I Comuni sono “istituzioni in movimento”, “espressione dei valori costituzionali”, “termometri immediati dello stato di salute delle nostre comunità “. “Hanno la responsabilità del contatto diretto, immediato, con le esigenze degli abitanti dei loro territori. Di tutte le loro istanze, sovente anche oltre le funzioni comunali. Di raccogliere le loro preoccupazioni, le loro attese. Passa da qui la tenuta della coesione sociale e lo sviluppo dell’ Italia”.

Si potrebbe continuare con altre citazioni, talmente è ricco il discorso che il Presidente Mattarella ha rivolto all’Assemblea generale dell’ ANCI. Una boccata d’ossigeno, un’iniezione di fiducia, un appello al coraggio per chi osa credere ancora che la politica abbia tuttora senso ed, anzi, debba rivendicare il primato che originariamente le appartiene, anziché soccombere – più o meno complice – ad un concerto di poteri “altri” che la sovrastano.

Dalle citazioni sopra riportate, vale la pena di enucleare alcuni riferimenti puntuali: “movimento”, “immediato”, “oltre”. Se ne può arguire che, per i Comuni, il cammino è la meta…”istituzioni dinamiche, non statiche”, come afferma il Capo dello Stato. Dovrebbero essere strutture mai cristallizzate, aperte, in grado di apprendere dalla quotidiana evoluzione della domanda sociale, capaci di interpretarla e di corrispondervi, secondo una gamma di esperienze e di sperimentazioni ampia, quanto è ampio quel ventaglio di “articolazione capillare della Repubblica” che i Comuni rappresentano. Articolazione istituzionale e funzionale, finalizzata ad esaltare l’unità del Paese.
Ed articolazione, fucina e serbatoio di una classe dirigente non aleatoria ed effimera, non improvvisata, né presuntuosa, che matura e cresce misurandosi, sul campo, con la realtà effettiva delle comunità locali.

Dall’immediato e diretto contatto con i cittadini, si può dedurre come i Comuni debbano essere il luogo della possibile, necessaria “empatia”, se così si può dire, tra il cittadino, le istituzioni democratiche ed il loro mandato costituzionale. Dalle parole del Presidente, sembra di cogliere come ai Comuni competa – se non è azzardato o fuori luogo affermarlo – un ruolo, si direbbe, “materno”, di cura, di protezione, di custodia, di rassicurazione, di accoglienza e di inclusione attiva del cittadino nella “casa comune” del Municipio, luogo della funzione pubblica e, nel contempo, del dono.

“Oltre”, le stesse “funzioni comunali”, i Comuni non sono nudi e crudi distaccamenti amministrativi dello Stato, apparati della macchina burocratica, agenzie o forse meglio algide “aziende” deputate a fornire servizi, ma luoghi attivi di vita democratica e di partecipazione personale al destino della “res publica”. Luogo di rappresentanza e di sintesi di comunità che collettivamente concorrono alla costruzione della città, quindi momento eminentemente “politico”, capace di leggere, secondo una linea di indirizzo politico, la stessa la funzione amministrativa che istituzionalmente gli compete. Assumendo – come rimarca il Presidente – un ruolo fondamentale “per la tenuta della coesione sociale e lo sviluppo dell’ Italia”.

Spetta soprattutto ai cattolici-democratici, eredi della lezione sturziana, riflettere ancora sul valore del tutto attuale delle autonomie locali e riproporne il ruolo di attori necessari ad una democrazia sostanziale, che nulla ha da concedere a quel surrogato di secessionismo, rappresentato dalla cosiddetta “autonomia differenziata”.

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