In successione con il precedente ( CLICCA QUI ), torno sulle problematiche dell’utilizzo strategico del nucleare militare affinché possano essere politicamente approfondite e individuati  quegli orientamenti programmatici volti a garantire la pace internazionale attraverso il necessario disarmo.

Date le mie esigue competenze tecniche nel settore, mi limito a cogliere le questioni in gioco facendo riferimento ad alcuni studi di approfondimento e rimando un’analisi più attenta al Dipartimento difesa di Insieme.

Dal punto di vista sia tattico, sia strategico, per la gestione di una crisi che veda l’utilizzo di queste armi, le osservazioni fanno riferimento soprattutto alla documentazione resa disponibile dagli stati in grado di avvalersi della cosiddetta ”opzione nucleare”. Meno completo è l’insieme delle informazioni che riguardano il possibile ruolo attribuito alle armi tattiche e strategiche dispiegate sul territorio europeo nella formula del “nuclear sharing”. Una questione che, per alcuni Paesi, come ad esempio l’Italia, aderente  al “Trattato di Non Proliferazione”, comporta uno stato di incertezza giuridica e, di conseguenza, la presenza di questo tipo di armi  non è stata mai né confermata né smentita ufficialmente dalle nostre fonti ufficiali. Se ne apprende però dell’esistenza da fonti dirette USA[1] e NATO[2] e indirette, come per quanto riguarda il contratto n. 636, firmato in data 12 novembre 2014 dal Segretariato generale della Difesa[3].

L’idea secondo la quale l’uso dell’arma nucleare garantirebbe la sicurezza viene dalla guerra fredda. Da qui il dimensionamento della cosiddetta “forza d’urto”, tuttora mantenuto dalla Francia, componente aereo-portata da utilizzare per i “lanci di avvertimento”, con almeno uno dei sottomarini nucleari in stato di allerta permanente per i “lanci di annientamento”. L’Unione Sovietica, con un armamento nucleare di gran lunga superiore a quello francese, non resterebbe a guardare di fronte a un primo tiro nucleare di avvertimento; presumibilmente reagirebbe provocando una distruzione immediata e totale della Francia. È per questo che Valéry Giscard d’Estaing ebbe modo di dire che, da Presidente, non avrebbe mai deciso di ricorrere a un tiro nucleare.

È impossibile provare che le armi nucleari non abbiano per nulla contribuito a suo tempo a impedire un’invasione sovietica, ma l’analisi completa della situazione mostra come la minaccia dell’uso di armi nucleari abbia favorito la soluzioni di alcune delle crisi ad altissimo rischio intervenute nel passato, come quelle  di Cuba nel 1962 e degli euromissili negli anni ‘80.

La storia ci mostra anche come l’uso strategico di queste armi non sia, in assoluto, immune da errori.

“Il 3 giugno 1980 un falso allarme di attacco con missili balistici lanciati da sottomarini, generato dai sistemi dello Strategic Air Command presso l’Offutt Air Force Base in Nebraska, dovuto ad un guasto di un chip in un computer e a scelte di progetto discutibili, non è stato riconosciuto come tale e ha causato la convocazione di una Threat Assessment Conference. Fortunatamente, sulla base di altri indicatori e del buon senso, i partecipanti alla Threat Assessment Conference stabilirono che si trattava di un falso allarme (Borning, 1987).

