Alla fine di ogni importante avvenimento della sua vita e della sua azione politica, che andremo a presentare, ho proposto un mio commento, con un’espressione “manzoniana”: il cantuccio dell’autore.

 

19 maggio 1894        

             LA VOCAZIONE SACERDOTALE E “LA  VOCAZIONE” PER LE LOTTE SOCIALI

«Ognuno di noi …ha una sua vocazione, quella che una voce interiore lo spinge ad avere, in mezzo alle difficoltà in cui si trova, nell’ambiente che lo circonda, nella posizione raggiunta». (L. Sturzo, La vera vita, Roma ,1947, p.51)

«Ho abbracciato la vocazione sacerdotale (venni ordinato il 19 maggio 1894) con spontanea e piena adesione di animo; non avevo altro ideale che quello di essere un sacerdote spiritualmente e culturalmente preparato a svolgere il proprio ministero al servizio della Chiesa. Nel seminario ero soltanto desideroso di perfezionarmi nelle scienze filosofiche per farmi propagatore dell’allora rinascente tomismo dall’alto della cattedra universitaria. La finestra sul mondo per me e dentro i seminari siciliani cominciò ad aprirsi con la lettura della Rerum novarum di Leone XIII sulla questione operaia che entusiasmò il giovane clero dell’isola»

(A. Messineo, Luigi Sturzo, La Civiltà cattolica,1978 II, pp.50-56)

Luigi Sturzo, quando fu ordinato sacerdote, aveva ventidue anni e mezzo. Appassionato di musica (a Roma frequenterà l’Unione artistica operaia; a Caltagirone prese lezione di pianoforte da un certo Alfieri, suo parente) fra le prime iniziative si presentò al vescovo di Caltagirone per proporgli una lista delle musiche proibite e delle musiche ammesse nella chiesa.

Si recò poi a Roma per approfondire le sue conoscenze filosofiche presso l’Accademia di San Tommaso, ove conseguì la laurea in filosofia nel 1898; successivamente perfezionò la sua cultura teologica presso l’Università Gregoriana, laureandosi in teologia.

Mentre si preparava alle lauree, insegnò al seminario di Caltagirone filosofia e sociologia: «Quando ero professore di filosofia e di sociologia nel Seminario maggiore di Caltagirone … un gruppo di operai si rivolse a me. Giacché combattevo l’usura colle cooperative, giacché mi occupavo della formazione di fanciulli e giovani, perché non mi sarei occupato anche dell’educazione civica dei lavoratori? Posi una condizione: si sarebbe fatta una campagna nella classe operaia per liberarla dal commercio dei voti elettorali e dagli odi di partito e si cercherebbe prima di dare a tutti una personalità civica e morale… Abbandonai la mia cattedra per consacrarmi alle organizzazioni civiche della Sicilia e alle lotte, sociali prima e poi a quelle politiche, col programma di moralizzare la vita pubblica. I risultati furono tali che mi convinsero che le masse sono educabili… Ogni educazione morale della vita pubblica deve appoggiarsi su una solida concezione della politica: agire diversamente è costruire sulla sabbia». (L. Sturzo, “Morale e Politica”, pp. 127-128 )

«Fu a Roma che in mezzo ai miei studi fui realmente attirato verso le attività sociali cattoliche…Ciò che mi impressionò di più fu la scoperta di miserie ignote nel quartiere operaio, che io percorsi tutto il Sabato Santo del 1895 per benedire le case. Per più giorni mi sentii ammalato ed incapace di prendere cibo…» (L. Sturzo, La mia vocazione politica, su “Il Mondo”, ottobre 1941)

Ad un suo compagno confidò: “Sono qui, felice, per studiare teologia e sociologia: quella per elevarmi a Dio e alle cose divine, questa per prepararmi a svolgere una proficua missione a pro’ del popolo”.

 

L’IMPEGNO MUNICIPALISTA DAL  1899 al 1920

                                 LA CASSA RURALE DI PRESTITI “S. GIACOMO”     

Quando ritornò a Caltagirone e venendo a contatto con la miseria di tanta povera gente, entusiasmato dalla lettura di un manuale dell’opera dei Congressi e dopo un colloquio con Gottardo Scotton diede vita ad un primo comitato parrocchiale, poi trasformato in comitato interparrocchiale; successivamente a cooperative di operai, contadini artigiani e alla prima cassa rurale.

Nel 1897 in un discorso (rimasto finora inedito) pronunciato a Caltagirone per la Cassa Rurale di prestiti “S. Giacomo” indicava i suoi obiettivi: «Né vi dovete meravigliare che un sacerdote, lasciando per poco le alte ragioni della teologia, scenda a discorrere di economia politica e di società commerciali. E’ finito il tempo in cui noi stavamo rincantucciati in sagrestia; ma oggi stretta la mano al laico, siamo venuti in suo aiuto, per portare Gesù Cristo tra il vecchio egoismo dei liberali che vanno scemando, e il nuovo ardire dei socialisti che montano…Contro le teorie degli uni, uniamo i cattolici intimiditi in franche associazioni; contro le teorie degli altri, cerchiamo nelle nuove istituzioni i mezzi, per sostenere la turba che grida: pane e lavoro! Quindi il prete, la cui missione è quella di chiamare tutti a Dio, nulla perdendo col farsi aiutare dai laici, tutto acquista col divenire padre dei poveri: e laddove i liberali mettono ardimentosi le mani nelle Banche…il prete promuove invece le Casse, e quando i socialisti, anelanti al potere mutano la zappa in ferro, per ferire e distruggere, il sacerdote muta il denaro in zappa, per far fertili i campi e salvare. Ecco dunque o Signori, presentarvi stasera la Cassa Rurale di prestiti S. Giacomo, come un piccolo, ma forte sasso dell’edificio che i cattolici vanno man mano innalzando, contro il liberalismo che domina e il socialismo che minaccia» (V.s. Bellia- I Cattolici nello stato democratico, p. 16-17)

 

7 Marzo 1897     FONDAZIONE DEL GIORNALE “LA CROCE DI COSTANTINO”                                                   

E’ la data in cui don Sturzo fondò il giornale “la Croce di Costantino” (l’insegna sotto la testata esprimeva “la lotta del cristianesimo contro le barbarie di tutti i tempi”): il giornale divenne espressione dei comitati cattolici in difesa della Chiesa contro lo stato massonico accentratore e antipopolare. Un giornale cattolico, che sorgeva per sostenere con tutta energia il principio cattolico. “Quel principio, cardine della vita intima delle famiglie come della vita amministrativa e sociale… perché è dovere che i cattolici si mostrino veri soldati della Chiesa…solo la Chiesa cattolica salverà l’Italia”.  Aveva come scopo la crescita morale, culturale e materiale delle classi più deboli, attraverso “nuovi strumenti di apostolato religioso: la stampa e le associazioni laicali”. Attraverso gli articoli del giornale si dedicò completamente al lavoro organizzativo, con un particolare impegno per i problemi della Sicilia: tra la difficile condizione dei contadini e la crisi solfifera che aveva gettato i zolfatari sul lastrico.

“Nel 1899, quando mi presentai alle elezioni amministrative di Caltagirone invitai a entrare nella lista un operaio, un contadino e un borghese. A questi non promisi soldi, che del resto non avevo. Feci loro soltanto un discorso per spiegare che la loro sarebbe stata una lotta per essere liberi” (Gabriele De Rosa, Sturzo mi disse, Morcelliana, pag. 58)

Nel gennaio 1901, sulle pagine della rivista, sostenne l’importanza dell’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII mettendo in evidenza che “per somma vergogna, molti cattolici non conoscono quel prezioso documento”. Il Pontefice invitava i giovani preti a scendere tra la gente dei campi e delle officine per difenderli da uno Stato liberale sordo ai loro problemi e in risposta sia a Marx che al capitalismo selvaggio.

Sulla testata del giornale pose un’affermazione di Leone XIII “Non si può negare l’esistenza di un movimento democratico universale, che sarà -secondo lo zelo che noi impiegheremo- socialista o cristiano. Se la democrazia sarà cristiana, essa darà alla vostra patria (in questa occasione si rivolgeva ad un gruppo di 2000 pellegrini francesi) un avvenire di pace, di prosperità, di felicità”.

 

 31 Marzo 1901     DA SEMPRE SONO UN CONVINTO “FEDERALISTA IMPENITENTE

Fin da questa data rimase coerente per tutta la vita a questa idea centrale: “Io sono unitario, ma federalista impenitente. Il rimedio ai mali d’ Italia sarebbe ed è un sobrio decentramento regionale ed amministrativo e una federalizzazione delle varie regioni, che lasci intatta l’unità di regime. Le regioni italiane devono avere una finanza propria e propria amministrazione, secondo le diverse esigenze di ciascuna, e che la loro attività corrisponda alle proprie forze, senza che queste forze vengano esaurite o sfruttate a vantaggio di altre regioni e a danno proprio, è razionale e giusto, date le enormi differenze che intercedono tra le une e le altre…

L’unità di regime serve a collegare finanziariamente, ed economicamente le regioni, e a dare unità legislativa, giudiziaria, coattiva e militare, e in tutto ciò che è appartenenza politica interna o estera…

Gli organismi inferiori dello Stato –regione, provincia, comune– non sono semplici uffici burocratici o enti delegati, ma hanno e devono avere vita propria, che corrisponda ai bisogni dell’ambiente, che sviluppi le iniziative popolari, dia impulso alla produzione e al commercio locale. Così solo si potranno togliere le sproporzioni, ed avviare le regioni alla tutela ed al miglioramento delle proprie industrie, alla razionale ripartizione dei pesi ed alla giusta partecipazione ai vantaggi. E così solamente la questione del nord e sud piglierà la via pratica di soluzione, senza ingiustizie e senza odii e rancori.

Tratto dalla rivista “Il Sole del mezzogiorno” Nord e Sud, Decentramento e Federalismo

 

Il cantuccio dell’autore:  

Il principio dell’autonomia degli enti locali non è mai stato da Sturzo giocato in chiave antinazionale. Con “Federalismo” Sturzo intende un governo centrale federale in grado di assicurare una legislazione comunitaria (in materia finanziaria ed economica, coordinatrice della politica interna ed estera) in cui la regione si pone come un organismo autonomo all’interno di uno Stato ( e, meglio, di una reale o possibile federazione) . L’autonomia non è un elemento disgregante ma è un collante nello spirito di una comunità dei comuni unita anche e soprattutto sul piano morale. Pur condividendo la necessità di un coordinamento con il governo centrale, egli indicava come obiettivo per la Sicilia e il mezzogiorno – attraverso l’autogoverno delle comunità locali- la possibilità concreta di un riscatto civile, economico e morale.

 

5-7 novembre 1902-  

LE ISTANZE PIU’ PROGRESSISTE DEL MOVIMENTO CATTOLICO NAZIONALE

 

Al I° Convegno dei consiglieri cattolici siciliani, svoltosi a Caltagirone, egli presentò la relazione sul Programma municipale che raccolse certamente le istanze e le relazioni più progressiste del movimento cattolico nazionale e che divenne il punto di riferimento della riflessione sul partito amministrativo dei cattolici siciliani. Partendo dai principi della dottrina sociale della chiesa egli afferma che la competenza primaria dell’educazione spetta alla famiglia, senza però escludere il ruolo del Comune: “ a preferenza dello Stato, vi entra, ed è naturale, in modo più diretto; perché i padri di famiglia che in certo modo delegano l’ente che essi stessi, come tali, costituiscono, a provvedere a quanto riguarda la parte collettiva dell’istruzione e dell’ educazione di cultura generale, lasciando allo Stato, in via sussidiaria e in un largo regime di insegnamento libero, l’ordinamento universitario. Con ciò -aggiunge- non intendo punto alludere al monopolio dell’insegnamento né da parte dello Stato, né da parte dei Comuni, essendo un diritto di natura la libertà d’insegnamento (L. Sturzo, La Croce di Costantino, cit. p. 133 ).

 

Il cantuccio dell’autore:

Don Sturzo nel quadro di un allargamento del suffragio elettorale e all’ampliamento dell’elettorato riteneva il Comune come l’ente più vicino ai cittadini e quindi in grado di svolgere unitamente alla famiglia e alla scuola un compito educativo: “Il Comune avrebbe dovuto metter tutta la cura al retto svolgersi della scuola, alla nomina degl’insegnanti e loro moralità, alla praticità educativa dei metodi, alla disciplina scolastica, dando sussidio agli alunni poveri per libri, istituendo  la refezione scolastica, promuovendo gare, premiazioni, feste religiose e civili, sicché tutto l’ambiente scolastico educhi e mobiliti”.

 

1903                                LA SICILIA AI SICILIANI

Nel suo “Pro e contro il Mezzogiorno” pubblicato sulla «Croce di Costantino» scriveva: «la questione è lì : noi siamo regionalisti. La nostra politica deve essere regionalista, le nostre finanze, la nostra economia… Non vogliamo la secessione della madre patria, ma vogliamo da noi curare i nostri interessi… Il governo centrale è impotente a risolvere uno solo dei problemi siciliani …La Sicilia ai Siciliani, una nuova dottrina di Monroe, deve essere la base di un vero movimento politico… a cui aderirebbero tutti gli altri partiti, con la bandiera di autonomia amministrativa e finanziaria e con il carattere di lotta al governo centrale…I fieri siciliani di un tempo si ricordino che questa terra non è nata per servire, ma ha servito quasi sempre, per la vigliaccheria dei suoi figli». (G. De Rosa, Sturzo, Unione Tipografico-Editrice Torinese, pag.112)

L’evento forse più importante degli anni siciliani di Sturzo fu lo sciopero del 1903, indotto per il rinnovo dei patti agrari, cui parteciparono 80mila contadini. Lo sciopero durò tre mesi. Finalmente gli affittuari si decisero a firmare il patto colonico unico.  Purtroppo i proprietari riuscirono a rompere il blocco dei contadini, quando si trattò del rinnovo. Sturzo non riuscì a far lavorare i contadini con il metodo cooperativistico (in precedenza erano fallite due cooperative, da lui fondate , quella agraria e quella dei turacciolai); per incrementare il lavoro della cooperativa dei turacciolai  si era recato in alta Italia per convincere alcune fabbriche a comperare i turaccioli ma l’impresa fallì; il compito della cooperativa agraria era quello di prendere in affitto i terreni, sostituendosi al gabellotto, ma alcuni contadini accettarono il contratto con il padrone che prometteva la migliore terra a condizioni di favore).

Bisognava sempre fare la quotizzazione delle terre prese in affitto, ma nessuno voleva lavorare il terreno in comune con gli altri: tutti volevano lavorare il proprio terreno. Secondo i contadini, la cooperativa doveva servire a combinare l’atto di affitto, non a gestire la terra insieme con altri. Anche quando i contadini occupavano le terre, si mirava a realizzare un affitto collettivo -oppure essi acquistavano i terreni tramite la cassa rurale. Alla fine le casse rurali erano oberate di impegni, per cui si dovette ricorrere al banco di Sicilia per la concessione di crediti agrari.  Pur in mezzo a questi che lui stesso definì “insuccessi”, egli riuscì a realizzare tante opere che diedero prestigio a Caltagirone: sistemò le strade interne e quelle della campagna; aprì l’istituto tecnico e la scuola di ceramica, introdusse lo studio della musica solfeggiata; rianimò la scuola elementare istituendo feste e gare; ricostruì il teatro dove si svolse una certa attività artistica; stimolò la nascita di una maestranza di scalpellini e un’altra di ceramisti. Per realizzare queste opere, contrasse debiti con il Banco di Sicilia. Quando divenne vice presidente dell’Associazione dei comuni cercò di tutelare dall’ingerenza governativa i comuni, specialmente quelli piccoli che avevano bisogno di assistenza.

Il cantuccio dell’autore:

Per sua stessa affermazione, Don Sturzo credeva necessaria la formazione di una corrente municipalistica: riteneva così che i cattolici, rafforzandosi sul terreno delle competizioni provinciali e comunali, sarebbero riusciti meglio in un domani nel campo politico. Si avvicinò sempre più al movimento cooperativistico di don Portaluppi, di Treviglio e di don Cerutti e al movimento scolastico di Nicolò Rezzara. in questo senso le liste del partito Popolare furono contrassegnate dallo scudo crociato con il motto Libertas: fu ripreso quindi l’emblema dei Comuni medievali, simbolo di una società basata sulle autonomie locali.

Dicembre 1905    I CATTOLICI: RAPPRESENTANTI DI UN PROGRAMMA MUNICIPALISTA OMOGENEO

Invitato al Circolo di cultura di Caltagirone espresse con chiarezza il suo pensiero sul ruolo dei cattolici: «è necessario che i cattolici si mettano al paro degli altri partiti nella vita nazionale, non come unici depositari della religione, ma come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del vivere civile, che vuolsi impregnato, animato da principi morali e sociali che derivano dalla civiltà cristiana, come riformatrice della conoscenza privata e pubblica».

In questo senso egli si adoperava in quegli anni per indirizzare i cattolici siciliani su un programma municipalista omogeneo, concordandolo con la base e uscendo da qualsiasi compromesso con le realtà locali… la posizione di un partito cattolico conservatore, la stimo monca, inopportuna: rimorchierebbe la Chiesa al carro dei liberali. Con determinazione-in una predica pronunciata a Milano sui “Doveri verso la Società e la Patria”- ribadiva che la religione non è un fatto privato tra la società e la Chiesa e che è dovere dei cristiani partecipare alla vita civile e sociale della patria e fare opera di bene, anche con sacrifici di persona, di denaro, di lavoro. Nello stesso anno, a Caltagirone, il partito politico dei cattolici da lui promosso (espressione di un legame autentico tra religione e politica) ottenne la maggioranza assoluta nel Consiglio Comunale di Caltagirone con 32 seggi. Fu così sindaco dal 1905 al 1920. Per la prima volta un comune poteva dirsi Comune.

