PETIZIONE AL PARLAMENTO IN ORDINE A PROVVEDIMENTI DIRETTI ALLA PREVENZIONE DELL’ ABORTO
Dopo oltre quarant’ anni dalla approvazione della legge 194, che, dal maggio 1978, ha introdotto nel nostro ordinamento, norme che regolano la facoltà per la donna di interrompere volontariamente la gravidanza, e’ opportuno chiederci se non sia tempo di adottare politiche e strategie dirette ad una efficace prevenzione dell’ aborto.
Prendendo, del resto, le mosse dai primi articoli della legge stessa, che richiama, nel titolo, la “tutela sociale della maternità”.
La consapevolezza comune a chi contrasta la legittimità dell’aborto e, nel contempo, a chi la sostiene, concerne la convinzione che, in ogni caso, si tratti, per la donna di una decisione dolorosa e di un evento drammatico, destinato a lasciare una traccia profonda ed indelebile nel suo vissuto. E’ lo stesso corpo sociale ad essere ferito dalle pratiche di interruzione volontaria della gravidanza, nella misura in cui ogni sofferenza individuale, ben più di quanto non siamo abituati a ritenere, lo rende più fragile e più vulnerabile.
Un recente documento della Pontificia Accademia per la Vita sostiene che, in ordine, appunto, a questi primi articoli della 194: “…..poteva e potrebbe ancora essere cercata ed alimentata un’idea di civiltà condivisa”. Infatti, non siamo alla ricerca di un argomento divisivo, né intendiamo proporre un tema che sia un possibile punto di aggregazione di qualsivoglia schieramento politico. Semplicemente riteniamo sia compito di tutti, al di fuori di ogni contrapposizione ideologica, qualunque sia la propria originaria cultura, custodire la vita, prendersene cura, soprattutto nell’attuale momento storico. Tanto meno, la nostra posizione intende esprimere giudizi nei confronti delle donne che abortiscono volontariamente.
Va, piuttosto, impedito che, di per sé, la pratica dell’aborto assuma il carattere di una consuetudine, cioè venga via via acquisita dal corpo sociale come un comportamento non solo consentito dalla legge, bensì sostanzialmente scontato o, addirittura, necessario, ove la gravidanza comunque non sia desiderata. Ciò determinerebbe uno scostamento inaccettabile, ad esempio, dallo stesso art. 1 della legge, laddove si afferma la necessità che, in nessun modo, l’aborto sia utilizzato ai fini della limitazione delle nascite.
Tutto ciò che concorre ad una sorta di assuefazione all’aborto, attraverso la sua banalizzazione – ivi comprese le recenti “linee guida” ministeriali in ordine alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” ed, a maggior ragione, la facoltà, anche per le minorenni, di poterla ottenere in farmacia, pur senza prescrizione medica, come stabilito dall’Agenzia del Farmaco – va, appunto, in tale direzione, secondo un concetto di libertà francamente fuorviante. La libertà non può essere, infatti, in nessun modo, disgiunta da una piena ed effettiva responsabilità, anzitutto nei confronti di sé stessi ed, a maggior ragione, quando sono in gioco atti e comportamentali fondamentali e dirimenti per la vita di ognuno.
Rischiamo di scivolare progressivamente giù per una china involutiva che via via svilisce e compromette, nella generalità della cultura diffusa, il senso stesso della genitorialità, il significato pregnante di quell’atto fondamentale che consiste nel trasmettere la vita. Ed è necessario rendersi conto come tutto ciò finisca per rappresentare, nell’orizzonte di ogni possibile concezione antropologica, un vulnus esiziale, destinato ad erodere progressivamente le stesse fondamenta morali e civili delle democrazia e della giustizia sociale.
In tal senso, riteniamo doveroso rivolgere il nostro appello non solo al mondo dei credenti, bensì a tutti coloro che hanno a cuore i valori della nostra comune umanità.
La prevenzione dell’aborto sviluppando, come già accennato, anzitutto, i primi articoli della stessa legge 194, può avvalersi principalmente di due indirizzi:
- un impegno formativo diretto ad educare, in modo particolare le giovani generazioni alla “procreazione cosciente e responsabile”, secondo la stessa indicazione dell’art. 1 della legge, che la pone quale “diritto”.
Non si tratta, ovviamente, di interpretare riduttivamente tale compito, che la legge assegna, oltre che allo Stato, alle stesse Regioni ed agli Enti Locali, in termini di mera informazione in ordine alle modalità di contraccezione, bensì in quanto educazione al valore della sessualità ed alla genitorialità responsabile;
- una forte e convinta valorizzazione, eventualmente anche attraverso un’apposita iniziativa di carattere legislativo, del ruolo dei Consultori Familiari, di cui all’art. 2 della legge, anche in riferimento al secondo comma dello stesso articolo, che fa riferimento alla collaborazione di “associazioni del volontariato che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, oltre che, anzitutto, come recita il primo comma dell’art. 5, “aiutare (la donna) a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”.