Il 26 settembre 1983, vicino a Mosca, nel bunker di monitoraggio Serpuchov 15 del sistema satellitare di sorveglianza dei siti missilistici statunitensi, si attivò un allarme che segnala un missile lanciato dalla base di Malmstrom, in Montana, contro l’USSR.  Il segnale si ripete per altre quattro volte nel giro di pochi minuti. Stanislav Evgrafovič Petrov, l’ufficiale in servizio in quel momento presso il bunker, sulla base della sua profonda conoscenza del sistema di monitoraggio, dell’analisi di altre fonti e del fatto che riteneva inverosimile un attacco statunitense con soli cinque missili, considerò l’allarme un errore del sistema e inizialmente non informò i superiori dell’accaduto, mentre dopo la sequenza dei cinque allarmi segnalò la presenza di un malfunzionamento. Se avesse comunicato, come sarebbe stato suo dovere, la segnalazione dei cinque missili statunitensi, si sarebbe probabilmente scatenata una risposta nucleare sovietica. Petrov salvò il mondo dalla catastrofe nucleare dovuta a un errore di rilevazione di segnali da parte del sistema satellitare che, poi si dimostrò, aveva interpretato erroneamente alcuni riflessi solari su nubi ad alta quota come lanci di missili. Purtroppo questo incidente gli costò la carriera, essendo stato messo in pensione e redarguito, ufficialmente, per altri motivi, ma probabilmente per non avere eseguito alla lettera i dettami della dottrina militare dell’epoca”[4].

Nel 1995 l’immagine di un missile che stava dirigendosi sulla Russia apparve improvvisamente sugli schermi radar dell’esercito russo: il presidente Boris Eltsin si trovò quindi a dover decidere, nello spazio di pochi minuti, se lanciare oppure no un attacco nucleare verso gli Stati Uniti. La sua decisione fu sensatamente negativa. In seguito ad adeguate verifiche venne chiarito che si trattava di un missile destinato a degli studi climatici che la Norvegia aveva dimenticato di segnalare alla Russia. È utile inoltre ricordare che numerosi incidenti si sono prodotti nella manipolazione di armi nucleari (almeno 32 ufficialmente) e che almeno sei bombe atomiche sono state perse sul fondo degli oceani.

Qualcuno potrebbe continuare a pensare che la deterrenza attribuita alle armi nucleari abbia impedito qualche guerra, ma ciò è completamente falso in quanto questa affermazione si scontra con la realtà che vede il fatto che le armi nucleari non hanno impedito le numerose guerre convenzionali intervenute nel frattempo: basti pensare ai numerosi conflitti succedutisi dalla Seconda guerra mondiale e che ancora oggi vengono usate come “soluzione”  delle controversie internazionali.

Il 5 aprile 2009, a Praga, il presidente degli USA Barack Obama affermò l’impegno degli Stati Uniti a “cercare la pace e la sicurezza di un mondo senza armi nucleari”. Perché un Presidente Usa  in carica corse il rischio politico e strategico di sottolineare che quell’obiettivo fosse un elemento chiave della politica di sicurezza nazionale americana? Non c’è una risposta definita, ma cerchiamo di approfondire le questioni in gioco tra i rischi e i benefici di una strategia basata sulla deterrenza nucleare.

Dissuasione o deterrenza

Durante il periodo della Guerra Fredda gli strateghi di entrambe le parti hanno concluso che solo la prospettiva della distruzione reciproca avrebbe potuto invitare alla prudenza ed evitare che i decisori si lanciassero verso un definitivo conflitto militare. L’”equilibrio del terrore” e la “distruzione reciproca assicurata” (MAD) (Mutually Assured Distruction) sono stati visti come il meglio che si poteva realizzare, date le circostanze della Guerra Fredda.

“Il problema oggi è quello di vedere se una strategia basata sulla deterrenza nucleare continui ad essere il modo più efficace per i governi per affrontare le tensioni internazionali e proteggere sé stessi, o se siano disponibili strategie alternative con maggiori benefici e minori rischi. La risposta dipende in parte da come si è evoluta la nostra comprensione della deterrenza nucleare e se essa rimane stabile e saliente, come la maggior parte della comunità strategica credeva che fosse durante la Guerra Fredda”[5].

