Ad oggi, non si trovano iniziative volte ad agevolare la prenotazione ed erogazione di prestazioni sanitarie diagnostiche, terapeutiche e riabilitative per il personale sanitario che lavora nel Servizio Sanitario Regionale e Nazionale, e per le loro famiglie.

Oggi, un professionista sanitario che si ammala non per cause di lavoro, deve accedere al SSR/SSN alla pari di un cittadino, oppure deve peregrinare chiedendo favori a colleghi o conoscenti del settore per avere una prestazione in tempi ragionevoli.

Al fine di mantenere il personale sanitario in perfetta salute, occorre andare oltre quanto previsto dal testo unico 81/08 per la salute preventiva lavorativa, e ancora di più per ciò che è inerente alla salute personale. Più controlli e prestazioni preventivi e ravvicinati, soprattutto la possibilità di erogazione di una prestazione sanitaria entro un mese dalla prenotazione (diagnosi entro trenta giorni). Questo anche per i familiari di primo grado, perché un familiare ammalato per tardive diagnosi e cure, significa un professionista meno presente al lavoro. In sostanza un corridoio dedicato, non privilegiato (si paga il ticket dovuto), senza togliere nulla ai cittadini, all’interno delle strutture sanitarie in cui il professionista lavora, oppure nelle strutture del SSR/SSN. Un gesto lodevole di considerazione verso il personale sanitario, per avere i “professionisti della salute in salute” per una continuità di servizio meglio garantita. Il tutto, senza incidere sulle agende  di prenotazione e liste di attesa per il cittadino. Come? Adeguando tempi di lavoro e di riposo, spazi e personale mediante retribuzioni eque e al passo con il costo della vita. Si legge che manca il personale sanitario, lo stesso è stanco in modalità e declinazioni varie, però le aziende sanitarie pubbliche svolgono attività libero professionale e sul territorio proliferano centri diagnostici e ambulatoriali privati. Una parte del personale che lavora nei centri sanitari privati è lo stesso che lavora in ordinario presso le aziende sanitarie pubbliche. Ora, ognuno può decidere liberamente come incrementare il proprio stipendio, ovviamente adempiendo ai doveri fiscali, ma perché non ipotizzare che l’attività “extra” venga svolta nella sede lavorativa propria in modo regolare con tempi di riposo vero e reale, attraverso modalità di retribuzione adeguate e senza incentivi a pioggia per risolvere “emergenze” che in realtà sono un’ordinarietà gestita male con costi eccessivi e aggiuntivi a carico del contribuente. In un Paese dove è presente una moltitudine di organizzazioni sindacali, ordini professionali, enti di previdenza e tutela, non è difficile far decollare una soluzione confacente a questo bisogno.

Se alcune imprese produttive a livello nazionale e locale, stanno investendo nella salute dei propri lavoratori, non vedo perché il personale sanitario non abbia la stessa opportunità di essere diagnosticato e curato in tempi rapidi nell’ambiente in cui lavora, ovvero in casa propria senza ricorrere a “convenzioni” (costi aggiuntivi), con terze parti. Altrimenti la centralità della persona come la si vuole riportare all’interno delle politiche sociali? Quindi come prendersi cura della salute del cittadino con personale sanitario non in salute? Le regioni, sono in grado di attivare il concetto di riportare la centralità della Persona, a maggior ragione per quella che lavora per il Sistema Sanitario Regionale e Nazionale, organizzando le strutture che governa, attraverso i direttori generali da essa nominati?

Marco Torriani

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