Il cantuccio degli autori:

Con l’intervento al circolo di cultura – passato alla storia come il Discorso di Caltagirone – don Sturzo indicava la necessità di preparare alla costituzione di un nuovo partito di ispirazione cristiana, ma laico. Politicamente autonomo, con un preciso programma: decentramento amministrativo; suffragio universale; rappresentanza proporzionale; tutela delle classi lavoratrici. Un modo per qualificarsi come forza politica nei confronti del liberalismo giolittiano e del socialismo.… Nello stesso tempo Don Sturzo realizzava concretamente un cambiamento radicale nella storia della Sicilia: con la sua guida il comune di Caltagirone non era più una bottega dove poche famiglie notabili potevano fare e disfare regolamenti e leggi amministrative. Il bilancio diventava un fatto pubblico e la finanza del Comune era messa a servizio di una politica sociale ed economica illustrata in mezzo al popolo.

 

1905-1920   DA SINDACO,”IL MIO COMUNE” APERTO AL POPOLO E IN DIFESA DEL TERRITORIO

 

«Quando ero sindaco, i primi atti che impressionarono l’opinione pubblica locale furono: l’inchiesta che ordinai sul corpo delle guardie municipali per le loro collusioni con i macellai e che portò allo scioglimento e all’epurazione del corpo delle guardie;  l’ istituzione di un lazzaretto per il timore di un colera; l’azione contro il medico di famiglia che aveva deviato per uso personale il corso d’acqua che era del municipio: vi feci una fontana pubblica. Modesti episodi, ma di rilevanza in un paese piccolo come Caltagirone. Apersi il comune al popolo: ogni giorno, dalle 11 alle 12.30, meno il sabato e la domenica. Si era instaurato un clima di fiducia, fiducia che fu turbato dall’agitazione per il bosco Santo Pietro.   Era un bosco di tremila ettari che i contadini volevano disboscare e quotizzare. Il bosco Santo Pietro rappresentava un grosso reddito per il comune, sia per la produzione del sughero, sia per l’ibernazione degli animali. I pastori conducevano a pascolare il loro bestiame d’inverno nel bosco, quando i pascoli montani sono freddi. Gli animali venivano giù dai monti etnei, dalle Madonie. Il partito di minoranza organizzò i contadini per quotizzare il bosco. L’agitazione si fece a un certo punto minacciosa con i contadini che si accalcavano sotto le nostre finestre. Non aspiravo a fare politica; la mia ambizione era quella di fare il sacerdote e di insegnare filosofia. Quando divenni sindaco dovetti rinunciare a confessare. Non potevo correre il rischio che ci fossero persone che venivano a confessarmi fatti incompatibili con la mia coscienza di sindaco, e di questa rinuncia mi dolevo. Per tutta la vita fu così, ma nella politica versai la mia ansia religiosa, e fu essa a darmi la forza per combattere, anche adesso contro i fenomeni della pubblica corruzione. Nelle elezioni del 1914 rischiai di perdere il comune, ma arrivarono i voti della frazione di Mazzarone, una frazione che io avevo creato a 30 chilometri da Caltagirone distribuendo la terra ai contadini: oggi lì c’è una zona ricca in cui si coltiva un’uva pregiata. Riuscii a vincere, ma la minoranza non digerì la mia vittoria: andai avanti nonostante l’ostruzionismo. Perdetti la mia battaglia amministrativa nelle elezioni del 1919, perché ormai lontano da Caltagirone e impegnato nella fondazione del partito popolare, non avevo più la possibilità di seguire da vicino la campagna elettorale. Mussolini venne a Caltagirone, parlò al palazzo comunale promettendo la quotizzazione del bosco Santo Pietro. Io non ero contrario a concedere la terra ai contadini, tanto è vero che, non volendo quotizzare il bosco, cercai terre nude a nord della città» (G. De Rosa, Sturzo mi disse, Morcelliana, pp.115-116).

 

1907 – I PRIMI SEDICI MESI DI AMMINISTRAZIONE DEL COMUNE DI CALTAGIRONE

In una conferenza tenuta a Caltagirone nel 1907, come pro-sindaco illustrò l’attività della giunta nei primi sedici mesi di amministrazione e, tra le molte iniziative portate a termine o progettate:

1reperimento o ristrutturazione dei locali scolastici; arredamento e suppellettili per alunni e maestri; la refezione scolastica…

2- programmazione di obiettivi contenutistici : introduzione dell’educazione artistica; del canto, della recitazione – “declamazione” – della ginnastica nella scuola elementare gestita dal Comune; il miglioramento del liceo- ginnasio e della scuola tecnica; la scuola d’arte e mestieri con la scuola di ceramica (nel novembre 1917,  fece approvare dal consiglio comunale un forte contributo per la Scuola di arti e mestieri per la ceramica, che poi cominciò a funzionare nel 1923-24 come Scuola professionale); educazione per gli adulti, non scolarizzati; istituzione di scuola di canto, il rafforzamento del corpo musicale della città, dando ai cittadini la possibilità di usufruire di concerti nei giardini pubblici e di rappresentazioni teatrali. nel locale teatro Garibaldi; adibire il convento dei Francescani a sede del seminario cittadino, scuola di formazione per il clero diocesano; realizzazione di scuole e biblioteche; incrementare la scuola pratica di agricoltura, una delle più antiche della Sicilia (sorta nel 1867), nonché la cattedra ambulante di agricoltura come strumenti di istruzione e formazione dei contadini e degli agricoltori». (Luigi Sturzo, Sedici mesi di amministrazione, Scritti inediti, pp.306-314).

Il cantuccio dell’autore:

L’obiettivo primario (già indicato nel Programma municipale del 1902) era quello di estendere la prima istruzione a tutte le classi sociali: le scuole civiche, perché la scuola educhi e divenga coefficiente di benessere pubblico e formi le coscienze dell’elettorato oneste e adamantine, capace di comprendere la portata degli interessi pubblici, di educare i giovani e i cittadini adulti alla cittadinanza per la partecipazione consapevole alla vita sociale. Partendo dall’istruzione e dalla formazione, don Luigi Sturzo portò avanti alcuni progetti concreti: l’autonomia finanziaria del Comune, il recupero degli “usurpi”, cioè di quei beni comunali che alcuni cittadini avevano usurpato a danno di altri; la creazione dell’impianto elettrico, che poi affiderà in appalto ai privati; rendere l’acqua potabile; la ricostruzione dell’ufficio tecnico comunale; le “quotizzazioni”, cioè le privatizzazioni di lotti di terre in possesso del comune, distribuendoli  ai contadini che diventavano proprietari di ampi lotti così da ricavarne un reddito. L’unico bene che non intese quotizzare fu il sughereto del bosco Santo Pietro: “una storia drammatica, che ha sempre costituito motivo di turbamento nella vita cittadina: collere, sospetti, minacce si sono sovrapposte uno sull’altro. Caltagirone era un grosso borgo rurale: pastori e contadini non amavano il bosco, non capivano l’importanza del demanio” .

 

Maggio 1911 AL COMUNE LA GESTIONE DELLA SCUOLA

«In occasione del I Congresso nazionale contro l’analfabetismo (in quel periodo c’era ancora il 46,7% di analfabeti ( 42,8% di maschi e 50,5% di femmine)  e la delinquenza che si tenne a Girgenti (Agrigento) espresse la tesi che la grande questione dell’alfabetizzazione delle masse avrebbe potuto compiersi con la condivisa sinergia dello Stato, dei partiti, degli enti locali e morali, e dei privati cittadini, senza pregiudiziali politiche. Era convinto della necessità di un progetto di interventi concreti. Sulla volontà di risolvere il problema dell’analfabetismo come primo impegno  di un Comune democratico, la sua giunta istituì scuole rurali nelle frazioni di Granieri e di Mazzarrone ( che successivamente divenne nel secondo dopoguerra, Comune autonomo) Nel XII congresso nazionale dell’ANCI svoltosi a Milano dal 5 all’8 aprile 1913 nel presentare la relazione sull’Applicazione della Legge Daneo-Credaro, sostenne che i comuni rimanevano ancora “i legittimi amministratori” della scuola perché, pur avendo o non l’amministrazione (a seconda che fossero Comuni autonomi o no), ne mantenevano “gli oneri sulla finanza propria” nominando i rappresentanti e provvedendo all’edilizia scolastica e agli arredi. Sottolineò che di fronte alla volontà accentratrice del governo per svilire l’autonomia locale propose che i Comuni che avevano la facoltà di continuare a gestire autonomamente le scuole venissero agevolati nel loro compito; di prorogare di tre anni il passaggio delle altre scuole all’amministrazione provinciale; che i comuni non autonomi venissero rimborsati dallo Stato dei maggiori oneri imposti e sopportati dal 1911 al 1912».( Umberto Chiaramonte, Emergenza educativa e questione scolastica negli scritti di Luigi Sturzo. Salvatore Sciascia editore, pag. 123; pp.151-152)

 

 15 – 17 dicembre 1918   UNA PICCOLA COSTITUENTE PER IL NUOVO PARTITO

 

«Il 23 e il 24 Novembre 1918, nella sede dell’Unione Romana a  Roma in via dell’Umiltà (che nome adatto al nostro pusillus grex!), sotto la presidenza del conte Santucci, insieme ai rappresentanti di quasi tutte le regioni d’Italia si decise di dare vita per il 16 e 17 Dicembre ad una Piccola Costituente composta da 41 rappresentanti di tutte le regioni italiane per porre le basi del Nuovo Partito: a me venne affidata l’organizzazione. Era mezzanotte quando ci separammo, e spontaneamente, senza alcun invito, passando davanti alla chiesa dei Santi Apostoli, picchiammo alla porta: c’era l’Adorazione notturna. Il frate portinaio era spaventato nel vedere gente: la vista della mia tunica lo rassicurò. Durante quest’ora di adorazione rievocai la tragedia della mia vita. Non avevo chiesto mai nulla, ero rimasto un semplice prete; per consacrarmi all’Azione Cattolica, sociale e municipale, avevo rinunciato alla mia cattedra di filosofia; dopo venticinque anni, ecco che abbandonavo anche l’Azione Cattolica per dedicarmi esclusivamente alla politica. Ne vidi i pericoli e piansi. Accettavo la nuova carica del Partito Popolare con l’amarezza nel cuore, ma come apostolato, come un sacrificio …  nel campo delle attività pubbliche, imiteremo i primi cristiani che portavano il Vangelo nascosto nel petto, e alimentavano alla santa parola la loro fede» (L. Sturzo- Morale e politica, p.139).

 

Il cantuccio dell’autore:  

Nel gruppo dei Costituenti c’erano sindacalisti, esponenti di gruppi finanziari, militanti dell’ex democrazia cristiana di Romolo Murri. Proposte diverse ma con l’obiettivo di un rinnovamento del Paese per un “programma sociale, economico e politico di libertà, di giustizia e di progresso nazionale, ispirato ai principi cristiani” ( Statuto, art.1 ).

 18- Gennaio 1919-     STURZO FONDATORE DEL PARTITO POPOLARE  

                                      L’APPELLO: “A TUTTI GLI UOMINI LIBERI E FORTI”

Il 18 gennaio 1919 la Commissione provvisoria del Partito Popolare, riunitasi presso l’albergo Santa Chiara, in Roma, pubblica l’appello al paese, diretto a tutti gli uomini liberi e forti “ A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello, perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà…il nostro è un partito politico “ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale”; è un partito nazionale  per il bene dell’Italia “secondo gli ideali di giustizia e di libertà”; contro uno Stato accentratore, e per un Parlamento eletto a base proporzionale; è un partito popolare, che tende ad assumere la rappresentazione del popolo in un realtà politica e morale, patrimonio delle genti cristiane ; è un partito con un proprio programma politico: che chiede la riforma dello Stato, della burocrazia, degli ordinamenti giudiziari, degli enti provinciali, la libertà d’insegnamento, senza monopoli di Stato, la giustizia sociale, la libertà comunale…; è un partito democratico, con la partecipazione di tutti i ceti, particolarmente quelli popolari, alla vita dello Stato; è un partito di ispirazione cristiana.

Il cantuccio degli autori:

Partendo dall’affermazione di Cicerone “La libertà è partecipazione al potere” Luigi Sturzo ritiene che in stretta unità con la democrazia politica ci deve essere la democrazia economica, accompagnata dalla possibilità di poter esercitare nel campo del diritto di proprietà privata tre obiettivi: la libertà di iniziativa; le scelte responsabili e la consapevolezza del rischio produttivo.

 14-16 giugno               IL NOSTRO E’ UN PARTITO DEI CATTOLICI  

Nel primo congresso del Partito Popolare Italiano presieduto da Alcide De Gasperi, di fronte alla critica di Agostino Gemelli e Olgiati che lo accusavano di non porre la religione come elemento di differenziazione, Sturzo ribadì che “il Partito Popolare Italiano è una libera associazione di liberi cittadini che si riuniscono per la realizzazione di un loro programma strettamente politico. E’ superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico. i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall’inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, ed abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione. Sarebbe illogico dedurre da ciò che noi cadiamo nell’errore del liberalismo, che reputa la religione un semplice affare di coscienza e cerca quindi nello stato laico un principio etico informatore della morale pubblica; anzi, è questo che noi combattiamo, quando cerchiamo nella religione lo spirito vivificatore di tutta la vita individuale e collettiva; ma non possiamo trasformarci da partito politico in ordinamento di Chiesa…Oggi un partito confessionale non è opportuno: esso si impegna per una migliore distribuzione  della ricchezza fra capitale e lavoro; la partecipazione dei lavoratori alla gestione diretta e agli utili dell’azienda; la diffusione della piccola proprietà; il riconoscimento giuridico e la libertà di tutte le organizzazioni  sindacali ” (L. Sturzo, PPI, vol. I°, cit. p.76) .

Il cantuccio dell’autore:

Con il Partito Popolare nasce un partito dei cattolici, che non coinvolge la Chiesa, ma che ha come base la dottrina sociale della Chiesa, con una visione solidaristica e interclassista. Nato per il bene dell’Italia “secondo gli ideali di giustizia e di libertà” e sulla base dei “principi saldi del cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia”. “La politica- afferma mons. Antonino Raspanti- ha bisogno di essere redenta, come ogni altro ambito umano: questo è l’insegnamento pastorale di don Luigi. La fecondità del suo ministero sacerdotale si misura proprio su questo singolare terreno, nel quale i cristiani sono chiamati. Senza redenzione sociale non si può costruire la civiltà dell’amore”.

 

L’AZIONE POLITICA A LIVELLO NAZIONALE

                                     LO SCONTRO CON IL FASCISMO (1920-24)

 

1921- LA REGIONE, COME ENTE ELETTIVO-RAPPRESENTATIVO

A Venezia, durante i lavori del III Congresso nazionale del partito propose “un nuovo ordinamento dello stato fondato sulla costituzione della regione, come ente elettivo-rappresentativo, autonomo-autarchico, amministrativo-legislativo”. La regione è infatti per Sturzo una realtà naturale, in cui meglio può realizzarsi il decentramento e l’autonomia fiscale che peraltro, ad evitare fenomeni di anarchia, va coordinata a livello nazionale. Anzi, è proprio il concetto di coordinamento che viene introdotto come essenziale nei rapporti fra i diversi livelli di governo, dal comune ai consorzi di comuni e alle provincie, enti tutti che vanno mantenuti ed organizzati, secondo un principio che in effetti non può che considerarsi assai vicino al sistema istituzionale federale.

         

    IL MEDITERRANEO E L’ESPANSIONE ECONOMICA DEL MEZZOGIORNO  

«La miopia bolscevica ed atea dei socialisti, la volontà di rivincita della borghesia, la paralisi del liberalismo governativo ereditato dal Risorgimento e l’illusione della normalizzazione costituzionale prospettata da Mussolini consegnarono l’Italia al fascismo. In questo contesto a Napoli, il 18 gennaio 1923 in occasione del quarto anniversario della fondazione del PPI, Sturzo pose l’attenzione sul bacino Mediterraneo come ambito naturale dell’espansione economica del Mezzogiorno, così come l’Europa centrale lo è per le industrie settentrionali. Erano necessarie industrie e trasformazione dei prodotti della terra; colture specializzate, scuole professionali e artigianali: una riforma della terra…Era venuto il momento per un risorgimento meridionale completo nel quadro più largo del risorgimento nazionale. Tre erano I canoni di questo risorgimento: 1- L’economia nazionale deve essere una e solidale; non vi è una economia del nord (la preferita) e un’economia del Sud (la trascurata); dalle Alpi al Lilibeo (Sardegna compresa) la economia deve essere unitaria. Le differenze naturali e storiche a danno del Sud devono essere attenuate non abbassando il livello del Nord ma elevando il livello del Sud. 2- Un Sud agricolo di fronte a un Nord industriale è uno “slogan” che non ha senso. Nell’economia moderna, agricoltura e industria si danno la mano…; 3-E’ necessario abolire le protezioni invisibili (e perciò arbitrarie) attraverso permessi di importazione e concessioni di valuta; sopprimere i monopoli indiretti fatti di privilegi fatti di privilegi dati a enti e società formati con denaro dello Stato; far cessare l’afflusso di denaro pubblico ad aziende deficitarie e insanabili. Un passivo che, pensando sulla nazione, incide di più sull’economia povera e contratta del mezzogiorno e delle Isole. Conclusione: il risanamento dell’economia nazionale e la rivalorizzazione dell’economia meridionale devono essere alla base di un’azione concorde fra tutti gli italiani».

