Anche l’energia nucleare rischia d’aggravare la divisione da tempo esistente all’interno del mondo islamico sunnita, oltre che con quello sciita guidato dall’Iran.

Gli Emirati Arabi Uniti ( EAU )hanno infatti avviato l’attività della loro centrale atomica di Barakah, la prima mai costruita nei paesi del mondo arabo. Si trova sulla costa della Penisola arabica del Golfo Persico. Da una parte, fronteggia il Qatar, paese sunnita ma con il quale è da lungo aperto un contenzioso che divide Doha dagli Emirati e dal loro potentissimo alleato, l’Arabia Saudita. Dall’altro lato di una delle più calde vie marittime al mondo, ci sono le rive del nemico storico: l’Iran.

La centrale, costruita utilizzando tecnologia sudcoreana della Korea Electric Power Corporation (KEPCO, ha messo in produzione il primo dei quattro reattori previsti, denominati APR-1400. Il progetto avrebbe dovuto vedere l’avvio tre anni fa, ma problemi di sicurezza hanno fatto posticipare l’attivazione di un impianto da cui le autorità degli Emirati attendono la copertura a pieno regime del soddisfacimento di un quarto del proprio fabbisogno energetico.

L’EAU è sempre stato quasi un tutt’uno con l’Arabia Saudita. Accomunati come sono i due paesi nell’alleanza con gli Usa e nella lotta contro la Fratellanza musulmana. Gli Emirati sono attualmente partecipi delle operazioni militari contro i filo iraniani Houthi nello Yemen e sostengono, con sauditi, Egitto e Russia, il generale Haftar in Libia che prova a scalzare il governo di Tripoli di Fayez al-Serraj, riconosciuto internazionalmente e appoggiato invece dalla Turchia.

In precedenza, gli Emirati si erano distinti per la decisione con cui erano intervenuti anche in Baharein e in Siria e per come avevano difeso i propri interessi nel Corno d’Africa e nel Nord Africa. Da qualche tempo, confermano l’impressione che è intenzione dei loro leader ampliare la loro sfera d’influenza persino lungo le sponde del Mediterraneo.

Per fare questo, gli Emirati che coprono un territorio con una superficie pari a 83.600 kmq, tutto desertico ed equivalente a meno di un terzo di quella italiana, con una popolazione che non raggiunge i dieci milioni di abitanti, si affidano ad un potenziamento abnorme delle proprie capacità militari, cosa che li ha portati ad essere tra le dieci nazioni al mondo che acquistano più armi. Gli ultimi  dati disponibili indicano che, nel solo 2018, gli EAU hanno speso oltre un miliardo di dollari in armamenti. Ma si tratta probabilmente di poca cosa in relazione all’intervento di sostegno al generale Haftar, oggi particolarmente dipendente soprattutto dall’aiuto in armamenti e finanziario assicurato da Abu Dhabi.

Insomma, è evidente che gli Emirati vogliono inserirsi nel contesto geopolitico che riguarda l’intero Medio oriente, l’Africa orientale e il Mediterraneo assumendo almeno il ruolo di comprimari su uno scenario in cui sono inseriti anche Israele, Russia e Turchia. Le ambizioni sono alte, insomma, come conferma anche l’invio di una sonda spaziale su Marte avvenuto circa due settimane or sono.

Ovviamente, tutto questo attivismo, tollerato, se non subito, dall’Arabia saudita, è visto con sempre maggiore ostilità da parte del Qatar, schierato con la Turchia e, soprattutto, dall’Iran al quale non va proprio giù di subire le sanzioni a causa del proprio programma nucleare, ciclicamente contestato anche per una sua possibile valenza militare, e vedere attiva dall’altro lato del Golfo persico una centrale atomica araba.

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