Con l’enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco interviene su alcuni dei punti più rilevanti dell’attuale dibattito politico, economico e culturale. In particolare, avendo adottato il paradigma della fraternità, sposa lo stesso approccio che fu del poverello di Assisi. Un approccio tutt’altro che ideologico e dettato da una visione utopistica della storia, quanto ispirato alla concretezza.
Il paradigma della fraternità implica la ricerca, da parte del Pontefice, di tutta una serie di possibili aporie che si nascondono dietro parole e concetti che negli hanno assunto un significato quasi evanescente per il loro massiccio uso; una di queste parole è “populismo”. Parte del capitolo quinto dell’enciclica è dedicata a tale concetto, dove il Papa denuncia come il suo abuso rischi di compromettere la concreta comprensione delle dinamiche politiche e la qualità della quotidiana dialettica tra governanti e governati: élite e popolo.
A questo punto della discussione, Papa Francesco introduce un’importante distinzione, tesa a fissare il confine tra la cultura politica di tipo populistico e quella di tipo popolare. È una distinzione fondamentale che rinvia al cuore stesso della tradizione politica dei cattolici e, in particolar modo, dei cattolici italiani, potendo annoverare tra i propri padri don Luigi Sturzo, colui che ha teorizzato il “popolarismo”, in quanto teoria politica del potere limitato dal popolo. Un limite organico, nel rispetto del principio di sussidiarietà; un limite morale, mediante la sua articolazione in partiti, sindacati, opinione pubblica; un limite politico, in forza dell’esercizio delle libertà politiche: così inteso il popolo non esprime la giustificazione del potere, bensì il suo argine.
Per populismo intendiamo una concezione della politica in cui c’è un legame mistico tra ciò che il popolo pensa e spera e il capo che lo teorizza. Il carattere distintivo di questo legame è l’idea che noi siamo i puri, gli eletti, i migliori e il resto è putridume, marciume. Una setta con una verità e se il capo cambia idea, ecco che cambia anche la verità.
Il popolarismo si oppone al populismo in forza di una nozione di popolo articolata, dunque plurale, e differenziata al suo interno, tutt’altro che omogenea e compatta, refrattaria tanto al paternalismo quanto al leaderismo carismatico che identificano nel capo il buon pastore al quale affidare i destini del gregge. È qui che il discorso di Papa Francesco intercetta alcuni aspetti teorici sviluppati da Sturzo e, in particolare, la constatazione che la condivisione da parte del leader delle istanze del suo popolo: stare in mezzo al popolo, assecondandone gli umori, può assumere diversi significati e, talvolta, contraddittori. Il riferimento al popolo, come categoria politica, corpo sociale compatto, omogeneo e uniforme al quale una certa democrazia contemporanea attribuisce il carattere della sovranità: “unum corpus mysticum”, ad un’attenta analisi, non può non sollevare alcune questioni di primaria importanza. Scegliere di stare in mezzo al popolo può significare tante cose. Può significare abbandonare l’isolamento elitario ed egoistico, incontrare le gioie, i dolori, le aspirazioni, le sofferenze, la povertà, le ingiustizie, l’ingegno, la salute, la malattia, l’ardimento, la paura. Può significare tendere all’incontro con la diversità di cultura, di religione, di razza, di lingua, di tradizioni. In mezzo al popolo può significare operare per preservare l’uguale dignità di ciascuno, permettendo a tutti di essere differenti l’uno dall’altro. Tuttavia, in mezzo al popolo può significare anche omologazione, massificazione, annullamento della personalità. In mezzo al popolo, per chi ha responsabilità di governo, può significare assecondare le passioni più basse, in nome di un facile consenso, farsi portatori di presunte istanze popolari che interessano soltanto i portatori; per dirla con John Dunn, una sorta di autoinganno del quale sarebbero vittima i professionisti della politica: spacciare per collettivi interessi e progetti che, nella realtà, sono del tutto personali.
Possiamo concludere affermando che avendo messo la nozione di popolo al centro della riflessione magisteriale, Papa Francesco mostra tutti i caratteri di una lettura realistica della società: «Ciò che è veramente popolare è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno» (n.162); fraternamente si è popolari nella misura in cui si promuove la dignità di colei o di colui di cui ci prendiamo cura. Al cuore della riflessione del Papa, dunque, troviamo la sua attenzione per il processo inclusivo che si implementa in primis attraverso il lavoro, la dimensione nella quale l’uomo, collaborando all’opera creatrice del Padre, realizza la sua più alta vocazione: essere una imago Dei.
Flavio Felice
Pubblicato su L’Osservatore Romano