TuttoScuola ha pubblicato un ampio intervento dedicato al Pnrr e la Scuola a firma di Enzo Martinelli , autore di Tuttoscuola e direttore generale MIUR a riposo. Quella che segue è un estratto presentazione. Per la lettura completa CLICCA QUI.

Tante volte abbiamo ascoltato appelli da parte di politici, sindacalisti, esperti, scrittori, giornalisti (e chi più ne ha più ne metta) per invitare il Governo nazionale a iscrivere maggiori finanziamenti nel bilancio del Ministero dell’Istruzione “perché nella scuola ci sono i giovani che rappresentano il futuro dell’Italia”. Da un quarto di secolo a questa parte il Governo, complice anche il calo dell’utenza scolastica, ha invece diminuito la quota percentuale di risorse destinate al sistema formativo che, nella cosiddetta Prima Repubblica, era stata sempre superiore al 5% del Pil e ora invece è appena sopra il 4%. Un temporaneo e straordinario afflusso di denaro è arrivato in questi mesi alla scuola dai fondi del PNRR da destinare ad alcuni specifici obiettivi espressamente indicati in sede europea. Ma passata la breve, provvidenziale ed eccezionale stagione della pioggia di risorse finanziarie comunitarie (non entriamo sul come si stanno utilizzando), occorrerà chiarire i futuri programmi strutturali, i traguardi da conseguire e il sostegno economico da garantire alle attività didattiche nei prossimi anni. Ebbene, laddove il Governo decidesse di assecondare gli accorati appelli di quanti hanno a cuore le sorti della scuola, aumentando gli stanziamenti annuali, come si dovrebbero impiegare le maggiori somme ad essa destinate e come si dovrebbero reperire le relative entrate?

L’opinione pubblica non sembra adeguatamente informata sulle risposte e sui programmi che il Governo intende condurre in porto e su quelli eventualmente integrativi o alternativi dei partiti di opposizione. Eppure le problematiche da affrontare sono vecchie e note e richiedono interventi non rinviabili. Proviamo ad elencarne alcune. Le proiezioni demografiche assicurano che nel 2030 le scuole statali accoglieranno circa 6.600.000 alunni. La rete degli edifici scolastici calibrata all’inizio del secolo per ospitare 11milioni e mezzo di studenti (già ridotti a 9.139.000 nel 2012/2013), necessita di una forte opera di razionalizzazione.

Gli Enti locali, finché lo Stato paga gli stipendi al personale docente e non docente, mantengono inalterata la situazione. Le Regioni privilegiano il consenso elettorale allo scontro con Comuni e Provincie che tutelano il campanile e si disinteressano del problema. L’Amministrazione scolastica periferica sulla questione è “in fuori gioco”. La gestione dell’edilizia scolastica, in alcune aree territoriali già precaria e bisognosa di radicali costosi interventi, rimane così fonte di disservizi e sprechi di ogni genere. Per fare proficui investimenti occorre prima riorganizzare la rete. Ma i programmi, i progetti dove sono? La spesa corrente per il pagamento del personale copre oltre il 90% degli stanziamenti ministeriali.

L’importo annuo degli stipendi dei docenti italiani (elargiti in modo uniforme tra “ventisettisti”, assenteisti e chi si danna l’anima), non è troppo distante da quello medio europeo. I risultati degli alunni italiani invece sono mediamente molto al di sotto di quelli conseguiti nei 27 Paesi UE. Finora sono aumentati gli insegnanti e diminuiti gli alunni, una dinamica che contraddice la razionalità e che pone il rapporto italiano studenti/docenti in una posizione di privilegio statistico (media OCSE 14 studenti per i licei e 15 per tecnici e professionali, Italia rispettivamente 11 e 9). Eppure tanta docenza è accompagnata da una bassa media produttività scolastica. L’onorevole Carlo Calenda sostiene addirittura che “l’Italia è uno dei Paesi più ignoranti del Continente”.

C’è una nuova idea per una diversa remunerazione del personale? L’evasione all’obbligo e l’abbandono scolastico presentano ancora tassi molto negativi (oltre l’11%) rispetto agli altri Paesi dell’UE. In questi ultimi anni la dispersione è un po’ diminuita ma è aumentata la schiera dei giovani (15- 29enni) che non studiano e non lavorano (circa 1.700.000 unità). Un travaso statistico tra due graduatorie negative.

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