(Dallo storico discorso “ Il Mezzogiorno e la politica italiana” del 18 gennaio 1923  e dall’articolo sul giornale “Sicilia del Popolo”,16 ottobre 1948 )

 

 

 

 L’ORIGINALITA’ DELLE RADICI ETICO-SOCIALI DEL PARTITO POPOLARE

Successivamente il 12 Aprile 1923 durante il Congresso di Torino (all’interno del quale si delinearono tre correnti: l’anti-collaborazionista, la collaborazionista condizionata; la collaborazionista incondizionata)Sturzo rivendicò l’originalità delle radici etico-sociali del Partito Popolare: 1. «Il compito dei popolari è completamente diverso dei militanti in altri partiti.  Noi abbiamo un ben più grave compito nella vita politica di tutti gli altri: realizzare entro la vita pubblica e con l’esercizio delle attività civili e politiche, il programma nostro in antitesi al liberalismo laicista, al materialismo socialista, allo stato panteista, e alla nazione deificata, che formano nel loro complesso la grande eresia che abbiamo ereditato dal secolo XIX e che giganteggia negli spasimi del dopo guerra. 2. I nostri presupposti etico-sociali sono diversi da quelli dei socialisti e dei fascisti. I tre grandi partiti di massa sono i popolari, i socialisti e i fascisti. C’è qualcuno che possa affermare che noi nel campo sociale abbiamo le identiche vedute degli altri due partiti? Con i socialisti no: la concezione materialista della vita, il principio della lotta di classe non ragione fatale assoluta, ma un episodio contingente, limitato e superficiale; hanno ammesso i nostri postulati della collaborazione di classe nell’economia, e della ragione superiore della nazione e dello Stato, come sintesi politica anche delle forze economiche e sindacali; ma diverso è il loro concetto di eticità da quello che deriva dal cristianesimo e che dà il fondamento dei rapporti di giustizia e di carità. Questo punto è per noi spiritualmente sostanziale, e caratterizza la ragion d’essere del partito popolare …

  1. La nostra concezione dello Stato è sostanzialmente diversa da quella liberale, socialista e fascista. Altra differenza sostanziale fra noi e tutti i partiti politici operanti in Italia, quindi con il fascismo, è nella concezione dello Stato. Siamo sorti per combattere lo Stato laicista e lo Stato panteista nelle concezioni del liberalismo e della democrazia; combattiamo anche lo Stato quale primo etico (ossia fonte e arbitro della moralità-n.d.r.) e il concetto assoluto della nazione panteista o deificata, il che è lo stesso. Per noi, lo Stato non crea i diritti naturali dell’uomo, della famiglia, della classe, dei comuni, della religione: solo li riconosce, li tutela, li coordina, nei limiti della propria funzione politica. Per noi, lo Stato non crea l’etica, la traduce in leggi e le conferisce forza sociale; per noi lo Stato non è la libertà, non è al di sopra della libertà. Per noi lo Stato non è religione; esso la rispetta, ne tutela l’uso dei diritti esterni e pubblici. Per noi la nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei singoli, è il complesso storico di un popolo che agisce nella solidarietà della sua attività, e che sviluppa le sue energie negli organismi con i quali la nazione civile è ordinata»

(Gli Atti dei Congressi del Partito Popolare Italiano, pp.400-404).

Di fronte al “discorso di un nemico” Mussolini chiese al Cardinale Gasparri, Segretario di Stato del Vaticano, che don Luigi Sturzo fosse allontanato dall’Italia, perché egli non rispondeva della sua vita. Il Cardinale chiese a Sturzo “il sacrificio della partenza”: “ho comunicato questa decisione al Consiglio Nazionale ed ho creduto di prendere una simile decisione per non dare più oltre ad avversari di ogni colore, il preteso, per quanto ingiustificato, altrettanto subdolamente sfruttato, di equivoci sui rapporti del Partito Popolare Italiano con la Chiesa”. E cosi rivolgendosi al Cardinale Bourne, Arcivescovo di Londra, sintetizzò la sua uscita di scena: “per desideri della Santa Sede il 20 Luglio 1923, lasciai il posto di segretario politico del partito; pure per desideri della S. Sede, il 19 maggio 1924 cessai di far parte della direzione del partito; e lo stesso giorno fu nominata altra direzione, senza il mio nome…; anche per desideri della S. Sede, il 25 ottobre 1924, lasciai Roma e venni a Londra”.

Don Sturzo, non più segretario si impegnò in una intensa attività editoriale: pubblicò in volumi i suoi discorsi più importanti e continuò a tenere vivi i filoni culturali della sua battaglia popolare attraverso la Società Editrice Libraria Italia (S.E.L.I.)

 

 

 L’ESILIO: DAL 25 OTTOBRE 1924 AL RIENTRO IN ITALIA IL 6 SETTEMBRE 1946

 

ESORTAZIONE A NON TEMERE: LA LIBERTA’ SAREBBE TORNATA A RISPLENDERE

 

Munito di un passaporto della Santa Sede, il 25 ottobre 1924 lasciò l’Italia partendo dalla Stazione Termini di Roma, salutato dagli amici più cari: Giampiero Doré, Claudio Savanuzzi, Igino Giordani, Mario Scelba con i quali ero solito condividere passeggiate, ma anche i pericoli e le minacce di un attentato di matrice fascista. Scelse Londra per il suo esilio. Qualche giorno prima della partenza avevo convocato i fedelissimi nell’abbazia di Montecassino, dove si era ritirato in silenzio. “Esortai gli amici a non temere: la libertà sarebbe tornata a rispendere nel cielo d’Italia. Ad una condizione: tutto ciò sarebbe dipeso in futuro dalla nostra resistenza e dalla nostra fede”.

                

               L’UNITA’ IN EUROPA DI TUTTI I PARTITI DI ISPIRAZIONE CRISTIANA

Anche da Londra cercò sempre di far sentire la sua attiva partecipazione alla vita del Partito Popolare Italiano. In occasione nel V ed ultimo Congresso del Partito Popolare  inviò un messaggio esortando tutti alla vera pace del paese, alla riconquista della libertà perduta, al risanamento morale della coscienza e della convivenza nazionale senza limitazioni e senza sottintesi e alla fiducia di poter vincere l’aspra battaglia morale di fronte alla tragica situazione morale.

Viaggiò molto in Francia, in Belgio, in Germania. «A me interessava che i popolari, i cristiani- sociali, tutti i partiti insomma di ispirazione cristiana si accordassero tra loro per creare un’ambientazione europea, anticipazione della piccola Europa di oggi. Non vi è dubbio che tale idea mi nacque dal concerto antifascista e dalla preoccupazione per la sorte della Società delle Nazioni. Occorreva a mio avviso formare un clima che non favorisse l’espansione del fascismo e che lo isolasse in Italia. A ciò non si pervenne, anche perché molti cattolici in Germania, in Italia, in Francia davano un giudizio positivo sul fascismo». (Gabriele De Rosa, Sturzo mi disse, Morcelliana, p.141)

-Il 30 marzo 1925 fu invitato a Parigi per parlare della preoccupante situazione politica italiana. Con la relazione “Lo stato attuale dell’opinione pubblica in Italia” : analizzò l’ascesa di Mussolini al potere; la drammatica situazione del dopoguerra e la sua proposta in linea con la “Rerum novarum“ di Leone XIII: la partecipazione non conflittuale degli operai al capitale e agli utili delle imprese.

“Nella questione operaia -affermava il Pontefice- lo sconcio maggiore è questo: supporre l’una classe sociale nemica naturalmente all’altra, quasi che i ricchi e i proletari li abbia fatti natura a lottare con duello implacabile fra loro. L’una classe ha bisogno assoluto dell’altra; né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. Ora a pacificare il dissidio, anzi a svellerne le stesse radici, il Cristianesimo ha dovizia di forza meravigliosa: è potentissimo a conciliare e mettere d’accordo fra loro i ricchi e i proletari…Oggi (scriveva nel 1925)-  occorre fare francamente un passo avanti e porre in essere le condizioni per le quali possa realizzarsi quanto vaticinato di recente dall’American Review of Reviews : “L’Italia sarà la prima Nazione che adotterà nuovi sistemi di associazione fra capitale e lavoro. Gli operai si persuaderanno quanto questo sistema sia molto migliore della dittatura proletaria…La storia dirà anche di quanti mali politici ed economici sarà causa un regime di eccezione come il fascismo. E’ in sostanza un problema di libertà. La libertà è come la verità: si conquista; e quando si è conquistata, per conservarla si riconquista…E’ un perenne gioco dinamico, come la vita. Se la libertà non si ispirerà all’essenza del cristianesimo, che rivendica esso solo nella storia la personalità umana, base di vera libertà, e se non si impregna di vera religiosità, purtroppo la libertà viene meno nella sua essenza, come spesso è avvenuto, lasciando il posto all’egoismo delle oligarchie o all’anarchismo delle masse» (Il discorso, pronunciato su invito del ´Comitè National d’Etudes Sociales et Politiques` è inserito nell’Opera Omnia curata dall’Istituto Luigi Sturzo “Politica di questi anni”, seconda serie, volume quinto, Zanichelli)

Durante l’esilio scrisse numerosi saggi, incentrati prevalentemente sulla storia dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, opere storiche e sociologico-filosofiche. Si indicano nella loro essenza alcune tra le più importanti.

L’ “Italia e fascismo” (1926) è un saggio diviso in tre parti. La prima analizza l’Origine della crisi; la seconda è dedicata al Fascismo al potere (La Russia bolscevica ha creato il mito di Lenin; l’Italia fascista ha creato il mito di Mussolini); la terza è intitolata “Oggi e domani”: “Una cosa è fondamentale e deve da tutti essere messa a base di ogni forma di politica: il rispetto della personalità umana, e il riconoscimento che da ciò deriva libertà e diritto, come ragione di natura”. (L. Sturzo, Italia e fascismo, Zanichelli ed. 1965, p. 6).

A Londra pubblica “La comunità internazionale e il diritto di guerra” (1928): un’opera uscita in prima edizione a Londra, tradotta in inglese da Barbara Barclay Carter. Il testo riprende quanto scritto in un suo precedente articolo su “L’idea popolare”.

“La guerra è un mezzo di garanzia sociale adatto ad uno studio inferiore della società umana…Il diritto di guerra non è un diritto derivante da esigenze fondamentali della natura umana, ma solo una risultante sociale e storica…La società umana, svolgendosi verso forma di organizzazione giuridico-razionale ( specialmente sotto l’influsso del cristianesimo) tende alla eliminazione della guerra… L’illegittimità, e quindi l’immoralità della guerra riguarda tutti i popoli che partecipano a quel sistema giuridico che l’afferma come tale… anche per i popoli giuridicamente e socialmente  in condizioni inferiori( popoli coloniali) vige l’obbligo di tendere a ridurre al minimo i motivi di guerra.. in nome dei principi morali “. (L’idea popolare, n. 22, 12.9 1926, p.1)

Ancora a Londra di fronte alla grande crisi degli anni ’30 offrii un suo contributo in un articolo dal titolo “Schiavitù antiche moderne” pubblicato il 12 novembre 1933  sul quotidiano “El Mati” di Barcellona (vedi “Miscellanea londinese” -Seconda serie dell’”Opera Omnia” -vol.VI- pagg. 275-278): “Passando dal campo politico al campo puramente economico, troviamo due tipi di schiavitù moderna, quella del salariato e quella della disoccupazione: ambedue effetti del capitalismo anonimo e irresponsabile. Non è il capitalismo un male in sé, esso ha dato buoni frutti, quali il risparmio, lo sviluppo tecnico e produttivo delle imprese, l’incremento dell’economia pubblica e privata. Il male è il capitalismo anonimo e irresponsabile: togliere al capitale il suo anonimato e la sua irresponsabilità. Occorre riavvicinare gli uomini fra di loro, padroni e operai, capi di stato e cittadini, classi e classi, popoli e popoli. Proclamare il primato dell’amore del prossimo. La civiltà cristiana è tutta fondata sull’amore del prossimo.

Nel 1935, a due anni dall’avvento del nazismo al potere in Germania, con l’amico Domenico Russo curò la stesura di un manifesto che avrebbe dovuto raccogliere le firme di alti rappresentanti della politica e della cultura di ogni parte del mondo, dall’Inghilterra alla Francia, alla Polonia, al Belgio …Per attuare il disegno di mobilitazione dell’opinione pubblico…pensò di coinvolgere nell’iniziativa il Segretariato internazionale dei partiti di ispirazione cristiana con una lettera del 4 ottobre 1935 che sintetizziamo: «Come

 

 

 

1935   – FILOSOFIA E STORIA: DUE MODI DI COGLIERE L’ATTIVITA’ UMANA

A Parigi pubblica il saggio “Essai de sociologie” (nella versione italiana pubblicata nel 1949 “La società. Sua natura e sue leggi. Sociologia storicizzata”): è il primo delle sue opere a carattere socio-logico- filosofiche in cui emerge la visione di una società nella sua concretezza e  sotto l’influsso della civiltà cristiana, che agevola e rende più celere il nostro moto verso la razionalità: “Filosofia e Storia sono due modi di cogliere l’attività umana, o nella sistemazione delle idee tratte dalla realtà, o nella sistemazione della realtà secondo le idee. La libertà non è senza limiti come non è senza freni; nella libertà limiti e freni debbono procedere da convenzione più che da minacce esterne, a una tradizione rispettata e amata, più che da paura di spie; si tratta di autolimiti e auto-freni… studiando la società nel suo reale complesso si trova infatti che essa è posta entro l’atmosfera del soprannaturale e che reagisce e reagisce secondo le leggi sociologiche che sono la sua base naturale”. (A. Mazzotti in Diz. Letterario Bompiani/appendice; vedi inoltre La Vera vita di L. Sturzo).

1938                                    POLITICA E MORALE  

                                     La morale fondamento del diritto

Sempre a Parigi pubblica in francese “Politica e morale” (in inglese nello stesso anno; in italiano nella primavera del 1946, con il titolo Morale e politica): «La morale è il fondamento del diritto. Non c’è diritto che non sia morale; un diritto immorale è impossibile a concepirsi perché dal momento che è immorale cessa di essere un diritto …..Lo stesso avviene in politica. Quando una classe sfrutta i suoi privilegi politici soltanto per il proprio vantaggio, commette un’immoralità… Più il vantaggio cercato è l’interesse generale e più la politica diventa morale, più il vantaggio si restringe ad un piccolo numero e più la politica diventa immorale» (L. Sturzo, Politica e morale, ed Zanichelli, Bologna 1972, pp.63-64).

 

 

18 marzo 1939  

PARTIRE DALLE ENCICLICHE SOCIALI DEI PAPI PER IL BENE DELLA CLASSE OPERAIA

 

Da un articolo pubblicato su “Il Lavoro” di Lugano dal titolo “Quadragesimo Anno e Divini Redemptoris” (vedi “Miscellanea londinese “-Seconda Serie-Vol. VI -pagg.226-227) : “Mentre è un dovere mettere in guardia gli operai, per non correre dietro a teorie pericolose e condannate dalla ragione naturale e dalla morale cristiana, è un più pressante dovere attuare quel che le encicliche sociali dei Papi suggeriscono o comandano, per il bene della classe operaia, in nome della giustizia e della carità…

Se dal lato dei padroni ci fosse un po’ più di giustizia (o un po’ meno d’ingiustizia); se dal lato dei governi ci fosse più premura a sviluppare il lato sociale degli organismi professionali e corporativi, a migliorare la legislazione assicurativa; a rendere meno acuta la crisi di disoccupazione; a diminuire le spese militari improduttive per migliorare la produzione e i commerci, allora ci sarebbero meno motivi per gli agitatori socialisti e comunisti a eccitare le masse e a monopolizzarne le rivendicazioni. Già in precedenza nel 1920 il Partito Popolare di Luigi Sturzo aveva indicato nello spirito della “Rerum Novarum” di Leone XIII “Se quel che più conta -l’intelligenza, il capitale e il lavoro – non si associano quasi a formare una cosa sola, l’umana attività non può produrre i suoi frutti”

 

Il cantuccio dell’autore:

Don Sturzo viaggiò molto per l’Europa, mantenendo i contatti con uomini politici antifascisti e anche popolari fuoriusciti che si rivolgevano a lui dalla Francia, dal Belgio e da altre nazioni. Nel 1927 istituì e organizzò il Comitato di soccorso per i rifugiati politici, rispondendo agli appelli che gli provenivano da tanta parte dell’Europa e inviando la sua offerta. Fu un periodo inteso: scrisse molti saggi e svolse ricerche originali e di notevole qualità. Nelle opere sopra esaminate egli auspicava che giuristi e moralisti, sociologi e uomini politici si impegnassero nella difesa della civiltà cristiana grazie anche ai partiti e ai gruppi con i loro programmi di ispirazione cristiana realizzando in ogni Paese quelle proposte di ordine politico, sociale ed economico, che rispondessero alla giustizia e alla moralità. Egli ritiene che solo la Chiesa cattolica quale istituzione divina realizza in modo pieno la vita del credente e che Stato e Chiesa in sé stessi portano avanti due loro specifici principi sui quali intendono organizzare la vita dell’essere umano. La politica staccata dalla morale si riduce a semplice esercizio del potere: quando una classe sfrutta i suoi privilegi politici soltanto per il proprio vantaggio, commette immoralità. Occorre mettere sempre la persona umana al centro della vita sociale e ogni elemento sociale deve avere un forte contenuto morale, nel rispetto dei valori cristiani.  “La società non è un’entità o un organismo fuori e sopra l’individuo, né l’individuo è una realtà fuori e sopra la società. L’uomo è insieme individuale e sociale “(L. Sturzo, La società. Sua natura e leggi, pag. 5). Una visione nuova di una società dinamica, concreta, storicistica.

