L’intelligenza artificiale porta nuove opportunità al mondo del welfare, in alcuni casi può rivoluzionare interi servizi. Ma rischia anche di generare nuove forme di discriminazione e togliere centralità agli attori del pubblico e del privato sociale. Il welfare italiano è pronto a trarre il meglio da queste tecnologie? Quello che segue è un intervento di Percorsi di secondo welfare a firma di Matteo Scannavini

Protagoniste di narrazioni apocalittiche e speranze messianiche, le intelligenze artificiali (in inglese AI, Artificial Intelligence), continuano a diffondersi e toccare sempre più parti della società. Come impatteranno il mondo del welfare? Alle molte prospettive di rafforzamento, innovazione e sburocratizzazione dei servizi sociosanitari, si affiancano altrettanti problemi.

La sfida per il welfare italiano, che paga un ritardo in termini di digitalizzazione, è farsi trovare pronto per prendere il meglio dalle AI senza subirle, e mantenere l’approccio all’uso delle tecnologie antropocentrico impostato dall’AI Act europeo. A che punto siamo?

Le applicazioni dell’AI ai servizi di welfare

“Lo scenario delle possibili applicazioni è sterminato” scriveva la ricercatrice Elena Amalia Ferioli riguardo l’uso delle AI per il welfare in uno studio del 2019. Cinque anni dopo, quelle applicazioni sono sempre più una realtà, a volte anche in Italia.

Un primo esempio è l’integrazione delle intelligenze artificiali nelle piattaforme che connettono gli utenti agli erogatori di servizi, anche attraverso chatbot, migliorando la connessione tra domanda e offerta. Se qui l’AI è un semplice ponte per facilitare l’accesso alle prestazioni, in altri contesti, come l’assistenza domiciliare di persone anziane e non autosufficienti, può portare a un cambio di paradigma del servizio stesso.

Matteo Scannavini

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