Un uomo di chiesa che si è schierato apertamente contro ogni genere di mafia. Stiamo parlando dell’Arcivescovo Michele Pennisi. Si è impegnato attivamente per far assegnare a delle cooperative di detenuti ed ex detenuti i terreni confiscati a mafiosi. Nel febbraio 2008 gli viene assegnata la scorta, dopo aver ricevuto un volantino con minacce di morte dalla mafia gelese, per essersi rifiutato di celebrare in cattedrale il funerale del boss mafioso Daniele Emmanuello, ucciso il 3 dicembre 2007 in un conflitto a fuoco con la polizia. Rende la diocesi di Piazza Armerina (a Gela) un motore antimafia. Partecipa in modo convinto per concretizzare il progetto di legalità sentito dal popolo
come un’urgenza prioritaria. Nel 2013 vieta alle confraternite dell’arcidiocesi di Monreale di accogliere confrati che sono affiliati alla mafia o altri generi di attività malavitosa. Abbiamo avuto il piacere di scambiare le nostre opinioni con lui, confrontandoci, e ne è nata una piacevole intervista.
Come può riassumere i suoi 9 anni a Monreale?
Sono molto contento del ministero episcopale svolto a Monreale in questi nove anni. Anche se non sono mancati alcuni momenti difficili, dovuti alla presenza dell’influsso mafioso, ci sono stati tanti aspetti positivi a partire dalla visita pastorale che mi ha consentito di incontrare tante persone, non solo nelle chiese, ma anche nelle case, nelle
scuole, nei posti di lavoro, nelle strade. Ho lasciato un seminario con undici seminaristi e un laicato maturo e partecipe nella vita della Chiesa. Ho avviato il Sinodo diocesano con tre priorità: l’evangelizzazione, le famiglie e i giovani. Con la Caritas diocesana abbiamo avviato alcuni progetti pilota. Lasciando Monreale mi è rimasta la nostalgia delle celebrazioni nel duomo di Monreale, una delle chiese più belle del mondo.
Lei ha creato un sistema sia scolastico che sociologico. Nel senso: via la mafia da ogni luogo. Com’è essere definito un arcivescovo antimafia?
Non mi piace la definizione di “vescovo antimafia”. Non mi ritengo un eroe, ma solo un ministro di Cristo che compie il suo dovere pastorale illuminando i fedeli su ciò che è bene e ciò che male, ciò che è conforme al Vangelo e ciò che vi si oppone. Non accetto che i mafiosi pratichino pacificamente la doppia appartenenza alla chiesa e alla cosca. Cerco di contrastare la mafia non solo attraverso la condanna morale nelle omelie o nelle conferenze, ma anche attraverso gesti concreti, aiutando le vittime del racket a denunziare, escludendo le ditte in odore di mafia dai lavori per la costruzione delle nuove chiese, attraverso dei progetti di recupero dei figli di mafiosi in carcere che rischiano di trasformarsi in babykiller. Mi sono impegnato a educare la gente a mettere in pratica i valori della dottrina sociale della Chiesa e a contrastare la mentalità mafiosa puntando soprattutto sull’educazione delle giovani generazioni che ho incontrato nelle scuole. La mafia è un fenomeno umano del quale ci si può liberare attraverso una sinergia fra le
istituzioni pubbliche, gli imprenditori, i sindacati, i mezzi di comunicazione sociale, le scuole e le varie confessioni religiose… È necessario l’impegno di formazione delle coscienze, soprattutto delle nuove generazioni, e quello dell’evangelizzazione della religiosità popolare. La lotta alla mafia è una questione di educazione del popolo. Per i credenti la mafia va interpretata e contrastata innanzitutto con categorie cristiane, perché sono insufficienti e inadeguate solo le categorie sociologiche o politiche o le impostazioni ideologiche che vogliono ridurre il ruolo del cristianesimo a “religione civile” funzionale alla modernità. I cristiani devono sentirsi impegnati non solo nel “no”
alla mafia, ma in positivo devono impegnarsi “per” una cultura della vita, della libertà e della responsabilità. Non mi sento solo a contrastare la mafia. Prima di me ci sono stati preti, vescovi e cristiani laici che a partire dal secolo XIX hanno contrastato la mafia e poi c’è stato il grido accorato del papa Giovanni Paolo II ad Agrigento il 9 maggio 1993, ci sono state posizioni coraggiose di altri vescovi come il Cardinale Salvatore Pappalardo e di tanti preti. Il cammino storico della Chiesa siciliana è stato suggellato dalla splendida testimonianza del martirio di don Pino Puglisi che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare. Non era un professionista dell’antimafia, ma un testimone della fede che disturbava per la sua missione educativa ispirata al Vangelo che sottraeva manovalanza alla mafia. La lotta alla mafia si fa all’interno della comunità ecclesiale che deve liberarsi da alcune incrostazioni del passato, passare da una pastorale di conservazione ad una nuova evangelizzazione e superare la frattura fra fede e vita, fra il cristiano e il cittadino.