 

3 ottobre 1940    LA MIA BATTAGLIA PER LA LIBERTA’ NEGLI STATI UNITI

Con un documento del governo inglese Don Luigi poté presto partire per gli Stati Uniti il 22 settembre 1940, accompagnato dal suo medico e amico dott. Michele Sicca (La mia battaglia da New York, Garzanti ed., Miano 1949, p. VIII, p 1-4; p. X, p.1) .                                        Arriva a New York il 3 ottobre 1940 in difficili condizioni di salute. Era ormai convinto che la guerra sarebbe stata assai lunga e non credeva che potesse vivere tanto da vederne la fine. Aveva l’impressione di una catastrofe che avrebbe coinvolto l’Italia con tutta l’Europa (L. Sturzo, La mia battaglia da New York, Milano, Garzanti 1949, p. VIII, p.1-4; p. X, p.1).

Ospite prima in casa della famiglia Bagnara, originaria di Caltagirone, si trasferisce presso l’Ospedale San Vincenzo a Jacksonville, in Florida, ospite delle Figlie della carità. La stanza dell’ospedale di Jacksonville prima, e poi quella di New York, divengono un osservatorio importantissimo: da lì segue le fasi della guerra, prosegue la sua azione e combatte “La mia battaglia da New York “ ( un documento della sua attività svolta a New York, che comprende i suoi articoli politici sulla guerra):                                                                     «quando non si accetta la battaglia delle idee, si finisce nella battaglia di sangue. Anche in politica non durano l’equivoco, la menzogna, l’inganno…Dire la verità ed educare il pubblico alla verità è il primo dovere di un governo democratico che si rispetta…Anche l’O.N.U. è nata con l’equivoco…è basata sulla menzogna di una sovranità mondiale che non esiste. perché il diritto di veto elide ogni attività sovrana per dar luogo ai penosi e compensativi compromessi, e finirà nell’inganno di una pace che non potrà essere raggiunta, perché minata da quegli stessi “Grandi” che si sono attribuiti tutti i poteri e tutti i vantaggi della dominazione del mondo e tengono a loro disposizione eserciti e mezzi di distruzione senza limiti».

 

 

Il cantuccio dell’autore:

Per la ricchezza di giudizi e per la perspicacia delle sue visioni, è una documentazione veramente grandiosa e impressionante”. (P.  Stella, Luigi Sturzo Sacerdote, Pegaso ed.; Caltagirone, IV ed. 2000, p.133)

 

1943             SIAMO STATI PREDESTINATI ALLA VITA SOPRANNATURALE    

Nel 1943, quando già pensava di lasciare gli Stati Uniti, pubblica a Washington in lingua inglese “La vera vita/La sociologia del soprannaturale”. In una lettera del 10 ottobre 1936, indirizzata al fratello Mario, gli confidava di progettare un libro “mezzo ascetico e mezzo filosofico sulla vita interiore”; l’anno dopo precisava il titolo della nuova opera che avrebbe dovuto rappresentare la terza di una trilogia dopo “il Saggio di Sociologia” e “Chiesa e Stato”. Questo lavoro venne completato solo cinque anni più tardi.  L’opera si divide in due parti.

Nella prima intitolata “Società di Dio” esamina sia la vita naturale che quella soprannaturale nell’esperienza dell’individuo e nella proiezione sociale alla luce della divina rivelazione, nonché dell’esperienza storica e spirituale. Nella seconda parte intitolata “Dalla Terra al Cielo” collega i risultati del lavoro scientifico nel campo sociologico con quelli teologici della grazia riguardanti l’incorporazione in Cristo e il mistero della salvezza.

«Vera vita è quella completa per ogni lato, che corrisponde a tutte le nostre aspirazioni più profonde e forma la più alta sintesi delle nostre potenzialità e attività. Vera vita è quella dello spirito, dove solo può operarsi la pacificazione delle intime discordanze e contraddizioni e dove ogni bisogno e dolore trova soddisfazione, conforto, superamento. Questa è la vita soprannaturale, alla quale siamo stati predestinati da Dio; dono che ci eleva e nobilita, ci chiama al consorzio con Dio e ci fa inabissare nel suo mistero …Dio. Lo spirito di sacrificio nella lotta per la giustizia, l’attesa paziente anche se non passiva dell’avvenire, il puntare su tempi lunghi, la capacità di accettare gli insuccessi e le sconfitte politiche senza perdersi d’animo, l’ubbidienza attiva, talvolta sofferta e mai servita…La vera vita è amore: naturale e soprannaturale, umano e divino, sulla terra e nel cielo, in una fusione ineffabile nella quale noi, pur assorbiti in Dio, non perderemo la nostra personalità, ma la trasformeremo. Dio ci divinizza così che, senza farci perdere la coscienza di essere uomini».

 

 

Il cantuccio dell’autore:

Qualcuno l’ha definita “una vera autobiografia spirituale”, qualche altro “la sociologia di Sturzo”; S. Missiroli la considera un trattato di “antropologia sociale ispirata cristianamente e basata su un corretto rapporto fra naturale e soprannaturale”. Per don Sturzo il primato del soprannaturale trasmette all’uomo la consapevolezza di avere sempre accanto a sé la presenza di Dio; irrompendo con la forza del Vangelo di Cristo nella sfera politica, l’azione politica porta con sé il bene comune e la giustizia. L’uomo è il cooperatore di Dio, in polemica indiretta con la visione dell’esistenzialismo che esclude la presenza storica della grazia nella nostra vita.

 

29 gennaio 1944

LOTTARE PER UNA DEMOCRAZIA VERA, DEMOCRAZIA MORALE CRISTIANA E SOCIALE

Mentre La Sicilia veniva liberata dagli alleati nel luglio del 1943 e si formavano i primi nuclei di democristiani (ex popolari), Sturzo continuava a seguire le vicende italiane dagli Stati Uniti: non dimenticando di riflettere sul ruolo della Democrazia Cristiana, invia un messaggio al primo congresso che il 28 e 29 gennaio 1944 i rappresentanti di tutti i partiti antifascisti tenevano a Bari. “Se mi fosse consentito di dir parola, sarebbe per raccomandare l’unità di tutte le forze democratiche…perché l’Italia deve essere democrazia, vera democrazia, democrazia morale cristiana e sociale. Niente governo di un solo partito, di una sola classe, di cricche di interessi, ma democrazia per tutte le classi e di tutti i partiti basata sulla giustizia e la libertà in reciproca cooperazione e tolleranza”. (L. Sturzo, Scritti inediti, vol. III o. c., p.183).

 

21 ottobre 44    LA FUNZIONE POLARIZZANTE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA   

 Successivamente il 21.Ottobre.44 indirizzò a Igino Giordani (che gli aveva fatto recapitare alcuni numeri del Quotidiano uscito con l’approvazione della Santa Sede) una lettera in risposta a questi articoli: “ Vorrei osservare alcune idee molto comuni, ma che servono ad evitare due scogli: quello di tirare la Chiesa nella politica militante, e l’altro di trasformare un partito politico in una branca d Azione Cattolica…La funzione di un partito come la Democrazia Cristiana diviene polarizzante per coloro che alle questioni politiche sociali ed economiche danno un orientamento spirituale e finalismo superiore, sì che per essi il laicismo del partito non è che un aspetto civico, mai una sostanza etica. Il trovarsi la Democrazia Cristiana con altri partiti sullo stesso piano laico, mentre ne limita ragionevolmente l’azione di apostolato religioso, dà loro un influsso eccezionale nella stessa vita politica” (Igino Giordani-Luigi Sturzo /Un ponte tra due generazioni, Carteggio 1924-1958, a cura di P. Piccoli, Ed. Cariplo-Laterza,1896, lettera n.55, pp.100-102).

La mia scelta di rimanere in America nasceva dalla situazione italiana non ancora libera; per questa ragione era “ mio compito influire sulle agenzie governative per quello che debbono fare americani e inglesi nell’interesse dell’Italia e nell’interesse della pace futura”; rivelavo tra l’altro in un documento Confidential memorandum on Italy che “L’Italia al centro del Mediterraneo se sarà lasciata in uno stato di permanente debolezza e soggezione, non gioverà né alla Russia né all’Inghilterra, ma sarà elemento d’instabilità nell’equilibrio europeo…Si propone per tutto questo, che sia permesso al governo italiano di inviare a Washington una missione per trattare i problemi più urgenti, per i quali l’appoggio americano può essere decisivo”.

 

1945-       CRISTO, VIVIFICATORE DI TUTTA LA VITA DEI CREDENTI

Pubblica il volume “Problemi spirituali del nostro tempo”: «La visione di un mondo aggiustato su misura una volta per sempre non è né reale né cristiana. La visione di una società di soli lavoratori completamente felice di sé è un’utopia che porta alla dittatura. Occorre resistere contro simili aberrazioni che non vengono da Dio; e accettare invece il posto del cristiano che lavora e si sacrifica per la giustizia e per il bene, nell’amore fecondo per il quale “tutto coopera al bene”, perché Cristo è presente, è con noi” sino alla consumazione dei secoli”, vivificatore di tutta la vita dei credenti, senza il quale nulla può farsi e nulla di bene esiste… I cattolici portino il loro spirito di conquista trasformatrice e l’efficacia della loro personalità plasmata dalla concezione soprannaturale della politica …Non è solo l’uomo individuo, ma la società stessa che esiste e si muove in un’atmosfera di soprannaturalità. Occorre che questo mondo del soprannaturale sconosciuto e dimenticato, ignorato o disprezzato, venga cercato, compreso e vissuto nella politica per virtù dei credenti» (L-Sturzo. Problemi spirituali del nostro tempo, pag. 82)

 

14 Aprile 1945    CRITICA CONTRO L’INTERVENTISMO STATALE IN ECONOMIA 

Invia un messaggio di saluto all’Assemblea della Confcommercio, nel quale ribadisce alcuni concetti chiave sulla libertà e critica l’interventismo statale in economia con l’IRI e soprattutto l’ENI: “la libertà economica e il rispetto dell’iniziativa privata devono essere messi alla base delle libertà confederali, cercando di non fare accrescere ancora di più la pressione statalista…non ho interesse nelle imprese metallifere e petrolifere. sono un uomo libero …combatto coloro che abbondano di privilegi, abusano del potere economico e delle protezioni politiche; invadono con sempre maggiore l’ambito dell’iniziativa privata, preparando e attuando una specie di socialismo di Stato, o statalismo sociale che dir si voglia”

 

IL MIO IMPEGNO PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE (1946-59)

1946       LA SOVRANITA’ DEL POPOLO ATTRAVERSO I SUOI RAPPRESENTANTI

  Ritornato in Italia, riprese le sue battaglie, contro lo statalismo a favore della responsabilità del cittadino, contro una costosa burocrazia, a favore del decentramento e delle autonomie locali; e nella convinzione che la democrazia si risolve solo in quei paesi dove il popolo gode della sovranità che esercita o direttamente o a mezzo dei suoi rappresentanti. Risentiamo in sintesi alcune sue considerazioni. Sollecitato a ritornare alla vita attiva…

Il 16 settembre, scrive una lettera all’on. Igino Giordani, direttore del “Popolo”:

«Caro Igino, è mio dovere civico contribuire, per quel che posso, alla rinascita del paese in un momento così tragico della storia; come ho fatto da lontano senza legami di parte…rappresentare in Italia quel che per anzianità rappresento in tutti i paesi dove esiste ed opera la Democrazia cristiana: ”un veterano” delle antiche battaglie…un “simbolo” vivente di mezzo secolo di lotte, controversie, crisi e vittorie, che ha potuto mantenere viva l’idea che oggi si presenta come forza di difesa della libertà, della democrazia e della civiltà cristiana…» (Igino Giordani-Luigi Sturzo/ Un ponte tra due generazioni, Carteggio 1924-1958, a cura di P. Piccolo, Ed. Cariplo-Laterza, 1986, lettera n.84, pp. 129-133)

Il 20 settembre una delegazione della DC si recò a far visita a don Luigi Sturzo. Il saluto ufficiale fu dato da Adone Zoli: «Per 22 anni ti abbiamo sentito vicino… Tu incarnasti allora, come incarni ora, la democrazia, quale idea di popolo per il popolo, sostenuto dall’elevazione morale secondo il magistero cristiano. Eri “ambasciatore dell’Italia eterna” e testimoniavi con tenacia in faccia al mondo la potenza dell’idea democratica cristiana negli anni della dittatura…Vorremmo che anche gli altri popoli, i quali rendono omaggio alla tua dirittura morale e hanno tratto lezioni dalla tua intelligenza, vedessero nel nostro popolo quello che tu simboleggi: una concezione profondamente morale della vita politica e sociale a servizio dell’uomo e a tutela della sua dignità, in una convivenza di classi e di popoli nazionali collegati» (G. Palladino, La Dc non sarebbe scomparsa se avesse seguito il pensiero sturziano, Quaderni  del Centro Studi luigi Sturzo, N.° 2 Luglio 2010,p.9)

 

             GIUSTIZIA E LIBERTA’: GLI IDEALI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA

Lui non voleva starsene in disparte. La sua risposta fu eloquente: «C’è qualcosa che dipende da voi e qualcosa che dipende dagli eventi. Da voi dipende la fermezza dei principi e la fedeltà allo spirito della democrazia cristiana che deve vivificare tutta la vostra azione politica. Non mirate al vostro successo materiale. Quando vi sono ostacoli, vanno prese iniziative per irrobustire lo spirito, al di sopra degli elementi tecnici e pratici della vita politica. Su questo punto occorre rifarsi al Vangelo, che ci ammonisce di essere distaccati dai mezzi materiali, non per schivare il lavoro con una fiducia passiva nella Provvidenza, ma per non perdere il contatto degli ideali. “Cercate il regno di Dio e il resto vi sarà dato” dice il Vangelo. Gli ideali su cui fondare ogni sana azione politica sono la giustizia e la libertà; giustizia e libertà sono gli ideali della Democrazia Cristiana» (G. Palladino, Il buon governo esige buona cultura, Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo, p. 5)

 

1946–    L’ANIMA DELLA DEMOCRAZIA E’ IL POPOLO- L’ANIMA DELLA DEMAGOGIA E’ LA FOLLA

Sempre in questo periodo, scrive “Politica di questi anni. Consensi e critiche (1946-48): un’ampia riflessione sul regime fascista e sui suoi affetti sull’italiano medio: «l’istinto dell’italiano di guardare allo stato come la principale, se son l’unica, sorgente di benessere individuale, il sovventore di tutte le iniziative, il provveditore di tutte le miserie, il collocatore di tutti gli spostati, sotto il fascismo si ingigantì in proporzione alla moltiplicazione continua di posti e sinecure creati a getto continuo» (L. Sturzo, Politica di questi anni, Opera Omnia, seconda serie, vol. IX, Bologna, Zanichelli 1958,p.44)…Ciò che distingue una reale democrazia dalla demagogia è l’organicità della struttura dello Stato e il rispetto della legge da parte di tutti, dal primo all’ultimo. L’anima della democrazia è il popolo; l’anima della demagogia è la folla. Tra popolo e folla non ci sono reali contatti; il popolo è un organismo, la folla è un agglomerato; il popolo esprime una volontà responsabile a riflessa, la folla manca di senso di responsabilità» (L. Sturzo, Politica di questi anni, o. c., p.347)

 

 IL DIRITTO INALIENABILE DELLA COMUNITA’ SOCIALE DI GOVERNARSI DA SE’           

«Il processo di democratizzazione di un paese è per sé un movimento interiore, che parte dalla coscienza che ha il popolo; che la comunità sociale ha un diritto inalienabile di governarsi da sé, diritto che va conquistato per processi graduali o rivoluzionari, contro coloro che lo negano per poter mantenere i propri privilegi. Questo processo è sempre in cammino, perché mai una comunità arriverà alla pienezza statica di tutti i diritti…»

(da un articolo “Autogoverno e i suoi limiti” sulla rivista” Il Ponte”, Firenze, a. II, n.10.ottobre 1946, pp. 839-845).

18 ottobre 1946 LA DEMOCRAZIA CRISTIANA HA UN COMPITO DI ECCEZIONALE IMPORTANZA IN TUTTA L’EUROPA

«L’Europa, con sforzo perseverante, dovrà divenire una e rinsaldare i vincoli morali e materiali fra i popoli che han creato la presente civiltà: l’economia non avrebbe più potuta essere nazionale, ma essere federativa: un’economia aperta e non chiusa».