La forza di dissuasione nucleare costituisce una strategia militare dalle gravi conseguenze. La forza d’urto di queste armi costituirebbe una garanzia di sicurezza poiché consente una legittima difesa nel caso di un attacco nemico. Tutto questo a prima vista potrebbe sembrare vero, ma non tiene conto di molteplici altri fattori. Dal momento dell’entrata nell’era nucleare militare, certe considerazioni e certe categorie prima pertinenti non lo sono più. Prima si poteva considerare che il fatto di possedere un grande esercito garantiva a uno Stato la relativa certezza di non essere attaccato da altri. Si vis pacem, para bellum dicevano già gli antichi romani, con la non piccola differenza che in caso di guerra una volta conclusa vi era un vincitore e un vinto. La differenza radicale, nell’era nucleare militare, consiste nel fatto che in caso di guerra nucleare non vi sarebbero più vincitori, ma soltanto vinti, senza contare che gli eventuali sopravvissuti si troverebbero in una situazione assolutamente inaccettabile. Con l’avvento dell’era nucleare militare ogni forza di dissuasione è diventata un’illusione suicida.

Soprattutto se si tiene conto della proliferazione in corso, questa dottrina possiede l’effetto perverso di giustificare la proliferazione delle armi nucleari, poiché ciascuno Stato secondo questa logica vorrà garantire la sua sicurezza sull’esempio dei più potenti.

La possibilità di ricorrere all’arma nucleare per chi la possiede è condizionata dalla messa in pericolo degli interessi vitali del Paese. Jaques Chirac, allora presidente della Repubblica francese, è stato molto preciso nel definire questi interessi vitali nel suo discorso all’Ile Longue del gennaio del 2006: “Per esempio la garanzia dei nostri approvvigionamenti strategici o la difesa dei paesi alleati fanno parte degli interessi che occorre proteggere. È negli attributi del presidente della Repubblica il fatto di apprezzare l’ampiezza e le conseguenze potenziali di un’aggressione, di una minaccia o di un ricatto insopportabile verso questi interessi. Questa analisi potrebbe eventualmente condurre a considerare che essi rientrano nel campo dei nostri interessi vitali”. La possibilità di ricorrere per primi ad un lancio nucleare fa anch’essa parte della dottrina ufficiale, qualora la nozione degli interessi vitali (volontariamente vaga) non fosse correttamente compresa dagli avversari. Nicolas Sarkozy a Cherbourg, nel marzo del 2008, è stato chiaro a questo proposito: “Noi non possiamo escludere che un nostro avversario si sbagli sulla delimitazione dei nostri interessi vitali, o sulla nostra determinazione a salvaguardarli; sarebbe allora possibile procedere ad un “avvertimento nucleare” che marcherebbe la nostra determinazione. Esso sarebbe così destinato a “ristabilire la dissuasione”. Per alcuni quindi la forza di dissuasione costituirebbe un’assicurazione sulla vita della nazione. Ora un’”assicurazione sulla vita” è piuttosto destinata a trasmettere i beni patrimoniali a coloro che sopravvivono in seguito al decesso dell’assicurato. Nel caso della guerra nucleare, vi è beninteso la morte dell’assicurato, ma non vi sono più sopravvissuti e non vi sono più beni patrimoniali. Il generale Bernard Norlain ha scritto che non bisogna parlare in questo caso di “assicurazione sulla vita” ma di “assicurazione sulla morte” (nell’articolo l’arme nucléaire est inutile et coûteuse, pubblicato su “Le Monde” il 29 ottobre 2011). Circa 2000 di queste bombe sono attualmente in stato di allerta permanente. Ciò significa che la decisione di lanciare un attacco o una risposta nucleare sarebbe presa da una sola persona, ossia un capo di Stato, in un tempo, nel caso di una risposta, al massimo di qualche minuto. I missili della risposta devono imperativamente essere lanciati prima di poter essere distrutti da quelli del nemico, cioè al massimo 15 minuti dopo l’apparizione di uno o più missili nemici su uno schermo radar. Il tempo poi per raggiungere il bersaglio varia tra i 20 e i 40 minuti secondo la distanza. Il risultato è che una grande città o una regione intera del globo potrebbe essere cancellata dalla carta geografica a meno di un’ora dalla decisione di attaccare.