La mafia cos’è secondo lei?
La mafia è una organizzazione criminale spesso collusa con la politica e con l’economia che si fonda sulla idolatria del potere e del denaro, sulla sopraffazione, sull’illegalità, sulla violenza che arriva a commettere efferati delitti; è una struttura di peccato che i cristiani non possono accettare. Oggi bisognerebbe parlare meglio di “mafie”, che sono presenti in tutte le regioni italiane e in diverse nazioni.
Si è anche rifiutato di celebrare i funerali di vari boss: per quale motivo?
D’accordo con le autorità governative ho rifiutato di far celebrare il funerale per diversi boss mafiosi per evitare che la cerimonia si potesse trasformare in una sorta di esaltazione pubblica di una persona che non poteva essere scambiata per un eroe. Ho tuttavia incaricato il cappellano del cimitero di celebrare il funerale in forma strettamente privata per i familiari perché per tutti va invocata la misericordia di Dio ed ai familiari, non va negata la consolazione
della fede. Bisogna vigilare affinché l’annuncio della misericordia di Dio non sia strumentalizzato dal mafioso, e non si configuri, di fatto, come copertura di quanti hanno violato la legge di Dio e quella degli uomini.
Ha pure dichiarato i suoi timori che la tomba di Riina potesse diventare luogo di pellegrinaggio. Ce
ne vuole parlare o spiegare il motivo?
Purtroppo ho constatato che ci sono dei turisti che si recano a Corleone per visitare la tomba di Totò Riina o di Provenzano e non di alcune vittime della mafia o i beni culturali e ambientali della città di Corleone. In collaborazione con la Caritas diocesana abbiamo avviato un progetto attraverso il quale una cooperativa di giovani è impegnata a far visitare le tante chiese ricche di tesori d’arte e a far conoscere alcune figure di santi locali come S. Bernardo di Corleone. Era uno dei più bravi spadaccini della Sicilia che dopo aver ferito una persona che gli aveva fatto un torto si era convertito ed era entrato nell’Ordine dei Frati Cappuccini. A questo santo si è ispirato il Manzoni nel delineare la figura di Fra Cristoforo ne “I Promessi sposi”. Ho proibito inoltre che le processioni passassero nella strada dove si trova la casa di Totò Riina per evitare fermate inopportune.
Comunione e Liberazione di Don Giussani era nelle piazze, per i poveri. Se leggiamo le cronache, a
Milano chi ne faceva parte girava con Yacht e vestiti firmati: cos’è cambiato?
Bisogna distinguere fra la maggior parte degli aderenti a Comunione e Liberazione che, su indicazione di don Giussani, s’impegnavano nella “caritativa” nei quartieri più disagiati e in una serie di opere sociali anche nei paesi in via di sviluppo, e alcuni membri legati soprattutto alla politica che avevano uno stile di vita non conforme ai valori evangelici. In questi anni c’è stato un cambio di rotta che ha messo in primo piano l’impegno per la formazione di una mentalità cristiana e per l’attuazione dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa. L’incontro con Papa Francesco del 15 ottobre scorso in piazza san Pietro a Roma, nel centenario della nascita di don Giussani, ha mostrato la vitalità di questo movimento ecclesiale che deve essere rilanciato puntando sulla testimonianza della presenza di Cristo nella nostra società.
Papa Francesco: come ogni uomo ha i suoi pregi e i suoi difetti. Secondo lei quali sono?
Papa Francesco ha portato un rinnovamento all’interno della Chiesa Cattolica e molte persone lontane dalla Chiesa si sono riavvicinate a Cristo. Egli ha mostrato con il suo stile di vita semplice e sobrio un cristianesimo portatore di gioia, aperto al dialogo con tutti. Certo è influenzato dalla sua origine latino-americana e ha fatto alcune scelte
affrettate dettate dall’impulso di dare un’immagine diversa della Chiesa, sulle quali poi ha dovuto fare una parziale marcia indietro. Alcuni gli rimproverano di essere indulgente con i lontani e severo con i vicini.
Un’ultima domanda: perché le persone hanno questa disaffezione nei confronti della chiesa? Troppi
scandali (pedofilia, scandali finanziari…)?
Sono molte le cause della disaffezione. Oltre al triste fenomeno della pedofilia, agli scandali finanziari e alle contro testimonianze di vari membri della Chiesa, c’è il fenomeno complesso della secolarizzazione e il diffondersi di una
concezione individualista della religione “fai da te” e di un certo sincretismo religioso. Bisogna anche aggiungere la pandemia che ha fatto diminuire la frequenza alla pratica religiosa, che non può essere sostituita dalle celebrazioni trasmesse dai vari social. Bisogna notare che mentre nella vecchia Europa c’è una diminuzione della pratica religiosa,
in diversi paesi dell’Africa e dell’Asia si assiste ad un risveglio della fede e ad un aumento dei cattolici e delle vocazioni alla vita consacrata.
Mauro Botti
Pubblicata su Il Mattino della domenica