«Occorre che la DC prenda coscienza della sua funzione di centro fra reazione e rivoluzione; bisogna che sul terreno pratico non tema di essere ardita nel rivendicare i diritti del lavoro e di avere nello stesso tempo il coraggio di far rispettare i limiti della giustizia individuale e sociale… La DC è un partito politico a carattere morale, perché cristiano, e in quanto tale vuole restaurare nella vita pubblica la moralità, senza la quale la democrazia non regge e la libertà precipita. La politica deve essere concepita come servizio alla collettività, come cooperazione al bene, come dovere di solidarietà (il cristianesimo preferisce chiamarla carità, cioè amore del prossimo) e in ceti casi come atto di giustizia…La provvidenza, per sua benignità, ci ha chiamati ad essere suoi cooperatori nel campo della giustizia e della carità, che è un campo vasto quanto il mondo e durevole quanto i secoli…. Finché Dio mi dà forze non cesserò di cooperare con altri alla soluzione (se la soluzione si potrà avere) dei problemi più urgenti e più importanti. Ma nessuno che le sorti del nostro paese potranno cambiare da un giorno all’altro; e che ci siano uomini che abbiano tale facoltà da farci superare le attuali crisi a breve scadenza e con prospettive vantaggiose. Non l’uomo ma gli uomini occorrono all’Italia (come occorrono agli altri paesi). Questi uomini siamo tutti noi, ciascuno nel suo piccolo, ciascuno con la sua volontà di lavorare per il bene degli altri; ciascuno rispondendo all’appello della propria coscienza e cooperando con gli altri con attività e sacrificio. Dalla varia corrispondenza e dalle molteplici conversazioni in quasi tre mesi dal mio arrivo, ho avuto l’impressione che si vada sviluppando In Italia un senso di disfattismo, credendo che le forze di resistenza a nuovi totalitarismi di sinistra e di destra si vadano logorando e perdano terreno. Sono convinto che gli stati d’animo e di sfiducia e di depressione sono l’anticamera delle sconfitte. Sta a noi parare in tempo e con mezzi adeguati lo slittamento a destra o a sinistra, con una chiara impostazione di lotta contro le dittature e contro i totalitarismi: per la Democrazia e per la libertà» (Igino Giordani- Luigi Sturzo/Un ponte tra due generazioni, Carteggio 1924-1958, o.c. lettera n.88, pp.144-146).

Alcuni giorni dopo, il 23 ottobre 1946, invia un messaggio ai democristiani di Imola (Bo) a sostegno della loro azione politica: «La DC ha caratteristiche incancellabili: è partito sociale interclassista e non un partito di una sola classe; è partito di centro e non di destra o di sinistra; è un partito politico a carattere morale, perché cristiano, e in quanto tale vuole restaurare nella vita pubblica la moralità, senza la quale la democrazia non regge e la libertà precipita nella licena. Un manipolo convinto e forte vale più di un esercito numeroso ma incerto che, piegando ora a destra ora a sinistra, non mantiene le posizioni. A voi l’augurio di essere un manipolo forte della democrazia cristiana» (G. Palladino, La DC non sarebbe scomparsa se avesse seguito il pensiero sturziano, o.c.  pag.14)

Nello stesso anno, pubblicava un articolo “Moralizziamo la vita pubblica”.

“Non è moderno il male di una vita pubblica moralmente inquinata: sotto tutti i cieli, in tutte le epoche, con qualsiasi forma di governo, la vita pubblica risente tutti i tristi  effetti dell’egoismo umano. Quanto più accentrato il potere e quanto più larghi sono gli afflussi del denaro nell’amministrazione pubblica (Stato, enti statali e parastatali, enti locali), tanto più gravi ne sono le tentazioni…ma c’è un altro pericolo, ancora peggiore, quello della insensibilità del popolo stesso di fronte al dialogare dell’immortalità nell’amministrazione dello Stato, sia perché attraverso partiti, cooperative, sindacati, enti assistenziali e simili, coloro che hanno in mano i mezzi dell’opinione pubblica partecipano alla corruzione dei politici o si preparano a parteciparvi con l’alternarsi dei partiti( di questo male si soffre negli Stati Uniti); ovvero perché tutto il potere e tutti i mezzi di opinione pubblica sono in mano ai governi, com’è nei Paesi totalitari. («La Via» , 5 novembre 1949)

 

 

Quando era in gestazione il trattato di pace tra gli Alleati e l’Italia, il 15 novembre 1946 Sturzo pubblicò un articolo sul Giornale d’Italia. In relazione alle intenzioni dei tre grandi della terra, Truman, Churchill e Stalin, riteneva che essi erano d’accordo in un punto: essere proprio loro a reggere le sorti del mondo, pronti a far piani di guerra; a mantenere l’efficienza bellica perfezionandola; a prendere o mantenere posizioni; così da essere parati ad omnia.

 

 

19 Gennaio 1947 CONTRO UNO STATO DEMAGOGICO, UNO VERAMENTE POPOLARE

                    Su “Il Popolo” il 19 gennaio 1947, in occasione del 28° anniversario della fondazione del Partito Popolare Italiano.

“Dopo 22 anni di assenza, non posso sopportare l’aria greve e soffocante dello statalismo. Gli italiani si sono talmente adagiati all’idea di uno stato-tutto, che nessuno ha più ritegno di invocare provvedimenti e interventi statali per la più insignificante iniziativa. Da per tutto ci sono commissari governativi …arbitri di enti statali, parastatali, sopra statali …tutti con tanto di marca di fabbrica: lo Stato. Tutto il mondo italiano vuole dipendere dallo Stato. L’essere statale è una conquista di classe, perché lo Stato paga e i comuni non pagavano; lo Stato classifica, sposta, decide, ex-cattedra; il comune no, non poteva, perché viveva e vive la vita grama dei poveri, sottoposto anch’esso a uno insopportabile ingerenza statale. Che ne impedisce l’attività e lo sviluppo. E dire che siamo nel Paese delle “cento città”, della vita municipale piena di grandezze e di ricordi, i cui monumenti “comunali” hanno l’impronta del genio, mentre quelli dello Stato burocratizzato hanno l’impronta della mediocrità e dell’insipienza. Per sopportare l’elefantiasi dell’accentramento, lo Stato ha preso in mano tutte le risorse del Paese; lo Stato ha gonfiato il suo tesoro (carta stampata che corrode il valore della nostra liretta, quando cesserai di inondare il Paese!): lo Stato getta milioni e miliardi dalla finestra della demagogia, che è penetrata nelle ossa dei politicanti italiani. Agli amici democristiani e agli altri che si battono nella commissione dell’Assemblea Costituente per la regione andrà la gratitudine degli italiani pensosi delle sorti del nostro Paese. Ad essi riparto dall’Appello ai liberi e forti, lanciato 28 anni fa dai popolari nel costituire il loro partito, il seguente periodo iniziale: “Ad uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti delle sue attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private“.

                                                                                                                                                                                             1948 – LA REGIONE NELLA NAZIONE: DAR VOCE AL POPOLO ATTRAVERSO

L’ELETTORATO E LA RAPPRESENTANZA REGIONALE

Dopo il suo ritorno in Italia nel saggio “LA REGIONE NELLA NAZIONE ” difende con vigore la scelta del Costituente:  “Cattaneo e gli altri non volevano una federazione di stati belli e fatti (l’idea dei neoguelfi cadde presto): essi si opposero ad uno Stato uniformizzato e centralizzato; essi volevano uno Stato strutturalmente unitario e organicamente regionalista… Non si tratta di cambiare la struttura unitaria dello Stato in struttura federale ; si tratta di dar voce reale, effettiva e libera al popolo attraverso l’elettorato e la rappresentazione regionale… La regione nostra dovrà essere messa in equidistanza fra il dipartimento francese e il cantone svizzero. Le regioni non saranno mai Stati sovrani, come sono i cantoni svizzeri, limitati solamente dall’autorità confederale che li unifica: né potranno considerarsi dei semplici dipartimenti, nei quali si esprima sola e tutta l’autorità dello Stato”.

Nel III capitolo “La Regione nella Costituzione”, si pone all’attenzione alcune lungimiranti considerazioni di Luigi Sturzo:

  1. Se a qualche cosa serviranno le regioni, sarà proprio a tutelare le autonomie locali e a vigilare sulle amministrazioni della Regione. Ciò risulta dall’articolo 130 della Costituzione e dagli statuti speciali.
  2. Nel costruire l’organo di controllo sulle regioni “Costituzione e funzionamento degli organi regionali ”, del quale si parla all’art.125 della Costituzione, è proposto il commissario del Governo quale presidente mentre sarebbe stato giusto che vi fosse proposto un funzionario della Corte dei Conti o del Consiglio di Stato o chiunque altro non abbia veste politica. Bisogna ritornare ai principii: l’autonomia amministrativa ha per base la distinzione netta fra politica e amministrazione; l’ingerenza politica nelle pubbliche amministrazioni locali è stata uno degli errori più gravi commessi in Italia dal Risorgimento ad oggi.
  3. In conclusione, il regime speciale delle quattro regioni è inspirato a criteri di più larga autonomia; non ci sono motivi perché, con i giusti adattamenti, tali criteri non debbano essere applicati alle altre regioni.
  4. L’assemblea e lo stesso governo regionale siciliano sembrano affetti di mimetismo in materia di creazione di enti centrali e periferici, e tendono anch’essi di fare degli assessorati un regno chiuso e incomunicabile. Fin ora si tratta di sintomi; ma se saranno accettate le proposte di leggi “di iniziativa parlamentare” per creazione di enti di diritto pubblico, ne nascerebbe tale rete di uffici, tale folla di impiegati intrecciantesi con quelli dello Stato, da venirne fuori una spesa senza pari e uno sminuzzamento di servizi che per ciò stesso porterebbero sia all’inflazione del personale come pure alla paralisi funzionale.
  5. L’articolo 130 della Costituzione fissa le linee di un nuovo ordinamento : «Un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Provincie, dei comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti, di riesaminare la loro deliberazione».

E’ particolarmente interessante il capitolo IV dedicato a “Funzioni, Servizi, Uffici, Personale” nel quale affronta il problema sul passaggio del personale statale alle regioni: un problema non per nulla risolto.

  • La regione oltre ad essere una istituzione autonoma è un organo di decentramento per cui dovevano essere decentrati i servizi previsti, senza nessun aumento del personale…Che vi sia un personale centrale del ministero dell’agricoltura, a parte delle proprie competenze, coordini sul piano nazionale quel che le regioni attuano sul piano regionale, è cosa ragionevole e necessaria. Ma non sarebbe legittimo né serio, sia per l’andamento dei servizi sia per la spesa, che mantenessero i vecchi uffici centrali senza mansioni efficienti, sol per rispettare quadri, gradi e larghi possibilità di carriera. Quel che si dice per l’agricoltura, vale per tutti gli altri servizi passati alla regione…
  • C’è un compito nuovo per i ministri del 1949, quello di riformare i servizi del proprio dicastero dandovi un’impronta moderna. Imitare gli uffici amministrativi delle grandi aziende private, andando a studiarli dove si trovano, anche in America. Tre gli elementi fondamentali: primo, la responsabilità personale; secondo la sveltezza dell’ingranaggio; terzo, l’adeguato stipendio e il rischio, per chi non fa il proprio dovere, di poter essere mandato via…nei ministeri c’è un sistema di scarica-barile, assai sconcertante. Se c’è un qualche appiglio, le carte passano per pareri e contro pareri, vada altre divisioni o alle altre direzioni generali o peggio ai gabinetti, che hanno subìto in questi ultimi tempi un’inflazione senza pari. E che dire delle ragionerie particolari e generali? e di quelle del Tesoro che per mesi e mesi tiene decreti innocui dove non c’è l’ombra di spesa? Così si sballottano gli affari da un ufficio all’altro, da un ministero all’altro; per quel che si può fare una settimana, si occupano mesi intieri, ed anni anche. Se poi l’affare è caratterizzato come politico, allora tutti i freni non funzionano più e tutte le formalità sono superate. Se per dare un parere, quale esso sia, circa l’apertura o la chiusura di un mulino (cosa che dovrebbe essere lasciata al libero rischio industriale) ci vogliono cinque o sei mesi di va e vieni, è chiaro che qualche cosa non va.
  • Lo Stato farebbe bene ad assistere a mezzo di fondo di disoccupazione coloro che perderebbero impieghi di enti parassiti, e non ne troverebbero altri adatti, anziché mantenere gli enti che costano il doppio o il triplo. Da parte delle regioni…è da augurare che i relativi amministratori ci pensino due volte ad accollarsi enti deficitari ed inutili.
  • Sarei pronto a favorire i consorzi di privati o di associazioni, banche e istituti finanziari, che a loro rischio e pericolo, con qualche favore pubblico assai limitato, prendano iniziative utili alle popolazioni locali e alle stesse regioni, col patto, che se riescano siano loro i vantaggi, e se non riescono siano pure loro le perdite. Nessun ente pubblico deve garantire al privato i rischi che corre; solo così può rinascere il nostro paese.
  • Le regioni non solo non debbono creare enti nuovi e debbono smobilitare gli enti parassiti.
  • Mentre è giusto che lo Stato ripari i passati errori verso le Isole (come verso il Mezzogiorno continentale) sarebbe gravissimo errore mantenere tali regioni in condizione di pezzenti che domandano l’elemosina o di clienti che guardano nelle mani dei patroni e benefattori, o, peggio, di litiganti che sperano di ottenere la quota di vecchia eredità in parte fallimentare.
  • La direttiva principale che deve tener presente la Regione, a proposito di servizi pubblici è la rispondenza ai reali bisogni regionali. Secondo l’art.117 della Costituzione l’istruzione artigiana e professionale spetta alle regioni. Tali scuole dovrebbero essere fuse con quelle effettivamente professionali sì da ben servire alla popolazione operaia e agricola. Il vecchio ordinamento di aprire scuole in ogni comune per la borghesia professionista, scuole classiche e tecniche trascurando quelle artigiane e professionali, deve cessare. Le popolazioni rurali e operaie hanno bisogno di scuole, non solo quelle elementari diurne e serali, ma scuole adatte per preparare i loro figli al lavoro qualificato, che sarà una ricchezza per le rispettive famiglie e per il paese.
  • Se il Mezzogiorno e le Isole non si svincolano dalla mentalità impiegatizia per dare tutta l’importanza alla produzione economica a base di tecnica, non potranno mai risorgere…Il sistema delle borse di studio dovrebbe essere larghissimo, perché gli studenti di famiglie non abbienti possano, avendone la capacità, percorrere i corsi degli studi superiori. Quel che si dice per il ramo scuola, vale per tutti i rami dell’attività regionale. Fra questi, in primo rango, la sistemazione montana, le bonifiche integrali, i lavori pubblici, lo sviluppo industriale e commerciale. Non sostituirsi mai alle iniziative private, non comprimere, con enti burocratizzati e privilegiati, iniziativa privata. Favorirla per quanto è possibile; integrarla e renderla efficiente, dove è manchevole.
  • Bisogna nel passaggio dei servizi, essere netti: quel che è della Regione, alla Regione; quel che è dello Stato, allo Stato. La Commissione della Camera dei deputati, che sta esaminando il disegno di legge 211 (costituzione e funzionamento degli organi collegiali)  sembra che voglia precisare e regolare a priori tutte le competenze della Regione, voglia dare norme fisse per la compilazione degli statuti e arrivi a volere impedire la legiferazione regionale se non esistono leggi per principii regionali  Stiano attenti i signori commissari e curino di non soffocare nelle fasce e a mezzo di fasce legali l’ente Regione.

Aprile del 1948 – FAVOREVOLE ALL’UNITA’ EUROPEA IN FORMA FEDERALE

 In un intervento su “Il Popolo” si mostra del tutto favorevole all’unità europea in forma federale, anzi si chiede: “Sarà più fortunata l’Europa di oggi, che non sia stata quelle del passato prossimo o remoto? Ecco la domanda che viene rivolta a noi, federalisti del 1948…In precedenza due anni prima “L’Europa, con sforzo perseverante, dovrà divenire una e rinsaldare i vincoli morali e materiali fra i popoli che han creato la presente civiltà”.

 

20 Marzo 1949- REGIONALISMO E SPIRITO NAZIONALE UNITI CON E PER LA DEMOCRAZIA

A poco più di un anno dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana (I° gennaio 1948) pubblicò sul quotidiano Il Popolo alcune considerazioni sulla libertà e sulla Costituzione (poi inserite ed ampliate nel testo “La regione nella Nazione”): “è suonata l’ora della riscossa, riprendendo la battaglia per la libertà. La libertà è valore dello spirito; la libertà è come l’aria; la libertà è come la vita; la libertà è dinamismo. Saranno gli italiani capaci di usare della libertà senza cadere nella licenza e difendere libertà senza perderla insieme alla unità e alla indipendenza? La risposta sarà affermativa a due condizioni: che la libertà sia ancora nella costituzione e che lo spirito della Costituzione entri nella coscienza del popolo italiano.

Bisogna difendere la Costituzione contro gli egoismi individuali, di gruppo e di classe e contro le insidie del potere legislativo, del potere esecutivo e del potere giudiziario, che avendo in mano le leve di comando, possono surrettiziamente introdurre elementi deformanti, alterandone lo spirito e falsandone la lettera “.