Esiste poi il pericolo reale di attacchi cibernetici contro le infrastrutture degli arsenali nucleari:

Lo studio di Diego Latella pubblicato su “IRIAD Review. Studi sulla pace e sui conflitti” 03-04/2021 dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo ( CLICCA QUI ), commentando il rapporto pubblicato nel gennaio 2013 dal Department of Defense dell’Amministrazione USA (DOD) sulla Force on Resilient Military Systems and the Advanced Cyber Threat Defense Science Board, giunge a queste conclusioni:

“Le tecnologie informatiche giocano un ruolo fondamentale nei sistemi militari. Le vulnerabilità causate da malfunzionamenti e da errori nella progettazione o realizzazione dei sistemi digitali vengono sfruttate da avversari per attacchi agli stessi, con conseguenze che a volte si concretizzano anche in danni fisici. Il livello di insicurezza e incertezza che questa situazione comporta risulta particolarmente pericoloso, specie in relazione agli armamenti nucleari, e può avere importanti ricadute negative sulla gestione delle crisi e sulla stabilità strategica.”

“Più recentemente le vulnerabilità causate da malfunzionamenti e da errori nella progettazione o realizzazione dei sistemi, e spesso facilitate dalla connessione in rete e a Internet di questi ultimi, hanno cominciato ad essere sfruttate per interferire con il funzionamento corretto dei sistemi, con conseguenze che a volte vanno oltre la sfera strettamente digitale e si concretizzano anche in danni fisici. Queste interferenze, ormai note come cyber attack, interessano tutti i sistemi digitali, inclusi quelli militari, e in particolare quelli connessi alle armi nucleari. Il livello di insicurezza e incertezza che questa situazione comporta risulta particolarmente pericoloso e può avere importanti ricadute negative sulla gestione delle crisi e sulla stabilità strategica.”

“Per apprezzare appieno la tragicità dei risultati ai quali può portare tenere i sistemi nucleari a un alto livello di allerta e la possibilità di malfunzionamenti, anche informatici, riportiamo qui alcune considerazioni di B. Blair, ex Ufficiale di lancio nucleare (Futter, 2018: 87): “Quando i razzi del Wyoming sono andati offline il 23 ottobre [2010], i centri di lancio sotterranei remoti che li controllavano hanno perso la capacità di rilevare e annullare qualsiasi tentativo di lancio non autorizzato. […] In una situazione del genere i razzi avrebbero aspettato un breve periodo -circa 30 minuti -per dare agli equipaggi la possibilità di annullare un comando illecito. Ma poiché gli equipaggi non sarebbero stati in grado di farlo, i 50 razzi avrebbero accettato l’istruzione di lancio, innescato i loro booster e sarebbero usciti dai loro silos.”

Chiudiamo questa sezione con una  considerazione di Andrew Futter (Futter, 2018: 35) che riutilizza e adatta in maniera particolarmente indovinata il titolo di un classico testo sui sistemi tecnologici complessi (Perrow, 1984): “[Una] dipendenza crescente da computer e software complessi, e da sempre più linee di codice, in combinazione con una sofisticata tecnologia dell’hardware e dei sensori, in tutta l’impresa nucleare, sta facendo aumentare le probabilità di normal nuclear accidents, errori e malintesi cioè problemi indotti dai computer, che potrebbero causare confusione con conseguenze nucleari ingiustificate, non pianificate e non volute, e persino all’uso [delle armi] nucleari.”; l’aggettivo “normal”, preso a prestito dal titolo del libro di Perrow, sta a sottolineare che questi incidenti sono inevitabili, “normali”: prima o poi accadono e quindi, il loro aver luogo non deve sorprenderci”.

“Vista la forte dipendenza delle società “evolute” dai sistemi digitali, che ormai controllano tutte le infrastrutture critiche, dalla distribuzione dell’energia ai trasporti, dalla sanità alla componente digitale delle città smart e delle abitazioni smart, fino alla difesa, e data la vulnerabilità dei suddetti sistemi, è evidente che, in caso di crisi e conflitti, queste infrastrutture possano essere oggetto di attacchi, dando origine a quelli che ormai sono noti come conflitti cyber. La possibilità che si possano verificare escalation che portino da questi conflitti a guerre in senso tradizionale, cioè non limitate al cyberspace, o addirittura al conflitto nucleare, dipende essenzialmente da due fattori: il primo è evidentemente collegato alle scelte politiche e di dottrina dei singoli Paesi, l’altro è invece più di sistema.”

