In Italia da quasi trent’anni con la sparizione della Democrazia Cristiana si è creato un vuoto politico di presenza di un partito che abbia nella cultura e nei valori cristiani il punto di riferimento per una proposta politica laica.

Non è questo il posto per interrogarci sul perché del collasso di quel grande partito nel contesto storico dei primi anni ‘90. La domanda è invece se oggi ce ne dobbiamo fare una ragione e non preoccuparcene troppo? O se invece si tratta di questione decisamente importante per la vita politica italiana e di riflesso anche europea?

Credo ci siano buoni motivi per considerare questo vuoto un problema politico serio.

Una prima risposta la si ricava guardando “all’indietro” e chiedendosi se questo vuoto sia stato riempito da forze politiche capaci di offrire una guida valida per il nostro paese. Un secondo modo ancora più importante è di farlo guardando “in avanti” ai problemi che già l’oggi ma soprattutto il futuro ci pongono.

Quanto al primo punto di vista non è troppo difficile mettere in evidenza le gravi insufficienze delle forze politiche che hanno dominato, negli anni successivi alla fine della DC, la scena italiana, presentandosi come portatrici di nuove culture politiche. Il federalismo della prima Lega, la “rivoluzione liberale” di Forza Italia, il riformismo post-comunista del PDS/PD, il populismo anti-establishment del Movimento Cinque Stelle, il nazionalismo anti-europeo e il sovranismo della nuova Lega di Salvini e dei Fratelli d’Italia. Non si vuol qui dire che queste proposte non contenessero ciascuna anche alcuni elementi condivisibili. Tutte, in modi molto diversi, coglievano qualche punto dolente della situazione italiana e ne facevano la loro bandiera…… Ma le risposte sul piano delle politiche proposte e adottate sono state ben al di sotto di una capacità di risposta adeguata ai problemi di fondo dell’Italia.

Per estrema sintesi: il federalismo della prima Lega non riusciva ad andare molto al di là delle rivendicazioni delle regioni più forti del paese senza affrontare in maniera seria il problema, cruciale nei sistemi federali, della solidarietà e del riequilibrio tra parti diversamente sviluppate del paese, oltre a mancare di una chiara idea sul ruolo, certo più ristretto ma pur sempre decisivo, dello stato centrale anche in una prospettiva federale. La “rivoluzione liberale” di FI, anche perché troppo condizionata dalla storia e dalle esigenze di un leader con una storia imprenditoriale tutt’altro che liberale, nei fatti poco ha concluso per introdurre le vere liberalizzazioni delle quali il sistema economico italiano aveva certamente bisogno e per snellire e rendere più efficaci le amministrazioni pubbliche. Se poi ci spostiamo sul “riformismo” di marca PDS e poi PD è facile rilevare che ha largamente mancato l’incontro con le classi popolari e i ceti produttivi del paese e la comprensione dei loro bisogni, finendo per rimanere il programma della borghesia intellettuale e del settore pubblico, oltre che sconfinando regolarmente nelle sfere dell’individualismo radicale dei diritti. Quanto ai partiti emersi negli ultimi anni con exploit elettorali inizialmente esaltanti la loro corsa si è presto rivelata affannosa. La crociata anti-establishment del Movimento Cinque Stelle è progressivamente evaporata senza centrare nessun obiettivo importante, il populismo anti-migranti e sovranista della nuova Lega di Salvini ha dovuto fare i conti con la solida realtà dell’appartenenza italiana all’Unione Europea che la maggioranza degli italiani (e dei ceti produttivi) non vuole abbandonare e anche con il significativo ombrello di solidarietà comunitaria che l’UE ha aperto nell’era del COVID. Infine i Fratelli d’Italia hanno certo potuto godere finora dei vantaggi dello stare all’opposizione ma quale sia il loro modello di paese dietro una certa immagine nazionalista non è chiaro.

Non si può dire dunque che questi orientamenti politico-culturali abbiano saputo offrire risposte molto convincenti alle più gravi esigenze del paese – un più equo sostegno fiscale alle famiglie anche per meglio contrastare il declino demografico; una scuola più qualificata e libera, capace di essere un vero partner per le famiglie che guardano con i figli al futuro; un mercato del lavoro più aperto ai più giovani e alle donne e non dimentico della dignità delle persone; un ambiente regolativo e infrastrutturale favorevole allo sviluppo di una imprenditorialità socialmente responsabile; un forte contrasto alle povertà (economica e non solo). Su tutti questi punti un partito popolare di ispirazione cristiana avrebbe molto da dire. Così come potrebbe aiutare nella necessaria ricerca di quell’ idem sentire solidale che nei momenti di crisi più gravi tanto è mancato in questi anni.

Guardando in avanti, il nostro paese (e con lui l’Europa della quale siamo componente importante e alla quale l’Italia deve dare tutto il contributo della sua voce per le scelte comuni) ha bisogno di sviluppare un discorso politico capace di far fronte alle importanti questioni che già l’oggi ma ancor di più il futuro ci pone.

Ne cito le principali: il dilemma tra globalizzazione e nazionalismo; le tensioni tra accelerazione scientifico-tecnica trasformativa e salvaguardia della dignità umana; la gestione della lotta al cambiamento climatico. Questi grandi problemi ai quali il nostro paese e l’Europa non sfuggiranno hanno un potenziale di generazione di tensioni e conflitti che non deve essere sottovalutato.

Per affrontare queste sfide non servono risposte ideologiche, ricavate da schemi interpretativi della realtà umana e sociale rigidi, e tantomeno gli slogan populistici che abbinano alla “costruzione del nemico” soluzioni semplicistiche dei problemi. Una proposta politica, ispirata alla visione cristiana dell’uomo e del suo rapporto con la società, cha faccia perno su una concezione non riduzionistica della persona umana, sulla sua irriducibile dignità e non manipolabilità, sulla sua priorità rispetto a tutte le strutture sociali e politiche, può invece portare nel dialogo con le culture laiche non ideologizzate un contributo significativo per trovare risposte più adeguate e meno distruttive a queste grandi sfide.

Nei dilemmi tra globalizzazione e sovranità nazionale il pensiero politico di ispirazione cristiana può aiutare a ricongiungere il richiamo non di maniera alla fratellanza e solidarietà universali (così fortemente ribadite nei messaggi degli ultimi pontefici) con il profondo rispetto per le ricchezze umane che le culture particolari sono capaci di generare quando non diventano identità escludenti. Il rispetto per gli enormi sviluppi della scienza e della tecnica frutto dell’ingegno umano e per le loro grandi potenzialità di risposta ai problemi dell’uomo deve congiungersi, in una prospettiva di umanesimo integrale, con la difesa senza sconti da manipolazioni che degradano la dignità umana facendo delle persone gli oggetti della volontà di potenza. La doverosa e impegnativa lotta al cambiamento climatico non può essere ridotta ad un tributo alla dea Terra e dimenticare il ruolo centrale degli esseri umani negli equilibri del pianeta e quindi deve avvenire nel quadro di una attenta comprensione della necessità di comprendere i costi economici e sociali di una transizione epocale e di distribuirne con equità il peso.

Non voglio dire con questo che sia già pronto oggi in Italia un partito laico, ma che attinge al grande patrimonio della riflessione antropologica, sociale e politica del cristianesimo, e che abbia la capacità di elaborare in maniera seria e convincente un programma di risposte a questi grandi temi. Ma sono altrettanto convinto che se oggi questa forza politica non emerge le nostre capacità di risposta alle sfide di oggi e saranno molto più deboli.

Maurizio Cotta

 

 

 

 

 

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