Ampia, articolata e fortemente critica l’analisi sulle competenze regionali riconosciute dalla Costituzione. Ne individuiamo alcune, successivamente ampliate nel testo fondamentale “ La regione nella Nazione” :

  • avremmo amato che la Costituzione si fosse limitata a fissare i cardini dell’isti- tuto regionale, lasciando a ciascuna regione, isola o continente, del nord o del centro o del sud, di darsi il proprio statuto.
  • Per un mediocre filosofo è arduo ammettere che le leggi dello stato stabiliscono principi fondamentali. Le leggi sono o devono essere poggiate su principi fondamentali di natura etica, politica, economica, sociale. Ad esse non spetta stabilire questi ultimi bensì adeguarvisi. Sarebbe stato meglio optare per una Carta dei principi.
  • Le leggi dello Stato non possono invadere il campo proprio dell’attività legislativa delle Regioni, limitandone la sfera di autonomia.
  • l’art.127 stabilisce che in caso di conflitti di valutazione fra Assemblee regionali e Parlamento i contrasti d’interesse verranno decisi dalle Camere. Con questo si è voluto subordinare la potestà legislativa delle regioni a quella del parlamento. Il criterio giuridico è assai discutibile, quello politico, se di interesse politico si può parlare, non avrebbe base seria. In un reale conflitto politico fra potere centrale e potere regionale, il governo può ricorrere allo scioglimento del consiglio. Per le violazioni di legge o per eccessi di potere, vi sono i rimedi normali fissati nella costituzione. Il conflitto di interesse, se derivante da diritto, va espletato davanti la magistratura. In ogni caso l’intervento politico, se è questo il senso della frase, sarebbe eccessivo e disturbante.
  • I due tipi di legislazione ammessi dallo statuto siciliano sogliono essere classificati come legislazione esclusiva (art.14) e concorrente o integrativa (art.17): nel primo caso, in tutto ciò che non è stato approvato con procedura costituzionale (come la costituzione dello Stato e gli statuti speciali) la Regione potrà per le materie dell’art.14 e nell’ambito proprio adottare principi generali diversi da quelli adottati dalle leggi ordinarie dello Stato; mentre per le materie indicate dall’articolo 17, non potrà oltrepassare i limiti derivanti oltre che dalla Costituzione anche dai principi e interessi generali dello Stato.
  • La Regione siciliana ha due diritti da far valere se si sentirà lesa: o ricorrere all’Alta Corte per incostituzionalità, ovvero modificare la legge statale adattandola ai bisogni regionali.
  • Se c’è un settore nel quale Governi e Camere si sono mostrati, in più di mezzo secolo, impari a dirigere e regolare l’economia del paese, è stato proprio in quello industriale. Le crisi che sono cadute sulle spalle del cittadino italiano partono proprio dal centro governativo, che in tale materia ha sempre seguito una politica dannosa e a lunga scadenza irrimediabile. I regionalisti hanno ragione a voler sottrarre allo Stato quella parte delle industrie e dei commerci

che ha carattere regionale.

  • Altra materia attribuita alle quattro regioni a statuto speciale, ma sottratta alle regioni di diritto comune, è stata quella della istruzione ( La Sicilia ha la legislazione esclusiva sull’istruzione elementare, i musei, la biblioteche e le accademie, e a sua facoltà, può avere la legislazione limitata dai principi generali sull’istruzione media e universitaria). Milanesi e pavesi, fiorentini e pisani, torinesi e genovesi, veneziani e padovani, romani e napolitani, si domanderanno per quale ragione di inferiorità non potranno le loro Regioni avere voce in capitolo nell’ordinamento dell’istruzione elementare e media, nei musei e nelle accademie e perfino nelle loro gloriose università, più gloriose nel tempo antico che non sotto l’unificazione e l’uniformismo del fu regno d’Italia. Ma no: la repubblica nega loro il diritto di occuparsi dell’istruzione (tranne l’artigiana e la professionale) perché il mastodontico ministero della pubblica istruzione deve mantenere statizzati e regimentati i maestri e le maestre, i professori e gli insegnanti, occupandosi persino dei trasferimenti, permessi e concorsi e pensionamento di tutto il personale scolastico compreso bidelli e uscieri. Quanto un tale accentramento sia dannoso per l’istruzione italiana non c’è persona con la testa sulle spalle che non lo affermi.
  • Occorre mantenere separata la funzione amministrativa della Regione dalla politica perché ogni ente amministrativo rischia di essere infestato dalla politica. “Non si tratta di malattia nuova per l’Italia, ma si è riacutizzata nel dopo guerra: per curarla occorre una dieta rigida, almeno negli Enti Locali dove la logorrea politica dovrebbe essere bandita, a vantaggio del metodo amministrativo. Ogni sforzo in questo senso sarà proficuo per mantenere alle regioni fin dal loro inizio, il proprio carattere”.
  • L’autonomia amministrativa della Regione è messa in discussione dalla stessa Costituzione, perché la Costituzione ha previsto la figura del Commissario di governo per sopraintendere alle funzioni amministrative e coordinarle con quelle esercitate dalle Regioni. Ciò costituisce una invitabile ingerenza politica non giustificata. Ogni ministero ha creato propri organi periferici e così si presenta come un regno chiuso che svolge tutte le sue funzioni alimentando una burocrazia autoreferenziale e allontanandosi da quel modello di amministrazione indiretta che pure la costituzione all’art.118 aveva disegnato per superare il centralismo burocratico dello Stato.
  • Quel che ha dato una certa preoccupazione ai tecnici specializzati è stato il passaggio delle foreste sotto la competenza della Regione, di tutte le regioni. Nego che l’istituto della regione tolga al governo ogni responsabilità in materia forestale. Posso e debbo credere nell’interesse del nostro paese, che sarà questa una nuova occasione per fissare un programma in grande per la sistemazione idraulico-forestale in tutte le regioni, da un capo all’altro d’Italia, perché più o meno le montagne debbono essere considerate come “zone depresse”.

12-E’ mancata e manca una cosa sola a tanta folla di burocrazia locale: l’opera del libero cittadino eletto da liberi cittadini che cura gli interessi delle comunità locali di liberi cittadini. Quando lo Stato può chiamare i cittadini a portare il loro contributo libero e cooperatore, se lo associ, quando il cittadino deve curare gl’interessi del natio luogo, municipio o provincia o regione, sia il cittadino del luogo ad amministrare e dirigere gli enti locali.

  • -Senza autonomia finanziaria la regione anche dotata di larga potestà legislativa sarebbe un ente ridotto a qualsiasi altro ente che dipenda dallo stato. Le Regioni devono essere messi in condizioni di badare a se stessi sapendo che, a ogni spesa, sono obbligate prima a trovare la corrispondente entrata. Per questa ragione lo Stato non deve imporre nuove spese agli Enti locali . Quel che importa sia per le regioni speciali sia per le altre è che le entrate siano discretamente sufficienti: né troppe larghe né troppe strette, che i servizi si conducano con la più scrupolosa autonomia, senza esagerare nelle spese che la regione sorta senza debiti debba tenersi lontana dal far debiti per le gestioni ordinarie, ma solo, in casi specialissimi, per opere non solo di utilità generale, ma sostanzialmente redditizie, sì da produrre almeno quanto possa bastare per redimere i debiti. Se si incomincia così e si persevera così, la regione avrà un avvenire; altrimenti sarà catalogata tra gli invalidi di diritto pubblico, parassita dello stato, come tutti gli enti autonomi, autarchici, statali, parastatali, commissariali che hanno pullulato e pullulano sul bel suolo d’Italia. Solo con l’istituzione di una nuova finanza regionale potrà realizzarsi la decentralizzazione dei poteri dello Stato.
  • Pur mantenendo il principio della sufficienza finanziaria, con l’art. 119 della Costituzione ne è stato fissato un altro assai opportuno, quello dell’integrazione: “per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il mezzogiorno e le isole, lo Stato assegna per legge a singole regioni contributi speciali”.

E’ venuto il momento per un risorgimento meridionale completo nel quadro del più largo risorgimento nazionale.

I canoni di questo risorgimento sono tre:

  • che l’economia nazionale è una e solidale; non vi è un’economia del Nord ( la preferita) e un’economia del Sud (la trascurata); dalle Alpi al Lilibeo (Sardegna compresa) l’economia è unitaria.
  • che un sud agricolo di fronte a un Nord industriale è uno slogan che non ha senso. Nell’economia moderna agricoltura e industria si danno la mano. Se un’economia agricola povera fosse il destino del Mezzogiorno, questo non

sarebbe mai posto in condizione di poter assorbire la merce prodotta dalle imprese del Nord, siano Ansaldo, Breda, Fiat, Caproni….Né il mezzogiorno potrebbe utilizzare le navi mercantili della Finmare (il cui costo sarà stato pagato anche dai terroni).

  • che si aboliscano, infine, le protezioni invisibili (e perciò arbitrarie) attraverso permessi di importazione e concessioni di valute; che si sopprimano i monopoli diretti e quelli indiretti fatti di privilegi dati a enti e società formati con denaro dello Stato; che cessi l’afflusso di denaro pubblico ad aziende deficitarie e insanabili.

Per Sturzo con il regionalismo potrà trovare soluzione lo sviluppo del Mezzogiorno. La federalizzazione delle varie regioni deve lasciare intatta l’unità di nazione. Regionalismo e lo spirito nazionale unitario devono convivere e svilupparsi con e per la democrazia.

 

Il Cantuccio dell’autore:

 E’ la democrazia lo strumento vero che, a parere di Sturzo, ha fatto progredire l’Italia nel suo insieme, e ha assicurato un migliore avvenire alle sue regioni, avvantaggiate da un governo locale e, certamente, dalla possibilità di affrontare e risolvere con interventi diretti i propri problemi… Il comune denominatore democratico è stato l’elemento nuovo e caratterizzante rispetto alla vecchia realtà politica italiana, “divisa in staterelli ipotecati da potenze straniere e regolati da forme di governo tanto diverse e assolutiste da fare apparire eterogeneo ed immaginario qualsiasi progetto di federazione”. Per Sturzo allontanarsi dal modello regionalistico significa ripiombare nella situazione di un ordinamento di fatto accentrato: ogni Regione, che sia a statuto speciale che a statuto ordinario, deve avere una forte organizzazione amministrativa in grado di assicurare l’esecuzione delle decisioni. Sturzo inoltre è contrario al movimento separatista che si era manifestato in Sicilia. Occorre invece che è da realizzare le autonomie come correttivo alle disfunzioni di uno stato democratico.

 

24 Aprile 1949- LA QUESTIONE SANITARIA: I PROBLEMI DELLA SANITA’ PUBBLICA  

Il 24 aprile del 1949 “Il Popolo”, quotidiano ufficiale della Democrazia cristiana, riportava in prima pagina un lungo articolo di Luigi Sturzo dedicato ai problemi della salute pubblica. Dunque, dalle ultime note risulterebbe che l’Alto Commissariato di Igiene e Sanità non parteciperà ai Fondi-Lire del 1° e 2° anno (aprile 1948 – giugno 1950), né ai prestiti in dollari: addirittura diseredato!

Perché?

Si dice che deve provvedervi lo Stato con le assegnazioni di Bilancio. Difatti, quest’anno il Bilancio della Sanità si presenta in vari capitoli con delle cifre in più, quale quella della assistenza ai tubercolotici. Ma bisogna andare al fondo; se invece di fermarci al confronto fra le cifre del bilancio 1948-49 e quelle del 1949-50, guardiamo le variazioni fatte in corso dell’anno, la cifra prevista per il 1949-50 risulterebbe inferiore a quella realmente impegnata per il 1948-49. Dobbiamo, quindi, augurare che nel futuro esercizio si facciano le note di variazioni necessarie, le quali, purtroppo, arrivando sempre in ritardo, causano quelle paralisi funzionanti o quell’ingorgo nei pagamenti, che sono oramai malattie endemiche del nostro sistema amministrativo.

La questione sanitaria è molto complessa e non va guardata solo nelle sue spese di puro esercizio. (Apro una parentesi: si sogliono mettere allo straordinario certe spese che per la loro continuità normalizzata dovrebbero andare alla parte ordinaria. Si tratta di cambiare i criteri formali di ragioneria in criteri sostanziali di amministrazione).

Le vere spese straordinarie da tenere in conto sono quelle per impianti e stabilimenti sanitari destinati ad adeguare le condizioni di molte regioni a quel minimo di vita civile che è proprio indispensabile.

Nel complesso nazionale, con percentuali variabili dal 5,65 letti per mille, media dell’Alta Italia a 1,44 per mille, media del Mezzogiorno (la provincia di Catanzaro scende a 0,69 per mille Nuoro a 0,64, Avellino a 0,44), occorrono miliardi per ospedali, sanatori, preventori, ambulatori e simili.

È assurdo che non si ricorra al Fondo-Lire.

Ci sta una tal quale confusione di idee in materia.

Stiamo intanto al tema della costruzione e attrezzatura di edifici sanitari di varia natura. Solo l’Alto Commissariato di Sanità potrebbe fare, ed ha già fatto, un piano, per quanto limitato, di adattamenti, ampliamenti e nuove costituzioni che si reputano indispensabili. Il primo piano arrivava a 24 miliardi, poi fu ridotto a 18 miliardi e finalmente, limitando allo stretto urgente, a 12 miliardi.

Mi sembra proprio il caso del sarto siciliano chiamato “Schiticchio”. Costui cominciò a tagliare la stoffa per farne un mantello; sbagliò a tagliare e si ridusse a farne una giacca; quella benedetta forbice andò male e finalmente ne fece un gilet. Per la Sanità eravamo giorni fa alle proporzioni del gilet di “Schiticchio” ; ma che è che non è? Il panno è stato rubato e il sarto è rimasto con la forbice in mano: Niente!

È stato osservato: la costruzione degli edifici statali è competenza del Ministero dei LL.PP.; quella degli edifici locali, è competenza di Comuni. Province, Opere Pie (e ora Regioni), e verrà favorita dallo Stato con i provvedimenti in corso. (A proposito è da augurare che il Vicepresidente Porzio e il Ministro Tupini si mettano di accordo circa il testo definitivo del disegno di legge 371 o altro; altrimenti arriveremo a bocca asciutta alle vacanze estive del Parlamento).

Né Porzio né Tupini hanno avuto l’idea che il disegno di legge 371 possa venire incontro alle esigenze dell’assistenza sanitaria del paese, sia per i mezzi previsti, sia per la complessità dei lavori pubblici a carico dei Comuni e delle Province.

Lo Stato non può esimersi dall’intervenire, sia integrando le iniziative locali, sia prendendo iniziative di propria spettanza.

Non si creda che l’ondata della t.b.c. causata dalla guerra e accresciuta nei primi tre anni del dopoguerra, sia talmente diminuita, da bastare l’attuale attrezzatura sanatoriale. Sarebbe un errore grossolano nel quale non sono cadute affatto le autorità sanitarie del nostro Paese.

Non sappiamo quanti siano gli alunni delle scuole che dovrebbero essere accolti nei preventori, né quanti operai che vanno all’officina che dovrebbero invece essere curati nei sanatori.

Ed è opportuno generalizzare l’esame medico di alunni e di operai, avvertendoli delle loro condizioni di salute, se poi non sarà possibile curarli ed assisterli? Così, i germi si diffondono nei soggetti predisposti e denutriti.

Parliamo della condizione del Mezzogiorno e delle Isole: in molti Comuni né ambulatori, né primo soccorso, né ospedali. Ci sono certi ospedaletti di antica data, mancano però di mezzi per metterli a sesto. In Sicilia si ebbero cinquecento milioni dell’AUSA con l’integrazione di altri trecento milioni della Regione per primi provvedimenti urgenti. Occorre ben altro.

Non dico poi quale sia la condizione di certi istituti per malattie celtiche che dovrebbero essere tenuti bene e serviti bene, specie nelle città portuali.

Lo Stato non può sottrarsi all’obbligo di provvedervi con urgenza.

Le iniziative locali dovrebbero essere inquadrate in un piano nazionale in modo che si provveda anzitutto alle provincie più abbandonate e nei centri dove urgono servizi di maggiore interesse sanitario e assistenziale.

Sarebbe da promuovere una intesa di coordinamento fra lo Alto Commissariato e l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le malattie. Purtroppo, in Italia, Ministeri ed Enti parastatali sono dei veri compartimenti-stagno. Chi supererà le barriere della propria competenza?

In sostanza niente piani, niente adeguamento ai bisogni locali, niente iniziative per i bisogni più urgenti, quali l’apertura e l’attrezzamento di preventori e sanatori contro la tubercolosi e un’adeguata lotta contro le malattie celtiche.

Se si arriverà, com’è sperabile, ad approvare la legge di iniziativa parlamentare contro la regolamentazione delle case chiuse, occorrerà un netto intervento statale per prevenire la diffusione di malattie luetiche, non sulla carta e con regolamentazioni di polizia, ma con l’apertura di ambulatori e sanatori anticeltici bene attrezzati e bene assistiti.

Riassumendo:

1) il disegno legge Tupini sugli Enti locali, integrato da opportune disposizioni per il Mezzogiorno (che non può perdere i diritti acquisiti con le leggi speciali in vigore), potrà servire a spingere Comuni, Province e Regioni a includere nel programma complessivo di opere pubbliche non solo acquedotti e fognature, ma anche ospedali, sanatori, secondo i mezzi dei quali potranno disporre.

2) L’Istituto nazionale di assicurazione contro le malattie dovrebbe coordinare la sua attività con quella dell’Alto Commissariato per un impiego razionale di fondi e un’integrazione effettiva di servizi. Allo uopo vi è in corso lo studio di un piano concordato con la Regione Siciliana, per l’apertura di ambulatori nei piccoli centri che ne difettano. L’iniziativa è ben vista dal Ministro del Lavoro e potrà dare utili risultati.

3) L’Alto Commissariato non ha che pochi fondi destinati al completamento di alcuni sanatori in corso di costruzione e ampliamento e il loro attrezzamento; ma i fondi di bilancio a questo scopo sono addirittura insufficienti.

Occorre, quindi, ricorrere al Fondo-Lire per un primo e pur limitato programma di lavori, con l’idea che ci vorrà almeno un decennio di sforzi per mettere tutte le regioni ad un uguale livello di assistenza sanitaria e di dignità umana.

Non ci dovrebbe essere difficoltà da parte della Missione Americana dell’ECA a dare il consenso per l’impiego di un primo fondo da 15 a 20 miliardi per la costruzione e l’attrezzatura di un certo numero di istituti sanitari, sol che si tenga conto quanto lavoro si darebbe ad artigiani locali, muratori, falegnami, fabbro-ferrai; ad imprese di tubulature, impianti elettrici e di trasporti; a fabbriche di strumenti sanitari, gabinetti operatori, sale radiologiche, tutto un complesso di spesa che per il 70 per cento sarà di salari e per ti 30 per cento di materiali.

