Mentre molti cercano delle soluzioni immediate (per non dire “delle mediazioni immediate”), come necessario nella crisi morale e bellica che stiamo vivendo, provo a condividere alcuni pensieri alla ricerca della “domanda giusta” per interrogare il nostro tempo, senza la quale ogni risposta sarebbe fuorviante nell’indirizzare le nostre azioni. La speranza è che la ricerca della questione fondamentale, che non si ha qui la pretesa di definire, possa attivare un processo sensato. Insomma tutti si dedicano al “problem solving” ma chi si occupa del “problem posing”? Per questo mi rivolgo agli amici più esperti come giovane in ricerca del cambiamento che vuole vedere nel mondo.

Prendo le mosse dal “risveglio bellico” dell’Europa, caratterizzato da: l’improvvisa aggressione russa dell’Ucraina dopo 8 anni di guerra; l’aumento della spesa militare dei Paesi europei (in particolare Italia e Germania); un’Ucraina vittima del logorio bellico che, distrutta, si trova a resistere per “salvare il salvabile” del suo territorio a prezzo della sua gente; una Russia vittima di chi la corrompe con il pugno di ferro, mandando al massacro la sua gente e isolandola dal resto del mondo per stroncare il suo ampio respiro culturale; una propaganda rafforzata dalla comunicazione pervasiva messa a punto nell’“esperienza Covid”; una copertura mediatica dell’“inutile strage”, che quanto meno tenta invano di evitare, mettendoli in rilievo, i crimini. Speriamo che quando non ci sarà più questa “copertura” non ci dimenticheremo nel tempo di uno zapping delle vere vittime, che sono le persone, e la politica non si volti dall’altra parte.

Vorrei ricordare alcune delle guerre dimenticate, alle quali non possiamo dirci estranei seppur lontani: Libia, Siria, Iraq, Yemen, Israele-Palestina, Etiopia, sapendo di non citarne molte altre (CLICCA QUI) ).

Una doccia fredda nel tepore delle convinzioni dei salotti televisivi sono state le parole di Papa Francesco nell’udienza generale del 23 marzo: “i governanti capiscano che comprare armi e fare armi non è la soluzione al problema. La soluzione è lavorare insieme per la pace”. E ancora “Con la guerra tutto si perde, tutto, non c’è vittoria in una guerra, tutto è sconfitto. Che il Signore invii il suo Spirito perché ci faccia capire che la guerra è una sconfitta dell’umanità” e “ci liberi da questo bisogno di autodistruzione”. Inoltre il 24 marzo, durante l’udienza al Centro Femminile Italiano, ha aggiunto: “Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!”. “La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo, non facendo vedere i denti, un modo ormai globalizzato, e di impostare le relazioni internazionali”.

Purtroppo c’è anche chi ci guadagna dalla guerra e la politica dovrebbe far sì che questi interessi non prevarichino sul bene comune. Occorre forse preoccuparsi anche in tempo di pace degli “interessi belligeranti” e orientarsi alla prevenzione. Una legittima difesa proporzionale è necessaria, ma non sufficiente. Ma questi sono temi a cui la politica italiana ha abdicato fino a oggi e ci trova impreparati, me per primo. Sarebbe interessante una proposta politica che provi a ridisegnare su presupposti teorici diversi da quelli del ‘900 l’ordine internazionale, in modo tale che la pace possa essere intesa in positivo come compito sempre incalzante e non in negativo come assenza di conflitti armati in attesa che le bombe ci sveglino.

A proposito dell’ordine internazionale, si parla della presenza ingombrante sulla scena globale di Cina e NATO e dell’assenza dell’Europa. Quest’ultima come la dobbiamo intendere? Come “unione” dei 27 Stati della UE? Polo orientale della NATO? Si può ancora parlare di un’Europa che “va da Lisbona a Mosca”?

In attesa che l’Europa provocata si organizzi, la Cina già da anni sta attuando una sua proposta concreta ed efficace, però piena di ambiguità. All’“Occidente” pare siano rimaste solo le ambiguità. Ambiguità forse dovute anche al “dual-use” (dualità) della tecnologia che il progresso ci ha reso disponibile? È impossibile un dialogo? A quali condizioni? D’altra parte l’Occidente avrebbe un asso nella manica da giocarsi, al quale però ha smesso di credere, schiavo della “volontà di potenza”: i diritti umani e le Nazioni Unite. Se si fermasse l’erosione sistematica di questi istituti/istituzioni e si desse loro legittimità e capacità operativa? Troppo difficile? O forse troppo sconveniente? Forse questo passa anche per il ruolo che l’Europa cerca tra gli orrori e le meraviglie della sua storia comune?

Intanto gli Stati hanno dei ministeri della difesa e degli affari esteri, il cui lavoro è ormai appiattito sugli interessi economico-commerciali. Perché non ci sono ministeri per la pace, lo sviluppo integrale, il dialogo culturale e la risoluzione nonviolenta dei conflitti? L’interdipendenza interna-esterna permette ancora una distinzione netta tra ordine sociale e internazionale?

Superiamo la paura di metterci in discussione, ma non fermiamoci lì, diamoci da fare per il bene comune!

Tommaso D’Angelo

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