperfetta Repubblica parlamentare potemmo fare, su impulso del presidente Napolitano, con il più ampio voto di fiducia che il Parlamento abbia mai espresso e con le parti sociali dimostratesi molto responsabili (…) Inoltre, da noi la riforma delle pensioni non sarebbe bastata: per agire con equità e per ricostruire la fiducia dei mercati verso l’Italia (…). Macron invece ha dovuto concentrarsi «solo» sulle pensioni. Ha avuto la fortuna di creare meno infelicità complessiva di noi, ma più concentrata su una sola parte. Infine, Macron non ha avuto l’«aiuto, il terribile aiuto», di una crisi finanziaria che stava per portarci al default”. La conclusione di Monti è abbastanza perentorio: “Sono convinto che, con il presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo e al tempo stesso capo dell’esecutivo, l’Italia diventerebbe un Paese più conflittuale e meno governabile. Più conflittuale, perché toglierebbe di scena l’unica figura, il presidente della Repubblica eletto dal Parlamento a larga maggioranza, che a prescindere dal suo passato viene rispettato e riconosciuto da tutte le parti politiche ed esercita un ruolo di moderazione. Meno governabile, perché una piena contrapposizione tra maggioranza e opposizioni, come si osserva spesso negli Stati Uniti e in Francia — le due più collaudate Repubbliche presidenziali — rende quasi impossibile trovare quel consenso su misure necessarie e urgenti in situazioni di emergenza, che in Repubbliche parlamentari come la Germania o l’Italia è stato più volte possibile ricorrendo a governi di grande coalizione o di unità nazionale”.
E del resto, aggiungiamo noi, si deve guardare ad altre vicende, cui stiamo assistendo in questi giorni. Dagli Usa, alla Cina, alla Russia, ma anche in tante altre parti del mondo dove, al di là della forma formalmente prevista dal sistema istituzionale, ci si trova di fronte ad un sistema politico che premia fortemente il “dirigismo” invece che la partecipazione e, quindi, il rafforzamento del sistema democratico.
Da decenni anche nel nostro Paese si pone il problema della governabilità cui si è già, in effetti, risposto con un’impostazione verticistica e un sostanziale svuotamento del ruolo del Parlamento. Ma non è dal presidenzialismo che può venire una risposta adeguata. Resta il problema degli equilibri tra i poteri. Ai quali Mario Monti pensa sia possibile, semmai, rispondere rafforzando quelli del Presidente del consiglio “rendendo più agevole la rimozione di singoli ministri da parte del premier; prevedere il voto di sfiducia costruttiva come ad esempio in Germania, Belgio e Spagna; e magari considerare l’ipotesi, più impegnativa, che il premier sia eletto direttamente dal popolo”.
Ma se il rafforzamento dei poteri del Presidente del consiglio potrebbe, in effetti, costituire una risposta alla crisi della governabilità e, al tempo stesso, contribuire all’aumento della responsabilizzazione del Capo del Governo sia nei confronti del Parlamento, sia dei partiti che formano la sua maggioranza,  la sua elezione diretta, comunque, sbilancerebbe ancora di più gli equilibri a favore di chi governa rispetto a chi deve legiferare nel nome del popolo sovrano e quel Governo controllare.

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