E poi? non si considera il vantaggio che si arrecherà alla “macchina-uomo”, nel ristabilirne il funzionamento e la efficienza? Del resto, il carico assistenziale di esercizi di tali istituti non graverà certo sul Fondo-Lire, ma sui bilanci dello Stato, degli Enti locali e sulla beneficenza privata.

A proposito, raccomando al Ministro Vanoni di introdurre nella sua riforma fiscale la disposizione che vige negli Stati Uniti di America, stabilendo che le donazioni ad enti e istituti di Cultura e di Beneficenza (siano enti pubblici o privati) andranno per una larga percentuale a diminuzione dell’imposta da pagare allo Stato.

Non ci perderà lo Stato: ci guadagnerà il paese moltiplicando tali istituti, il cui carattere morale e sociale e di alta utilità collettiva non può mettersi in dubbio.

Mi è stato detto che nè il CIR nè il Tesoro abbiano fin oggi mostrato l’interesse che merita il problema: di fatto, le ripetute domande dell’Alto Commissario Cotellessa non hanno trovato il dovuto accoglimento. Non dico che uomini responsabili non sentano il problema ma, purtroppo, coloro che decidono non hanno mai fatto delle visite locali per vedere quale sia l’abbandono delle popolazioni in materia sanitaria, specialmente nel Mezzogiorno e nelle Isole.

Se capitassero loro, e agli americani anche, certe esperienze capitate a chi scrive in periodi difficili, come quello dell’influenza del 1918, forse comprenderebbero la meraviglia e lo sdegno che mi fan vergare queste linee. Se non ci comprendono gli italiani, potranno comprenderci gli americani dell’ECA? Bisogna andare e constatare; per la loro buona salute non dico di provare.

 

18 marzo 1951 –

IL DIRIGISMO GOVERNATIVO CONTRARIO ALLO SVILUPPO DELL’ECONOMIA

                                                                                    

Sul Giornale “L’Italia” di fronte all’affermazione del dott. Angelo Costa, presidente della Confindustria, “che le leggi economiche sono leggi divine e perciò in se stesse anche leggi morali e per questo che pur vedendo nella dottrina dell’economia liberale meglio interpretate le leggi economiche, io ho precisato che nessuna dottrina ha diritto di chiamarle con il proprio nome” rispondeva che “siamo noi, invece, a creare il nostro economico, coltivando il suolo o il sottosuolo, e ricavandone e trasformandone i prodotti alla portata dei nostri bisogni.

L’economia è un fatto collettivo; una economia individuale non esiste, perché l’uomo-individuo da solo non esiste; esiste l’uomo sociale o l’uomo in società. L’economia è un fatto sociale che va dall’organizzazione più semplice alla più complessa, dal nucleo elementare al nucleo più specializzato. Fra le leggi etico-economiche c’è quella evangelica di non far passare la caduta del sole prima di dare la paga all’operaio. Cosa dire di uno Stato che fa passare mesi e mesi prima di pagare i mandati degli appaltatori, i quali poi si trovano a corto di denaro e non hanno modo di pagare i loro operai? Sia i rappresentati dello Stato, sia quelli del capitale e del lavoro, non sono riusciti a regolare il passaggio dall’autarchia fascista al regime libero della democrazia. Non sono ancora riusciti a creare un sistema coerente, che rispetti un minimo di logica economica ed eviti le interferenze dannose e gli interventi caotici, trasportando spesso sul piano strettamente politico-sociale che doveva restare sul fondamento dell’economia più soda e più realistica. L’assalto dei profittatori di destra e di sinistra, e lo sciopero-mania agitatoria, hanno frustato il desiderio legittimo di migliorare le sorti del lavoro e di dare al capitale più larghe possibilità; mentre il dirigismo governativo, inserito nel sistema libero e fatto da burocrazie mal preparate e da politicanti incompianti, ha impacciato lo sviluppo della nostra economia.

                                                                         

 15 maggio 1951 LA RESPONSABILITA’ PERSONALE: VERA SOSTANZA DI UNA COMUNITA’ CIVILE E CRISTIANA

Nel commemorare il 60° anniversario della Rerum Novarum Luigi Sturzo scriveva: “Oggi si punta troppo sul gioco delle forze antagoniste e su di un intervento statale, che tende a dare in mano alle burocrazie l’economia del paese. Tutto ciò è contrario sia allo spirito cristiano che agli interessi nazionali e rende più costosa e meno efficiente l’elevazione del lavoratore. Cercando di eliminare dalla vita economica tutti i rischi e tutti i dislivelli, certi sindacalisti di oggi tendono inconsciamente a sopprimere quella responsabilità personale, che è il presupposto dei diritti e dei doveri, ossia della vera sostanza di una comunità civile e cristiana.

 

 6 agosto 1951 – ENTI E BUROCRAZIA  

Luigi Sturzo su “La via” di Igino Giordani pubblica l’articolo: Enti e Burocrati. Polemizza col prof. Ernesto Rossi che progetta di organizzare gli enti economici statali, parastatali e a partecipazione statale preparando i dirigenti all’interno delle aziende controllate dello Stato: per don Sturzo devono essere scelti tra quelli che abbiano dato buona prova nelle aziende private. Quelli della burocrazia statale non potrebbero garantire “due cose che in economia sono di massima importanza: la responsabilità degli amministratori e il rischio dell’impresa: la prima infatti è minima, il secondo è garantito dallo Stato”. “Tolleriamo quel che è servizio pubblico (passi per le ferrovie; mettiamo alla pari e in concorrenza quel che, pur essendo gestito dallo stato, può anche essere gestito da privati senza inconvenienti: assicurazioni, servizi sociali e simili); ma smobilitiamo, appena vi sia la possibilità, tutti quegli enti che potranno essere passati all’economia privata, ovvero resi perfettamente autonomi. A far ciò primo e unico passo: proibizione per legge che gli impiegati statali di qualsiasi rango possano essere nominati amministratori, commissari e sindaci degli enti statali, parastatali o con partecipazione statale» (Igino Giordani- Luigi Sturzo/ Un ponte tra due generazioni, Carteggio ivi. lettera n.105, nota n.1 p.218 )

 

1953   – VADEMECUM “MORALE” PER I POLITICI DI OGNI TEMPO         

 Don Sturzo dà alle stampe Coscienza e Politica, Brescia 1953. E’ una denuncia: “ Dopo ventidue anni di assenza, nel mio laborioso adattamento mentale alle condizioni presenti nella nostra Italia, non posso sopportare l’aria greve e pesante dello statalismo….L’errore di parecchi è di distinguere la morale individuale da quella sociale e politica, cioè si fa una distinzione per oggetto, non pensando che l’origine della vita morale è la coscienza, e che il termine è in questo mondo nel rapporto fra gli uomini… è necessario per il politico: 1-aver cura delle piccole esigenze del singolo cittadino…; 2- la menzogna viene sempre a galla…la verità in diplomazia è un mezzo che presto o tardi produce i suoi effetti inestimabili di comprensione, fiducia, simpatia, solidarietà; 3- L’arte della politica educa a dire quel che è necessario…; 4-rigetta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico ; 4- non impegnarsi senza avere formata la convinzione di poter mantenere l’impegno preso..; 5- rigetta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico; 6- non coprire le malefatte dei tuoi dipendenti; 7- non pensare di essere l’uomo indispensabile; 8- dei tuoi collaboratori fai degli amici; mai dei favoriti; 9- chi è troppo attaccato al denaro non faccia l’uomo politico, né aspiri a posti di governo; 10-fare ogni sera l’esame di coscienza è buon sistema anche per l’uomo politico.

Il cantuccio dell’autore:

Insoddisfatto della situazione generale della politica italiana, don Sturzo indica la necessità di un maggiore rispetto delle istituzioni, con una serie di consigli basilari e atemporali per chi ha responsabilità politica e di critica verso lo statalismo dilagante. Ciò determinerà il risentimento dei suoi amici di partito, e forti critiche da parte dei comunisti che lo ritengono un nemico della repubblica e della democrazia.” Ignorato dai marxisti e dai laici, il pensiero di don Luigi Sturzo – afferma Dario Antiseri (Cattolici a difesa del mercato, Sei, Torino 1995, pag.170) -resta sostanzialmente nascosto al mondo cattolico”.

 

Aprile 1953- LA VITA ECONOMICA ITALIANA HA BISOGNO DEL RESPIRO DELLA LIBERTA’                                                                                  

«Nel messaggio di saluto inviato all’Assemblea della Confcommercio: La libertà economica e il rispetto dell’iniziativa privata devono essere messi alla base delle attività confederali, cercando di non fare accrescere ancora di più la pressione statalista. Questa è arrivata, secondo me, a un limite tale da essere ritenuta non più regolatrice, ma perturbatrice delle attività produttive. E perciò che ogni invocazione allo Stato, affinché intervenga e legiferi, deve essere contenuta a casi strettamente necessari. La Vita economica italiana ha bisogno del respiro della libertà» (G. Palladino, La DC non sarebbe scomparsa se avesse seguito il pensiero sturziano, o.c., p.1 )

                                                   

  Il cantuccio dell’autore:

Severo nei confronti dello Stato, ma anche severo nei confronti degli imprenditori privati: c’erano quelli che puntavano su monopoli privati od oligopoli; altri che scendevano a compromessi con la politica pur di lavorare. Fu di Don Sturzo la prima proposta anti-trust rivolta contro il” cartello” delle imprese elettriche ( proposta bocciata dalla “lobby” del settore) e fu sua la proposta di abolire la nominatività dei titoli azionari per favorire l’ampliamento del mercato finanziario e quindi una maggiore democrazia economica con a stretta alleanza fra capitale e lavoro (proposta bocciata dai sindacati). Gli avversari politici e anche alcuni D.C. lo consideravano “un uomo che vive ormai fuori dai tempi moderni”.

 

 20 -febbraio -1954 – LA PIAGA DEL CAPITALISMO DI STATO

Risentiamo un suo discorso al Senato: “non sarà effettivo il potere da parte del proletariato finché questo resterà proletariato; occorre che i proletari partecipino anche al possesso …quando alla sempre maggiore disponibilità di proprietà privata si sostituisce un terzo (lo Stato) a creare i monopoli statali…si altera e si interrompe il processo della liberà, non solo sul terreno economico, ma anche su quello giuridico, politico, culturale e finalmente su terreno istituzionale. In Italia da tempo siamo avviati al capitalismo di Stato… così si andrà sempre più rattrappendo l’iniziativa privata. Coloro che riusciranno a vivere ai margini dell’economia statale dovranno cedere nel campo politico alle esigenze dei partiti …l’orientamento attuale consiste nel riversare sullo Stato il rischio individuale. Arriveremo a essere quasi tutti impiegati statali e tutti pensionati statali. Quel giorno, se venisse, non esisterebbe più una nazione di responsabili, ma un gregge di irresponsabili. Solo il rispetto per la libertà individuale ci libererà dalla fatale china di uno stato che deve provvedere a tutto. Mi si domanda se ciò possa dirsi sociale (ossia se è “sociale” il rispetto dell’iniziativa privata, della responsabilità individuale, della cultura del rischio). Rispondo: è il solo sistema che indurrà la comunità ad affrontare i problemi che assillano il vivere in comune, perché concorrerà a elevare il tenore di vita e farà trovare i mezzi atti a risolvere i problemi sociali”.

Il cantuccio dell’autore:

E’ proprio dei grandi profeti la capacità di antivedere il futuro, ma senza essere creduti: associati alle Cassandre di ogni tempo. Proprio in queste pagine cogliamo ancora oggi l’attualità delle sue parole: la pessima gestione dello sviluppo economico da parte dei partiti, che non riescono a promuovere quella democrazia economica necessaria per una maggiore giustizia sociale; senza dare valore a quei valori che sono condizione per l’affermazione del diritto di proprietà privata.

 

20.luglio.1955- LA RESPONSABILITA’ MORALE E POLITICA DEGLI ELETTI DEL POPOLO

«Ogni partito ha un suo programma elettorale per le elezioni del Senato o della Camera dei deputati, programma elaborato e discusso nei propri congressi e consigli nazionali e sanzionato dal corpo elettorale per la parte di voti ottenuti negli appelli al Paese. Da ciò deriva lo spirito animatore dei partii, che gli eletti sotto propria insegna portano nei propri parlamentari. Ma quando gli eletti del popolo (e non dei partiti) varcano la soglia della camera e del Senato (in commissione o in aula) hanno una loro responsabilità morale e politica che li lega allo Stato e rispondono personalmente della vita nazionale».

 

(da un discorso pronunciato al senato il 20 luglio 1955).

                                 IL VOTO SEGRETO: UNA VERGOGNA ITALIANA

Sempre nella stessa occasione Sturzo espresse la sua indignazione per l’uso indiscriminato del “Voto segreto”: un miserabile mezzuccio di animelle senza coraggio o di furboni che non vogliono essere scoperti è roba che fa venire i brividi.

Nei mesi di luglio e di agosto del 1958 nell’assemblea siciliana il voto segreto aveva impedito l’approvazione del bilancio, determinando l’ingovernabilità.

«Voto segreto per le deliberazioni non riguardanti la persona – scrive Sturzo- non è ammesso in nessun Parlamento del mondo; tale sopravvivenza è una vergogna italiana. Il voto segreto continua ad essere protetto da tutti i protettori politici dell’imboscata e da tutti i vigliacchi che non hanno il coraggio delle proprie idee, con la giustificazione che il partito (cioè l’apparato della partitocrazia) se ne vendicherebbe» (Il giornale d’Italia,13 agosto 1958) à-

 

 

 16 dicembre 1956 LA MISSIONE DEL CRISTIANO: CONCEPIRE LA POLITICA COME AMORE DEL PROSSIMO

 Da un messaggio al Circolo “Luigi Sturzo” di Napoli pubblicato” su “Il Popolo del 16 dicembre 1956:

«La missione del cattolico in ogni attività umana, politica, economica, scientifica, artistica, tecnica è tutta impregnata di ideali superiori perché in tutto ci si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa. la politica diviene un mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo e al marxismo, l’arte decade nel meretricio…C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. E’ anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale né moralizzabile) della vita pubblica. Ma la mia esperienza lunga e penosa mi fa concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore del prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune…Cristo ci dà le grazie nel campo dello spirito ai fini soprannaturali…Ecco la via dell’oggi e del domani, del cristiano che vuole essere democratico e del democratico che applica seriamente alla politica l’ideale cristiano». (G. Palladino, La D.C. non sarebbe scomparsa se avesse seguito il pensiero sturziano, o.c., pp 6-7)

 

Il cantuccio dell’autore:

Tra i democratici cristiani c’era chi sosteneva l’opportunità di cercare un accordo programmatico tra la cultura sociale cristiana e la cultura socialista. Sturzo al contrario, guardando anche all’esperienza di Adenauer in Germania (                         ), riteneva che occorresse mantenere ferma la barra al centro e lavorare “per fare avvicinare al centro le ali estreme dello schieramento politico”

 

24 giugno 1957      CONTRO LA PIAGA DELLO STATALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA

Su Il Giornale d’Italia in un articolo intitolato Statalismo ottimista scriveva: «Non intenda che si creda che io nego in determinati casi l’intervento statale. Non nego l’intervento, ma l’interventismo, non nego le direttive dello Stato, nego il dirigismo; non nego che ci siano enti statali, nego la statalizzazione dell’economia». Su questa linea, all’inizio del 1958, ribadiva: «Lo statalismo economico del secondo dopoguerra sta dilagando in tutti i settori dell’attività pubblica, corrompendo sempre più i costumi politici, la burocrazia, l’amministrazione, insinuando nell’anima dei giovani la facilità nell’uso del denaro altrui a proprio vantaggio e non sempre a fini onesti…Lo stato difende i diritti dei cittadini, ma esige che essi adempiano ai loro doveri. Lo stato vieta ai potenti di strafare e di abusare delle loro potenzialità…Lo Stato distingue libertà da licenza: ma perché possa riuscire in questa impresa deve pretendere che chi legifera, chi governa e chi amministri assomigli di più ai galantuomini che no ai ladri e ai profittatori».

 

Il cantuccio dell’autore:

Queste parole di Don Sturzo risuonano ancora oggi profetiche: tra abusi, corruzione, irresponsabile gestione del denaro pubblico, lo statalismo è una “illegittima ingerenza statale violatrice delle libertà civili e politiche nelle quali sono incluse le libertà culturali (nel senso più ampio della parola, perciò anche religiose, educative, artistiche) e quelle economiche”.  Lo Stato è invece il garante della libertà dei cittadini e dei gruppi sociali.

1958  –             ETICITA’ DELLE LEGGI ECONOMICHE

 Nel 1958 pubblica “Moralizzare la vita pubblica”: un’articolata riflessione sull’Eticità delle leggi economiche.