“Le operazioni cibernetiche sono, per loro stessa natura, offensive-dominant e verranno usate con maggiore probabilità nelle fasi iniziali di una crisi, contribuendo a far crescere l’incertezza e l’insicurezza portando potenzialmente a un’escalation di difficile gestione.”

“Il risultato è che la minaccia di sviluppo di attacchi cibernetici sta diventando un fattore destabilizzante nel senso che la stabilità strategica viene percepita essere a rischio. Un pilastro su cui si è fondata per anni  la  teoria  della Mutual  Assured  Destruction (MAD), e cioè la possibilità di sopravvivenza di forze nucleari  di  rappresaglia per un second-strike, è fortemente minato dalla vulnerabilità dei sistemi di allerta, di comunicazione e operativi, basati su tecnologia digitale, al punto tale che qualcuno ha già  suggerito di sostituire l’acronimo MAD con MUD, per “Mutual Unassured Destruction” (Danzig,  2014;  Futter,  2018) indicando con esso quella situazione in cui l’aumento del rischio percepito potrà indurre gli Stati a pianificare per il peggio, con conseguente propensione a ricorrere a un first-strike, quanto meno ipoteticamente, e ad avere riluttanza a ridurre gli arsenali nucleari, a causa della potenzialmente minore disponibilità percepita. Questo porta a una maggiore probabilità di uso di armi nucleari accidentale, o per errore, o comunque non autorizzato, a causa del più alto stato di allerta, della maggiore complessità dei sistemi e della loro vulnerabilità, cui va aggiunta, ovviamente, la sempre presente possibilità di guasti accidentali.”

A complicare la situazione va ricordato che è in atto un processo di modernizzazione dei sistemi d’arma nucleari, processo che richiederà certamente anche l’aggiornamento dei sistemi informatici ad essi collegati. Come abbiamo detto in precedenza, la creazione di nuovi sistemi informatici, così come l’aggiornamento di sistemi esistenti è di per sé una potentissima fonte di vulnerabilità.

Per concludere, facciamo nostre le seguenti affermazioni, tratte dal rapporto su un workshop organizzato recentemente dall’European Leadership Network in collaborazione con la Oracle Partnership (Kubiak, 2021: 2): “Il rischio nucleare nel XXI secolo è plausibilmente più alto che mai. Allo stesso tempo, la tecnologia [oggi] disponibile può anche portare a illusorie assunzioni di chiarezza nella nebbia. La complessità tecnologica potrebbe esacerbare i difetti insiti nell’assunzione di razionalità che governa gli odierni processi decisionali nucleari”.

“A tal proposito va detto che la situazione può essere resa molto più pericolosa dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (IA) nei sistemi d’arma e nelle loro infrastrutture di controllo e di supporto alle decisioni – quando non di decisione vera e propria, come in alcune proposte di armi autonome – anche a causa dell’intrinseca opacità di queste tecnologie, caratteristica specifica dei più promettenti modelli e sistemi di IA. A questo si sommano problemi di natura etica e legale dell’uso dell’IA nei sistemi militari, come quelli del valore della dignità umana nel campo di battaglia e della responsabilità personale, in relazione al rispetto delle norme del diritto umanitario internazionale.” ( Segue )

Tommaso D’Angelo

 

[1] Hans M. Kristensen & Matt Korda (2021) United States nuclear weapons,2021, Bulletin of the Atomic Scientists, 77:1, 43-63.

[2]In una bozza di relazione dell’Assemblea parlamentare della Nato è stato per caso svelato il numero e l’ubicazione delle armi nucleari Usa in Europa:( CLICCA QUI )

[3] ( CLICCA QUI )

[4] “IRIAD Review. Studi sulla pace e sui conflitti” 03-04/2021 dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo

[5] Why Eliminate Nuclear Weapons?, James E. Doyle, Survival, vol. 55 no. 1, February–March 2013, pp. 7–34.

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