Dopo oltre quarant’ anni dalla approvazione della legge 194, che, dal maggio 1978, ha introdotto nel nostro ordinamento, norme che regolano la facoltà per la donna di interrompere volontariamente la gravidanza, e’ opportuno chiederci se non sia tempo di adottare politiche e strategie dirette ad una efficace prevenzione dell’ aborto.
Prendendo, del resto, le mosse dai primi articoli della legge stessa, che richiama, nel titolo, la “tutela sociale della maternità”.
La consapevolezza comune a chi contrasta la legittimità dell’aborto e, nel contempo, a chi la sostiene, concerne la convinzione che, in ogni caso, si tratti, per la donna di una decisione dolorosa e di un evento drammatico, destinato a lasciare una traccia profonda ed indelebile nel suo vissuto. E’ lo stesso corpo sociale ad essere ferito dalle pratiche di interruzione volontaria della gravidanza, nella misura in cui ogni sofferenza individuale, ben più di quanto non siamo abituati a ritenere, lo rende più fragile e più vulnerabile.
Un recente documento della Pontificia Accademia per la Vita sostiene che, in ordine, appunto, a questi primi articoli della 194: “…..poteva e potrebbe ancora essere cercata ed alimentata un’idea di civiltà condivisa”. Infatti, non siamo alla ricerca di un argomento divisivo, né intendiamo proporre un tema che sia un possibile punto di aggregazione di qualsivoglia schieramento politico. Semplicemente riteniamo sia compito di tutti, al di fuori di ogni contrapposizione ideologica, qualunque sia la propria originaria cultura, custodire la vita, prendersene cura, soprattutto nell’attuale momento storico. Tanto meno, la nostra posizione intende esprimere giudizi nei confronti delle donne che abortiscono volontariamente.
Va, piuttosto, impedito che, di per sé, la pratica dell’aborto assuma il carattere di una consuetudine, cioè venga via via acquisita dal corpo sociale come un comportamento non solo consentito dalla legge, bensì sostanzialmente scontato o, addirittura, necessario, ove la gravidanza comunque non sia desiderata. Ciò determinerebbe uno scostamento inaccettabile, ad esempio, dallo stesso art. 1 della legge, laddove si afferma la necessità che, in nessun modo, l’aborto sia utilizzato ai fini della limitazione delle nascite.
Tutto ciò che concorre ad una sorta di assuefazione all’aborto, attraverso la sua banalizzazione – ivi comprese le recenti “linee guida” ministeriali in ordine alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” ed, a maggior ragione, la facoltà, anche per le minorenni, di poterla ottenere in farmacia, pur senza prescrizione medica, come stabilito dall’Agenzia del Farmaco – va, appunto, in tale direzione, secondo un concetto di libertà francamente fuorviante. La libertà non può essere, infatti, in nessun modo, disgiunta da una piena ed effettiva responsabilità, anzitutto nei confronti di sé stessi ed, a maggior ragione, quando sono in gioco atti e comportamentali fondamentali e dirimenti per la vita di ognuno.
Rischiamo di scivolare progressivamente giù per una china involutiva che via via svilisce e compromette, nella generalità della cultura diffusa, il senso stesso della genitorialità, il significato pregnante di quell’atto fondamentale che consiste nel trasmettere la vita. Ed è necessario rendersi conto come tutto ciò finisca per rappresentare, nell’orizzonte di ogni possibile concezione antropologica, un vulnus esiziale, destinato ad erodere progressivamente le stesse fondamenta morali e civili delle democrazia e della giustizia sociale.
In tal senso, riteniamo doveroso rivolgere il nostro appello non solo al mondo dei credenti, bensì a tutti coloro che hanno a cuore i valori della nostra comune umanità.
La prevenzione dell’aborto sviluppando, come già accennato, anzitutto, i primi articoli della stessa legge 194, può avvalersi principalmente di due indirizzi:
- un impegno formativo diretto ad educare, in modo particolare le giovani generazioni alla “procreazione cosciente e responsabile”, secondo la stessa indicazione dell’art. 1 della legge, che la pone quale “diritto”.
Non si tratta, ovviamente, di interpretare riduttivamente tale compito, che la legge assegna, oltre che allo Stato, alle stesse Regioni ed agli Enti Locali, in termini di mera informazione in ordine alle modalità di contraccezione, bensì in quanto educazione al valore della sessualità ed alla genitorialità responsabile;
- una forte e convinta valorizzazione, eventualmente anche attraverso un’apposita iniziativa di carattere legislativo, del ruolo dei Consultori Familiari, di cui all’art. 2 della legge, anche in riferimento al secondo comma dello stesso articolo, che fa riferimento alla collaborazione di “associazioni del volontariato che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, oltre che, anzitutto, come recita il primo comma dell’art. 5, “aiutare (la donna) a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”.