«Tutta l’attività umana in quanto razionale è pervasa di eticità…Etimologicamente la parola economia vuol dire regola della casa; cioè buon uso dei mezzi di sussistenza di un nucleo associato familiare. Lo stato è una grande famiglia e l’economia politica, basandosi sulle quantità disponibili realizza le qualità utilizzabili; e in questa strutturazione, dalle forme primitive alle più evolute, stabilizza i suoi sistemi con leggi non arbitrarie, ma regolatrici ed aderenti alla realtà ed alle sue possibilità di attuazione…E’evidente che chi agisce e reagisce  nel campo economico è lo stesso uomo razionale e volitivo che agisce e reagisce nel campo morale e nel campo politico, in quello religioso e in quello civico, nella cultura e nelle arti. Tutta la vita è condizionata dall’economia, e questa è condizionata dalla quantità e la quantità è condizionata dall’attività produttiva dell’uomo, cerchio ferreo e pur animato e vivificato dalla libertà interiore dell’uomo e associativa o inter-individuale che è la fonte della responsabilità e quindi della moralità delle azioni umane, del bene e del male che si trova in questo mondo, anche nell’economia guardata nella sua interiore eticità come prodotto degli uomini liberi e responsabili»( L. Sturzo, Moralizzare la vita pubblica, Ed. Politica Popolare, Napoli 1958, pp.154; 166)

 

1958- CORRETTEZZA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONEEQUITA’ POLITICA VERSO I CITTADINI  

 

Il 1958 fu un anno intenso, con diversi articoli su “Il giornale d’Italia” incentrati sempre sul tema della moralizzazione della vita pubblica. Ne estrapoliamo alcuni punti:

“Una parola moralizzare la vita pubblica! Dove e quando essa è stata mantenuta sulla linea della moralità? Non ieri, non oggi, non da noi, non dai nostri vicini, non dai paesi lontani. Eppure è questa la grande aspirazione popolare: giustizia, onestà, mani pulite, equità. Che cosa è mai la concezione dello stato di diritto se non quella di uno Stato nel quale la legge prende il posto dell’arbitrio, l’osservanza della legge sopprime l’abuso, la malversazione e la sopraffazione non restano impunite? …

Noi vogliamo che lo Stato si emendi: in primo luogo giustizia, fundamentum regni , onestà, correttezza della pubblica amministrazione, equità politica verso i cittadini.

Certi enti non sono inutili, ma addirittura dannosi, e non sono pochi, non saranno mai toccati per i favori reciproci che offrono ai partiti e ricevono dai partiti, dai profittatori e dalla stampa… Chi oserà scegliere un ente, anche semi-fallimentare, se i partiti lo sostengono e ne approfittano?…Le responsabilità dei capi dell’amministrazione statale sono attenuate o elise dai pareri dei comitati consultivi ministeriali; le promozioni a salti mortali sono son dico frequenti, ma meno rare del passato e demoralizzano coloro che contano sulla regolarità della carriera e sulla disciplina del personale.

Oggi perfino magistrati, presidenti e consiglieri di Stato si levano la toga e scendono in piazza a sollecitare i voti deli elettori. L’anello di congiunzione della partitocrazia con la burocrazia politicante e con il funzionarismo degli enti statali e parastatali, che amministra miliardi senza rischio e senza corrispondenza, è un incentivo allo sperpero del denaro pubblico, al favoritismo, alla inosservanza delle leggi, e rende difficile qualsiasi retta amministrazione governativa e arriva a paralizzare anche il Parlamento.

«Pulizia! Pulizia morale, politica e amministrativa. Solo così potranno i partiti ripresentarsi agli elettori in modo degno per ottenerne i voti; non mai facendo valere i favori fatti a categorie e gruppi; non mai con promesse personali di posti e promozioni; ma solo in nome degli interessi della comunità nazionale, del popolo italiano, della Patria infine, perché la moralizzazione della vita pubblica è il miglior servizio che si possa fare alla Patria nostra» ( L. Sturzo, Moralizzare la vita pubblica, in L. Sturzo  ( a cura di C. Argiolas), Politica di questi anni,162.)

 

Il cantuccio dell’autore:

In questo articolo e in molte occasioni Luigi Sturzo denuncia quelle che definisce le tre male bestie della democrazia: lo statalismo, “l’intervento abusivo e sistematico dello stato nell’attività privata di qualsiasi specie, religiosa, culturale, artistica, educativa, economica, sindacale e così via” (Luigi Sturzo (a cura di C. Argiolas), Politica di questi anni, 449); la partitocrazia ,”il virus che corrode la nostra vita politica: in campo nazionale i partiti invadono i poteri del parlamento; nel campo locale, annullano la responsabilità delle loro stesse sezioni; s’inseriscono nella stessa attività comunale e in quella dei vari uffici provinciali. La regione non sfugge alla tenenza di politicizzazione mentre, per la sua importanza, dovrebbe essere modello di indipendenza e di responsabilità amministrativa”; l’abuso del denaro pubblico (“per quanto si possa essere scrupolosi nella gestione del denaro pubblico, si sa da secoli che le industrie dello stato vanno male; che i commerci dello stato vanno male; che le aziende municipalizzate e statizzate vanno male. Anzi si sa di più; che quando i privati sono certi che c’è Pantalone-IRI o Pantalone-IMI o Pantalone-FIM o Pantalone indicato con cento altri nomi e single, che paga i rischi o che si assume i deficit e che garantisce le obbligazioni, anche i privati amministrano come amministrano gli enti statali, parastatali e assimilati “. (L. Sturzo, Politica di questi anni. Consensi e critiche (dall’aprile 1948 al dicembre 1949), Zanichelli, Bologna 1955,192.

 

 

25 febbraio 1958    AL SERVIZIO DI DIO, DELLA VERITA’ E DELLA LIBERTA’

Da una lettera scritta a Flaminio Piccoli: “perché la D.C. usa il sistema dello struzzo che nasconde la testa sotto l’ala? Perché non discute con me? perché non mi difende dagli attacchi ingiusti anche dalla sua ala sinistra? Con le mie critiche io credo di servire non solo il Paese ma la stessa D.C. assai meglio di coloro che mi domandano di tacere, lasciando il merito dell’anti-statalismo agli avversari del momento, i quali forse domani dovranno essere gli alleati del nuovo governo…mi dirai se sia giusto che la periferia debba pensare e credere che quasi a 87 anni e dopo tanti sacrifici, senza famiglia e senza beni di fortuna, mi sia potuto mettere a servire altri che Dio, la verità e la libertà.

Il cantuccio dell’autore:

Negli anni Cinquanta, dietro le quinte della DC, egli vedeva nel partito una spinta ad inseguire il populismo demagogico. Nel 1958, in un momento in cui la lira era forte e la Borsa era ai massimi storici, egli aveva la percezione che il dirigismo statale avrebbe avuto nel tempo effetti negativi. Anche in questa lettera emerge la sua statura morale e la sua lungimiranza.  

9 aprile 1958         LO STRAPOTERE DELLO STATALISMO

Da un articolo su “Il Giornale d’Italia”: Lo Stato è il potere legittimo; lo statalismo è strapotere; l’inferno statalista sviluppa la tendenza a soverchiare i propri associati. La partitocrazia è il fenomeno più appariscente della malattia dello statalismo. I cittadini sono le vittime allo stesso tempo dello statalismo e della partitocrazia. lo Stato, che dovrebbe garantire la libertà individuale, la viola. Il partito, che dovrebbe “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale “ (art. 49 della Costituzione) sopraffà lo Stato. nel primo e nel secondo caso, il metodo democratico, viene soppresso dal metodo dello strapotere.

30 giugno 1958   IL CITTADINO DI FRONTE AL DILAGARE DELLA CORRUZIONE

In risposta all’on. Giuseppe Alessi, a commento di un articolo intitolato La Combinazione «Il mio articolo “La Combinazione” è chiaro. « Nessuno in Italia ha osato scrivere quel che li si trova. Ciò può fare poca impressione nel settore dei parassiti dello Stato ma fa impressione al libero cittadino. Il quale assiste impressionato al dialogare della corruzione dovuta alla facilità dei cumuli di posti, di prebende esagerate, di regalie per far chiudere un occhio o due, di raccolta vendemmiale durante i mesi della campagna elettorale nella quale tutti i partiti e molti candidati hanno potuto fare delle spese impensabili e delle elargizioni da gran signori».

 

11 Luglio 1958       L’ATTUALITA’ DEL SUO MESSAGGIO PROFETICO

 Dal suo intervento in Senato, estrapoliamo i punti “profetici”:

  • “a me sembra che i partiti e i sindacati abbiano inoculato nelle vene dei loro adepti una infantile fiducia nel potere magico delle leggi. Nelle due passate legislature sono state varate a migliaia leggi e leggine, mentre in Inghilterra se ne vanno poco più di un centinaio all’anno…

2-        Una funzione specifica e caratteristica, che dovrebbe avere il Senato, è proprio quella di garantire il cittadino contro tutte le sopraffazioni, le ingerenze, le pastoie legislative. E’ proprio il Senato che dovrebbe ridare autorevolezza nello Stato…assicurando al cittadino la garanzia contro lo strapotere degli enti pubblici.

3-        Ridare al Parlamento la sua indipendenza da estranee ingerenze, specialmente da quelle dei partiti, smantellando la sovrastruttura partitocratica

4-        Manca la consapevolezza che la Costituzione definisce la funzione dell’eletto del popolo come rappresentante della Nazione. Non del partito, ma della Nazione.

5-        Durante le elezioni la vita politica è gravemente inficiata da una larga ingerenza di imprese pubbliche e private e dal tramestio di coloro che fanno il mercimonio dei voti, assicurando il favore di numerosi elettori, come se fossero pecore da mercato.

6-        Uno dei frutti amari di tali lotte è lo spirito partigiano. Tutta l’Italia del 1958 è divisa in 12 partiti e in una cinquantina di frazioni e gruppi. Le assemblee parlamentari sono conformiste, non hanno più propria responsabilità, sono legate ai partiti e da questi dipendono le più importanti decisioni.

7-        Per il rapido sviluppo tecnico, che tende a far diminuire il numero e l’impiego della manodopera…attardarsi su un’economia del passato e volerla fermare e statalizzarla sarà a danno di ogni progresso. I sindacati moderni mancheranno alla loro funzione, se continueranno a politicizzarsi ed allargare così il distacco tra impresa e lavoro.

8-        L’impronta statalista è pesante. C’è: un danno economico (riduzione del  campo e dei mezzi per l’iniziativa privata); un danno politico ( da Stato libero prende la figura di Stato paternalista, di Stato assistenziale, di Stato dittatoriale); un danno morale ( con questa politica economica si offende la libertà e si sviluppa la corruzione della classe dirigente).

  • Attualmente (siamo nel 1958) l’Italia per mettersi al livello dei Paesi del mercato Comune, deve portare la propria economia verso la più larga efficienza possibile, cosa che non può essere ottenuta senza capitali esteri investiti in Italia con le più dovute condizioni e le più adeguate garanzie.

 

 

13 Agosto 1958 – IL VOTO SEGRETO: UNA VERGOGNA ITALIANA

Nei mesi di luglio e di agosto del 1958 nell’assemblea siciliana il voto segreto aveva impedito l’approvazione del bilancio, determinando l’ingovernabilità.

«Voto segreto per le deliberazioni non riguardanti la persona – scrive Sturzo- non è ammesso in nessun Parlamento del mondo; tale sopravvivenza è una vergogna italiana. Il voto segreto continua ad essere protetto da tutti i protettori politici dell’imboscata e da tutti i vigliacchi che non hanno il coraggio delle proprie idee, con la giustificazione che il partito (cioè l’apparato della partitocrazia) se ne vendicherebbe» (Il giornale d’Italia,13 agosto 1958) à-è

 

30.4.1959                    IL VERO CENTRO

Su Il giornale d’Italia , in relazione alle scelte della DC divisa tra due correnti,  scrive “Sinistra e destra, centro e…dintorni” : «Occorre partire dal vero centro che unisce e dà personalità propria, come avvenne con il partito Popolare e la prima DC di De Gasperi : “sarebbe un gran vantaggio se, invece di batterci per la sinistra o per la destra o per il centro cominciassimo a parlare dei fatti: politica internazionale, quella del Patto Atlantico e della Nato, politica economica, quella di mercato con i correttivi necessari, compresa la legge anti-monopoli privati e pubblici; quella scolastica basata sulla libertà di scelta fra scuola pubblica e privata; quella interna , piantata innanzitutto sulla moralizzazione; quella amministrativa, ripigliando lo smantellamento degli enti inutili, superflui, deficitari…Noi abbiamo bisogno di stringere i freni delle spese improduttive, basate sulle responsabilità dirette degli amministratori e degli azionisti; attività produttive private che, se sfruttate con abilità tecnica e sensi di responsabilità, daranno ottimi frutti»

1959 –    LA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTORALE

«Fino a che non si modifica la legge elettorale per arrivare a formare una maggioranza omogenea, sia di uno solo, sia di più partiti coalizzati, il parlamento repubblicano andrà sempre perdendo quota sia nella pubblica estimazione dei cittadini sia nella opinione estera, perché impotente ad esprimere da sé un governo che non abbia i giorni contati o che per reggersi non debba cedere ai ricatti dei collaboratori presenti o dei finti collaboratori futuri, nonché degli avversari apparenti che contrattano i voti con i favori, segreti i voti e segreti i favori»  (L. Sturzo, Speranze e auguri, edizioni politica popolare pp. 67-68 ) .

1959 –                I TESSERAMENTI DEI PARTITI

«La partitocrazia è spaventosamente immorale perché proviene da manovre e alchimie di tesseramenti “riservati” e di congressi “prefabbricati” in cui il trionfo dei mestieranti della politica e dei professionisti dell’attivismo è troppo facile e troppo dannoso. Questi, infatti, giunti in maniera tanto disonesta e impudente ai gangli dell’organizzazione del partito, fanno presto a passare ad altri gangli dell’organizzazione statale e parastatale agognano ed elargiscono posti di governo e sottogoverno creando una fitta rete di ricatti e clientelismi che distruggono la libertà e la personalità, una vischiosa catena di correzione e di scandali» (L. Sturzo, Speranze ed auguri, pag.80).

1959ANCHE LA SICILIA SOPRAFFATTA DALLA PARTITOCRAZIA E DALLE SUE TARE ATAVICHE

 

«Il Mezzogiorno può risorgere… Ci vogliono: uomini, tempo, organizzazione, tecnicità, mezzi adeguati, perseveranza. Gli uomini non mancano; purtroppo non pochi fra noi mancano di preparazione, sono improvvisatori, diffidenti, presuntuosi, discontinui… Forse mancano iniziative valide in Sicilia e nel Mezzogiorno? no; siamo denigratori di noi stessi; svalutiamo il bene che invidiamo; ignoriamo quello che sanno fare gli altri, perché riesce rimprovero alla nostra incapacità di volere. I siciliani chiamati a costituire e governare la Regione, presero, fin dai primi giorni, l’aria di volere ricopiare il Parlamento e il Governo Nazionali; si attribuirono compensi pari a quelli dei deputati e dei senatori di Roma; mostrarono una larghezza pomposa e allo stesso tempo vennero meno alla dovuta regolarità dell’amministrazione, alla fermezza della disciplina, alla rigida responsabilità legislativa e attiva. Errori questi della prima attuazione del nuovo istituto (come quelli che sono capitati alla Repubblica Italiana dal 1946 in poi); pur avendo approvato (Stato e Regioni) leggi utilissime, adottato criteri savi e attuato equilibrati interventi. Ma sopravvenne la crescente e opprimente partitocrazia che dal centro alla periferia ha infettato la nazione, compresi gli enti locali e le nascenti regioni; la Sicilia ne fu sopraffatta, anche per certe tare ataviche che persistono nelle nostre vene. Chi legge…la storia siciliana nelle sue fasi medievali e moderne, trova la stessa piaga delle divisioni dei siciliani di fronte al potere esterno, non importa se papale o valoisiano, se d’Aragona o d’Asburgo, se borbonico o savoairdo. La Regione invece di tenere due o tre mila impiegati più o meno senza titolo…ne tenga solo mille, ma contribuisca ad avere mille tecnici, capi azienda specializzati, professori eminenti, esperti di prim’ordine. Solo così la Regione vincerebbe la battaglia per oggi e per l’avvenire, sarebbe così benedetta l’autonomia da noi vecchi e dai giovani, i quali ultimi invece di chiedere un posticino nelle banche o fra le guardie carcerarie, sarebbero i ricercati delle imprese industriali agricole e commerciali nazionali ed estere. Scuole serie, scuole importanti, scuole numerose, scuole che insegnano, anche senza diplomi al posto di scuole che danno diplomi e certificati fasulli…E’ vero: sono un ottimista impenitente, anche di fronte ad una oscura situazione…(L. Sturzo,  Appello ai Siciliani, edizioni politica popolare, Napoli, pp.18-24 )

Il cantuccio dell’autore:

L’idea centrale di Don Luigi Sturzo è quella che occorre sì operare per una rinascita del Mezzogiorno, ma nell’ambito di una cultura e di una economia agricola capace di salvaguardare certe tradizionali virtù delle popolazioni meridionali; del ripristino di un modello fisiocratico integrato da una politica agraria di tutela e di sviluppo della piccola proprietà, con diffusione di scuole specialistiche e di industrie di trasformazione: “un’agricoltura razionale e maggiore sviluppo di commercio, pari alla propria importanza produttiva”; e di investimenti nell’agricoltura.

Due realtà economiche: una, al Nord, tutta industriale, con le sue banche, attratta verso il più congeniale mercato centro-europeo; l’altra di democrazia rurale, con le virtù tradizionali, con la sua agricoltura potenziata e legata a un’industria di trasformazione, baricentro dell’area commerciale mediterranea.

Tre settimane prima della sua morte su “Il Giornale d’Italia” il 21 luglio 1959:

Confidava ad alcuni di noi: “guardate bene ai pericoli delle correnti organizzate in seno alla D.C.: si comincia con le divisioni ideologiche, si passa alle divisioni personali, si finisce con la frantumazione del partito”.

Sentendo che la fine si avvicinava, volle vedere un suo discepolo, Marcello Rodinò, allora Presidente della Rai. Ci avvicinammo al suo letto e ci accolse piangendo. L’apertura a sinistra fatta da Milazzo in Sicilia lo aveva sconvolto. Ci disse: “Povera Sicilia mia, povera Italia mia! Ora la mafia diventerà più crudele e disumana, sarà lungo tutta la penisola e forse si porterà anche oltre le Alpi”.